Chi sono oggi i proletari?

Innanzitutto bisogna rilevare come i termini proletariato, classe, ecc. siano stati banditi dal linguaggio comune in seguito al repulisti ideologico che è seguito al crollo del socialismo reale, repulisti a cui l'interclassismo e il populismo del Pci avevano comunque preparato il terreno già da tempo. E, ovviamente, questi termini sono stati smarriti insieme ai concetti e alla visione della società che rappresentavano: la divisione in classi, la coscienza di classe, la lotta di classe e via di seguito. La conseguenza di questa sconfitta ideologica è stata che molti antagonisti al sistema capitalista – genericamente intesi – hanno abdicato e si sono adeguati al linguaggio volutamente incerto e vago (la gente, i cittadini, ecc...) del nemico di classe.

Ora, la nostra società è liquida e complessa quanto si vuole (e per nostra intendo soprattutto l'Occidente, perché in altre parti del globo la polarizzazione sociale è molto più netta), ma il proletariato è ancora lì com'è lì il capitalismo: molto semplicemente, i proletari sono tutti coloro che vivono non grazie all'investimento di un capitale, piccolo o grande che sia, ma grazie alla vendita della propria forza-lavoro – facilmente sostituibile perché abbondante sul mercato – in cambio di un salario o di uno stipendio, vale a dire, ad esempio, l'operaio di fabbrica, l'operatore di un call center, lo spazzino, il postino, la cassiera, il precario della scuola... in sostanza, tutti i lavoratori dipendenti. Sono da escludere, è ovvio, quelli in possesso di un'alta qualificazione o che ricoprono ruoli dirigenziali perché, in base alla loro posizione e alle retribuzioni che percepiscono (manager d'azienda, dirigenti statali, ecc.) sono oggettivamente legati alla salvaguardia di questo sistema e non certo al suo abbattimento.

Certo, esistono settori che, da un punto di vista di classe, sono molto più omogenei di altri. In fabbrica, ad esempio, sono tutti proletari, mentre a scuola c'è il docente che vive solo del proprio stipendio, ma c'è anche quello che oltre a insegnare fa il commercialista, oppure quella che è sposata con il notaio o l'imprenditore, ecc. Il fatto è che le classi sono astrazioni, non caste che distinguono i propri membri da un marchio sulla pelle. Per cui è normale che, in mezzo alla polarizzazione classista borghesia/proletariato che si intensifica nelle fasi di acuta crisi economica come l'attuale, esiste un magmatico e multiforme ceto medio che si avvicina all'uno o all'altro polo a seconda del momento. Ebbene, questo è un motivo in più per dire che solo il proletariato ha interessi sempre e comunque opposti a quelli del sistema capitalista, ed è perciò la classe – presente a livello internazionale – potenzialmente e oggettivamente rivoluzionaria.

GS

Forum: 

Ciao,

sono un nuovo frequentatore del forum.

Anch'io sono per la riabilitazione del termine, ne discuto spesso con la gente, e mi sforzo nel far capire a diversi proletari la loro condizione di classe.

Aggiungo però un'altra questione: in clima di diffusissimo precariato è difficile definire un lavoratore salariato effettivo, ma penso che nella defizione di proletario rientrino anche tanti di noi che fanno spola da una situazione all'altra. Io sono disoccupato da vari mesi, vivo ancora con la mia famiglia, con la pensione di mio padre(ex impiegato), ma mi definisco proletario a tutti gli effetti; per essere totalmente indipendente dovrò per forza vendere la mia forza lavoro.

Saluti.

Sono d'accordo, la stragrande maggioranza dei precari sono proletari a tutti gli effetti, che vendono la propria forza-lavoro quando trovano la possibilità di farlo. Esiste anche una percentuale di precari - in aumento - che invece possiamo definire ceto medio in via di proletarizzazione, come ad esempio il laureato che fatica a trovare un lavoro e che per anni si barcamena fra un occupazione e un'altra.

D'altronde la proletarizzazione dei ceti medi è un segno tipico della crisi capitalistica montante.

Ciao Treviri, benvenuto!

Probabilmente avrai già dato un'occhiata alla pagina Chi siamo

Nella risposta alla domanda 12 "Esistono ancora le classi sociali?" sono indicati vari articoli cha valutano la ricomposizione della classe lavoratrice a seguito del cambiamento dei processi produttivi con la cosiddetta rivoluzione del microprocessore. Penso siano molto interessanti.

Comunque, alla fine, la questione è sempre il rapporto col capitale. Chi non possiede capitale ed è costretto, per vivere, a "mettere in vendita" la sua forza-lavoro è un "proletario" dei giorni nostri. (In questa società, ci tocca sperare che qualcuno l'acquisti, la nostra forza-lavoro!) Questione quindi di relazioni sociali, di necessità, di interessi materiali e di intrinseco antagonismo al capitalismo.

C'è bisogno però che questo antagonismo diventi cosciente. E' perciò fondamentale il ruolo dei comunisti. Oggi non è il proletariato (in sè) ad essere sparito. Ma si sono invece ritirati molti comunisti, quelli che dovrebbero essere la parte più cosciente del proletariato. Manca l'avanguardia, che dovrebbe sostenere e guidare la classe con la lucidità derivante dall'analisi della situazione attuale e dall'esperienza delle lotte passate...

Un saluto ad entrambi!

Prima di leggere gli articoli indicati da mic, che effettivamente ancora non assimilavo, pongo una domanda alla interessante analisi posta da Gek.

Indichi come ceto medio(poi in via di proletarizzazione) chi ha studiato all'università, ma questo per una ragione economica? Intendi cioè che chi possa permettersi quegli studi appartiene alla classe media? Io ho sempre considerato gli studenti(forse non tutti) come GIA' proletari, infatti vi troviamo anche figli di lavoratori, addirittura anche contadini molto poveri, per esempio... Oppure ti riferisci a chi studia tramite il capitale derivato dallo sfruttamento, magari un figlio di industriale o lo studente stesso già occupante una tale posizione?

E poi il seguito: un laureato che si barcamena fra un lavoro e l'altro perché potrebbe essere un appartenente al ceto medio in via di proletarizzazione e non già un proletario?

Il sottoscritto, ahimé, invece manca di diversi attestati, universitari e non; la teoria marxista del lavoro anche per chi ha meno titoli viene spesso contrastata, ma non molliamo!

Grazie per le risposte, discussione che, come detto, tiro fuori spesso in pubblico; da qui il piacere del confronto!

Secondo me sono situazioni sfumate (infatti le classi sociali sono astrazioni determinate, ma pur sempre astrazioni). Il fatto è che gli studi spesso permettono (e in passato ancor più permettevano) di presentarsi sul mercato del lavoro non come semplici proletari, ma come professionisti che hanno (avevano) da vendere qualcosa in più, ossia conoscenze e abilità specifiche.

Ma oggi, da un lato, molte professioni sono in fase di semplificazione con lo spezzettamento all'interno dei processi e l'introduzione di ausili informatici; dall'altro, l'università e la scuola provvedono a sfornare a volontà personale formato quanto basta appena a svolgere un certo lavoro, garantendo quindi un abbondante "esercito di riserva" anche per lavori più specializzati, favorendo la sostituibilità.

Penso che abbia ragione Gek a parlare di una fascia sociale in fase di proletarizzazione. In alcuni (o molti) casi la transizione è peraltro già completata, come dici tu. Purtroppo la situazione materiale non è sempre accompagnata da un cambiamento di prospettive e ambizioni sociali. All'interno di queste fasce molti continuano a sentirsi "borghesi", e infatti quando protestano tentano spesso di distinguersi dal resto della classe lavoratrice, non riconoscendosi in essa.

Ciao Treviri, è vero, oggi molti laureati hanno alle spalle famiglie proletarie... e tante altre no, proprio perché gli studenti, di per sé, non sono una classe sociale. Quella di studente è sempre una condizione transitoria.

Io mi riferivo a quei giovani che, figli del ceto medio e laureati, non riescono a trovare un'occupazione commisurata agli studi fatti e che si accontentano di un lavoro precario e sottopagato. Allo stesso tempo hanno alle spalle una famiglia che li supporta economicamente e che gli permette di avere un tenore di vita leggermente superiore rispetto ai propri "colleghi" di estrazione sociale proletaria.

Ecco perché noi critichiamo lo "studentismo": gli studenti in quanto tali non hanno i medesimi interessi, poiché il conflitto di classe taglia il mondo studentesco trasversalmente.

Lavoratori e studenti proletari: stessa classe, stessa lotta.

Condivido le parole di entrambi, è giusto definire la condizione di studente come transitoria, sfumata, così come l'avere alle spalle ancora una condizione di ceto medio. Verissimo anche che ormai certe specializzazioni sono state "semplificate" volutamente, in modo da creare inconsapevoli pedine ad uso e consumo dei potenti.

Giustissimo l'appunto sulle prospettive, c'è chi ,già proletario o in fase di proletarizzazione, rifiuta il termine per VERGOGNA, come se fosse qualcosa di offensivo; il gioco dei padroni è fatto anche di questo, il famoso modello sociale da ambire, così ci pensa il sottoposto stesso ad allontanarsi da "zone pericolose"...

Brutto anche il fatto che si pongano proteste d'elite, come a cancellare il dato di fatto che il bene personale dipende dal bene comune. Becero individualismo.