Crisi

Volevo chiedere ai compagni del PCInt degli approfondimenti (anche indicazioni di lettura) sulla concezione di Battaglia della "crisi".

Leggo in diversi documenti che si ritiene il 1971 anno indicativo della fine del ciclo di accumulazione (e di crisi economica).

Bordiga ipotizzava una crisi generale a metà degli anni '70, con conseguente emersione delle avanguardie comuniste e scoppio della rivoluzione permanente.

Trotsky sosteneva che, con l'imperialismo, il capitalismo fosse ipso facto in crisi sistemica (addirittura con le condizioni per la rivoluzione che iniziano a invecchiare ecc.).

In un vecchio post Gek sostiene l'estranietà del pensiero di Cervetto alla Sinistra Comunista per tre ragioni: concezione del partito, sindacato, e concezione della crisi (per Cervetto la fase è di lunga espansione, non di crisi generale; gli anni '70 sono visti come crisi di "ristrutturazione").

Vi ringrazio anticipatamente, la questione mi interessa molto (è ovviamente cruciale), e consentirebbe agli ospiti del forum di conoscere meglio il PCInt.

Forum: 

Caro Reed, prima di tutto voglio ringraziarti per la domanda, che effettivamente riguarda una questione essenziale che distingue l'analisi (e quindi la prassi) del PCInt da molte altre organizzazioni.

Per aggiungere un po' di materiale alla discussione, suggerirei il seguente documento che, pur essendo focalizzato sul concetto di decadenza più che su quello di crisi, mi pare assolutamente pertinente e spero che possa sgombrare il campo da numerosi e diffusi equivoci.

[[ibrp.org | Puntualizzazione sul concetto di decadenza]]

Lo rileggerò con attenzione, grazie. Partirò poi da lì per chiedere precisazioni e confronti.

Interessanti da apprezzare le differenze con "Il concetto marxista di decadenza del capitalismo" della CCI.

Ho riguardato "Puntualizzazione sul concetto di decadenza", "La Piattaforma del BIPR e del PCInt", "Il Sindacato nel Terzo ciclo di accumulazione del Capitale" e "Chi siamo, da dove veniamo, cosa vogliamo": se capisco bene il PCInt sostiene che il ciclo di accumulazione iniziato con la Seconda Guerra Mondiale giunge alla fine nei primi anni '70 (quindi una crescente stagnazione economica); "oggi un’altra profonda e incontrollabile crisi economica scuote le fondamenta dei centri imperialistici mondiali e mina l’esistenza del capitalismo globale. La critica marxista lo ha previsto come conseguenza della tendenziale caduta del saggio del profitto e quindi come crisi del ciclo storico dell’accumulazione capitalista"; crisi economica significa che "i meccanismi dell’accumulazione s’inceppano e si assiste a tutti quei fenomeni tipici della crisi (crollo della produzione, disoccupazione di massa, tagli ai salari ecc.)". E la crisi non è meccanicisticamente legata alla decadenza (infatti ci sono stati fasi di sviluppo economico durante la decadenza). Lo smantellamento del welfare state è determinato dall'esigenza di dirigere "tutte le risorse" "al processo di accumulazione", e non per una "crisi di ristrutturazione" come l'intende Cervetto. La crisi non dipende dalla fase storica in cui si trova il capitalismo.

Se non ho frainteso qualcosa e possiamo partire da qui, mi collochereste in questo quadro Cina, India e Brasile? Poi: ritenete dunque che le condizioni obiettive per la rivoluzione sono mature, e manca "solo" il partito rivoluzionario? In ultimo: quando dite che la condizione di guerra permanente del capitalismo attuale non pone premesse per un ciclo di accumulazione nuovo, fate una semplice valutazione del fatto o anche una previsione di futura validità della considerazione, legata all'avanzare della decadenza?

  • Ciao Reed,

provo a*

Ciao Reed,

provo a rispondere ale domandi veramente dense che poni.

Allora, come hai detto giustamente tu, noi poniamo l'inizio "ufficiale" del ciclo di accumulazione nei primissimi anni '70: la "dichiarazione" della crisi furono gli atti che l'amministrazione Nixon prese il 15 agosto del 1971 (in sintesi, fine degli accordi di Bretton Woods). Da allora, con alti e bassi (alcuni economisti di area marxista indicano un ripresa del saggio del profitto tra la metà degli anni '80 e la metà di quelli '90) il processo si è approfondito e ha portato, tra le altre cose, al collasso dell'URSS, al moltiplicarsi dei focolai di guerra e alle guerre propriamente dette, all'attacco forsennato delle condizioni di esistenza del proletariato e alla cosiddetta finanziarizzazione dell'economia, ossia all'aumento parossistico della speculazione finanziaria e, in genere, dell'appropriazione parassitaria del plusvalore mondiale.

I tre paesi che tu hai citato, costituiscono degli elementi molto interessanti che hanno spinto alcuni, vedi LC, a parlare di crecsita del capitalismo mondiale e non di crisi. Secondo noi, lo sviluppo dell'economia di Cina e India non modifica il quadro, perché tale sviluppo è, come dire, un contraccolpo di ciò che avviene nella "metropoli" in sintesi, là si cresce, perché qui si cala. Tra l'altro, buona parte delle sportazioni cinesi vanno a finire in USA, i quali, com'è noto, vivono abbondantemente sopra i propri mezzi, cioè di debito. Questo debito è reso possibile dal peso imperialistico degli USA medesimi e dal ruolo egemonico del dollaro a livello internazionale. In tal modo, la crescita cinese è legata in non piccola parte a quei meccanismi speculativi tipici delle fasi di crisi di cui ho appena detto. Inoltre, ci sono alcuni economisti marxisti che mettono in dubbio le cifre dello sviluppo cinese e indiano, ritenendo che siano "taroccate". Ma per adesso fermiamoci qua.

Noi non diciamo che oggi ci siano le condizioni obiettive per la rivoluzione, diciamo che se ci fosse un partito sufficientmenete radicato nella classe - a livello internazionale, ovviamente - questo costituirebbe un fattore di accelerazione delle lotte e che queste lotte non si esaurirebbero in se stesse o non verrebbero chi più chi meno recuperate dal sistema. Allo stesso tempo, una ripresa delle lotta di classe vera, darebbe una spinta significativa alla crescita e al radicamento delle avanguardie comuniste, oggi ridotte a gruppetti sparuti. Le condizioni di esistenza vanno peggiorando e quindi aumentao il malessere sociale, ma questo malessere o non si esprime sul piano della lotta o viene captato dalle organizzazioni riformiste in tutte le loro sfumature (vedi, per es., i sindacatini sedicenti di base). D'altra parte, se il proletariato ancora non si esprime con lotte massicce significa che, almeno nella metropoli, esistono ancora margini di tolleranza nei confronti di questo sistema sociale, oltre ai pesanti ostacoli di natura ideologica appena accennati.

Per finire, le guerre, benché diffuse, non si sono finora unificate, per così dire, in una guerra generalizzata che, distruggendo uomini e mezzi, pone le premesse per una ripresa del ciclo di accumulazione.

Scusa Reed se sono stato allo stesso tempo lungo (per un post) e sintetico, ma si può riprendere il discorso.

Ciao,

Smirnov

Ciao Smirnov: grazie delle risposte. La questione della guerra come premessa di un nuovo ciclo di accumulazione è chiara.

Sul resto mi piacerebbe approfondire (coi dati alla mano si può ovviamente confermare qualunque teoria e il suo contrario, quindi non è facile). Se avete pubblicato qualcosa sui paesi asiatici me lo segnaleresti? Quello che leggo guardando la fase economica attuale è che la sovrapproduzione delle metropoli non ha ripercussioni catastrofiche perché esistono mercati esteri dove esportare merci e capitali. Così si sollecita lo sviluppo delle zone di mercato periferico, con emersione di nuove potenze imperialiste ecc. Questo processo comporterà crescenti frizioni, scontri, guerre (rottura dell'ordine internazionale)... Complessivamente il capitalismo mondiale cresce ancora (probabilmente per pochi decenni [un paio secondo alcuni analisti]): altrimenti da cosa nascerebbero i "margini di tolleranza nei confronti di questo sistema sociale" di cui parlavi? Non scrivo contrapponendo posizione a posizione, pongo piuttosto interrogativi per capire bene.

Saluti comunisti!

Fenomenologia della crisi

Senza pretendere di possedere la facoltà sintetica del compagno Smirnov, a me sembra che il problema della crisi debba essere affrontato su due versanti teorici: a) quello del concetto di crisi secondo la versione scientifica marxista e b) quello della forma storica precisa con cui essa si presenta avendo ben presenti le modificazioni di funzionamento epocali del sistema capitalistico. La forma di crisi del '29 non può più essere presa a modello per capire le crisi del Dopoguerra: quelle del '68-1975; e quella attuale del 1998-2005, per intenderci! Diverso è il modus operandi nel contesto del New Deal nazionalistico degli anni '30,prima, rispetto a quello internazionale del Dopoguerra ( basato su istituzioni come il F.M. ,la Banca Mondiale e quelle del commercio mondiale), e, dopo, allorchè si sono affacciati gli investimenti produttivi diretti delle multinazionali (diversi dagli investimenti di portafoglio dell'anteguerra) e la libertà,a livello planetario, di circolazione dei capitali sciolti da ogni regolamentazione statale nazionale (il capitalismo globale,a partire dalla metà degli anni '80). Fatta salva questa constatazione, c'è da osservare che la durata ciclica del capitalismo globale, oggi, è aumentata in rapporto a quella necessaria, al tempo di Marx, quando la sostituzione del capitale costante, per la caduta dei prezzi di costo nel settore e la sua generalizzazione nelle altre branche di produzione, aveva una durata ciclica di circa 10 anni. Oggi, invece,propagandosi, tale variazione di composizione organica, nel globo intero, la generalizzazione del nuovo metodo per l'autovalorizzazione del capitale (attraverso distruzione e deprezzamento), impiega un tempo maggiore, prima che il sovrapprofitto sparisca, si azzeri e determini una

composizione organica media superiore alla fase precedente. Io credo che occorrano circa 25 anni. Ciò per assistere alla caduta del saggio di profitto su scala mondiale e, quindi, all'arrivo della crisi. Nel frattempo, i capitali delle aree più avanzate si accaparrano di aliquote più elevate "tratte dal fondo comune mondiale di plusvalore" (la massa di profitto), guidando l'innovazione che modifica la composizione organica media mondiale(che abbassa il saggio medio di profitto).

Ne consegue che le crisi rivoluzionarie del sistema non sono sempre attuali (dietro la porta!), ma che,tuttavia, bisogna preparare le condizioni soggettive della crisi

(come il periodo che stiamo attraversando costituito di una nuova fase di ristrutturazione capitalistica che cozza con la resistenza del proletariato mondiale).

Di più non è dato dire in poche righe. Sincerely, duccio

Per avvalorare quanto detto da Smirnov, ossia che l'economia degli Stati Uniti (e quindi l'intero capitalismo mondiale) vive al di sopra dei propri mezzi, basta secondo me ricordare che il debito pubblico USA, sommato a quello delle famiglie e a quello delle imprese è prossimo alla spaventosa cifra di 30 trilioni, ossia 30 mila miliardi di dollari. [1]

La crescita cinese, trainata soprattutto dalle esportazioni, sarebbe cosa ben diversa se gli USA non potessero permettersi un tale livello di indebitamento.

Per l'India bisogna anche tenere presente che metà della suo pil viene dal settore dei servizi, quindi da "produzioni" in gran parte effimere. [2]

E' vero secondo me anche quello che dice Duccio, ossia che il capitalismo ha affinato le sue capacità di gestire la crisi, dilatandone nel tempo gli effetti e scaricandoli in parte sui paesi della periferia. Fatte salve le dimensioni notevolmente accresciute della sfera finanziaria, in sostanza sta adottando tutte quelle controtendenze alla caduta tendenziale del saggio del profitto che Marx aveva già descritto nel Capitale.

I miei 2 cents, per dirla all'anglosassone. Saluti. Mic

[1] [[ibrp.org | Alle radici della guerra contro l'Iraq e quelle future]]

[2] [[cia.gov - The World Factbook -- India]]

una considerazione a margine rispetto a quelle di Mic,Duccio e Smirnov:

Credo che la difficoltà maggiore x tutti noi consista nel ragionare in termini di "mercato globale". Dove quindi le tendenze, e le contro-tendenze, si muovono in ambiti temporali e geografici sconosciuti alle precedenti generazioni di rivoluzionari. Ad una tendenza generale di crisi - in "ultima istanza" - possono corrispondere aree in crescita relativa, tenendo ben presente quello che veniva detto prima sui legami ad es. tra l'export cinese e l'import americano. Lo stesso sviluppo cinese od indiano è limitato ad alcune aree specifiche e più della metà dei cinesi/indiani sono ancora contadini e probabilmente nn verranno mai proletarizzati ( altrimenti tra 500 anni saremo ancora quì..) dal Capitale.

Inoltre dato che anch'io mi sono "formato" con l'idea del capitalismo in crescita vedo bene come sia pericolosa questa tesi in quanto porta con sè la rinuncia ( o la posposizione ) alla propaganda della necessità del superamento del capitalismo, dei suoi limiti e delle sue ineliminabili contraddizioni. Tutto viene rimandato ad un futuro lontano e ci si adagia nella quotidianità sindacale.

L'altro fattore che consente

L'altro fattore che consente al Capitale odierno di trasferire nel tempo le crisi di accumulazione,oltre alla generalizzazione del livello medio della composizione organica nel mondo, è quello relativo ai nuovi metodi di produzione, all'investimento produttivo in Paesi dove il costo della manodopera è bassissimo, i movimenti migratori della forza lavoro,la cui popolazione abbassa il livello medio del salario, l'atteggiamento concertativo dei sindacati, l'organizzazione reticolare della fabbrica moderna,l'outsourcing,il trasferimento di linee di produzione e di manutenzione fuori del nucleo principale del processo di lavorazione etc.In questo modo si estrae una massa di plusvalore crescente che frena la caduta del saggio di profitto,allungando i tempi ciclici della nuova fase in cui il capitale, a scala generalizzata, presenta un livello più elevato di composizione organica.Nella situazione attuale, è chiaro che ci troviamo ad un punto di ulteriore discesa del saggio di profitto per cui si rende necessaria una ulteriore crescita della massa fisica del capitale costante assieme al suo valore rispetto a quella del capitale variabile, processo che porta inevitabilmente a frequenti crisi borsistiche (forma di distruzione del capitale finanziario), ulteriore aumento del capitale fisso inutilizzato in rapporto al totale del capitale produttivo presente nel processo di lavorazione(sottoutilizzazione degli impianti produttivi), tendenza ad aumentare il costo del denaro elevando da parte delle banche centrali i tassi d'interesse,il basso corso del dollaro che mira ad aumentare le esportazioni americane a scapito dei "fratelli nemici". La crisi capitalistica è incombente nel ciclo attuale per i seguenti fenomeni: 1) l'aumento della spesa militare nei Paesi principali della terra e negli USA dove ha toccato,quest'anno i 500 miliardi di dollari annui sui 18 miliardi circa (in compenso gli aiuti allo sviluppo da parte degli Usa si attesta intorno allo 0'16 del PIL). Tutto questo è segno di una crescente concorrenza tra i predoni capitalimperialisti; 2) la crescita al 9% di economie rampanti come quella cinese ed indiana, non dice nulla di fronte al deficit degli USA nella bilancia commerciale che raggiunge gli 800 miliardi di dollari i quali servono per comprare le merci importate da questi paesi poveri che crollerebbero senza il finanziamento dei titoli americani da parte di capitali europei (tedeschi specialmente) e giapponesi che trasferiscono ricchezza finanziaria annuale negli USA per circa 700 miliardi di dollari annui;3)crescita dell'indebitamento, privato e pubblico, tra gli stati del mondo(in particolare negli USA);4), aumento della disoccupazione e della miseria nel mondo che provoca aumento di lavoratori clandestini nei Paesi ricchi e resistenza a fare entrare nuova forza lavoro dai Paesi depressi,donde un indurimento delle politiche migratorie e di polizia verso i "sans papiers". Pensate che la Cina,con i suoi alti tassi di sviluppo,l'anno scorso è riuscita a dare lavoro a 10 milioni di cinesi contro un afflusso di popolazione dalle campagne di ben 30 milioni di lavoratori che sono disoccupati ed ingrossano le periferie delle città della costa orientale. E poi le guerre in corso e quelle che si profilano fanno presagire nuove distruzioni di uomini e cose per ristabilire il meccanismo capitalistico fondato sul principio del plusvalore. Davvero, la crisi si sta srotolando sotto i nostri occhi! E' questo il periodo di dare mano alla formazione di un partito internazionale dei lavoratori e alla nascita di nuove avanguardie. saluti duccio

Ciao a tutti, compagni,

scusate se intervengo in ritardo e sarà anche molto sintetico.

Volevo dire che concordo con le considerazioni di Mic e No Nick, nonché anche in gran parte con Duccio. Ma qui mi premeva rispondere a Reed: se parliamo di crisi del ciclo di accumulazione, questo non significa che il capitale non metta in atto (o cerchi di mettere) delle controtendenze che impediscano al sistema - inteso a livello mondiale - di crollare su se stesso. La crescita di alcuni paesi si inscrive appunto, secondo me, in questo quadro. Quuando parlavo di margini, intendevo margini di sopportabilità da parte del proletariato che derivano anche, è ovvio, dall'andamento economico generale, ma anche, per esempio, da quanto il proletariato ha messo via negli anni e nei decenni passati. Il fatto che l'incazzatura sociale dei giovani sia molto al di sotto, secondo me, delle pessimi condizioni lavorative in cui sono imbarcati (e ancor di più nel futuro) è dovuto in gran parte all'ammortizzatore sociale della famiglia (spesso con quattro nonni), la quale magari (cosa facile) è anche proprietaria della casa in cui vive. Il fatto che, bene o male, a ballare, in birreria, in giro in macchina ci si vada lo stesso, magari proprio all'siuto dei nonni. Insomma, erano a queste cose che mi riferivo.

Ciao a tutti,

Smirnov

Chiaro, Smirnov, grazie. Sono decisamente d'accordo con te su questo punto. Il discorso in generale mi spinge a rimettere in discussione le mie posizioni relative alla crisi, quindi a qualcosa è servito... approfondirò con piacere, ti rinnovo l'invito a indicarmi cose da leggere (anche sull'Asia) di BC, se ce ne sono di pertinenti. Se si, indicamele anche con calma, resteranno indicazione gradita. Ciao,

Reed

  • Ciao Reed,

hai ragione: ti*

Ciao Reed,

hai ragione: ti chiedo scusa, ma mi ero dimenticato. Ci penserò su e ti saprò dire (anche per i 21 punti).

Ciao,

Smirnov

grazie della disponibilità, Smirnov. Sui 21 punti, quindi sui rapporti tra BC, il campo politico prol. ecc. ho trovato riportate delle posizioni di BC in un articolo della CCI, che scrostato dalla polemica sottolineava quello che sostanzialmente dicevamo entrambi nella discussione relativa: al di qua della barricata di classe ma "inutili". Comunque mi interessa entrare nello specifico e leggere anche le "parole ufficiali" di BC in merito. Ciao

Sullo sviluppo della Cina c'è il seguente articolo, che mi pare ancora attualissimo nelle linee essenziali, nonostante 3 anni siano molto lunghi in relazione ai "ritmi cinesi".

[[ibrp.org | Cina, un boom dai piedi d'argilla]]

  • X Reed:

nn so se vado fuori*

X Reed:

nn so se vado fuori tema rispetto alla tua richiesta però dai un'occhiata ai reports di Rainews nella sezione "Continente Cina" specialmente quello intitolato "Cina che invecchia" e "Rivolta x il lavoro".

Parlano sinteticamente del potenziale limite allo sviluppo posto oggi dalla politica del figio unico e della rivolta in alcune università cinesi che ha coinvolto oltre 15 mila studenti poco tmepo fa ( una specie di "valle giulia" coi numeri cinesi...)

Ho letto l'articolo, mic, è molto chiaro. Grazie mille. No nick, darò un'occhiata ai reports che segnali. A presto.

Anche l'articolo citato da Duccio in altra discussione, "Crisi del ciclo di accumulazione del capitale e crisi congiunturali", offre precisazioni molto utili.