Parole d'ordine e programma di transizione

Apro una nuova discussione perché si iniziava a perdersi nella precedente sulla democrazia.

Personalmente condivido molto di quanto contenuto nell'opuscolo sul trotskismo della CWO, in particolare l'orientamento critico rispetto al Programma di Transizione basato su valutazioni metodologiche.

Una discussione nel merito della "lettera" del Programma di transizione mi sembrerebbe comunque inverosimile, anche se so che tutti o quasi i trotskisti lo assumono come valido così com'è (un capitalismo-Welby, che agonizza per 70 anni... contro l'evidenza storica).

Altro è invece ragionare sulla necessità in sé di un Programma di transizione. Qui, allora, bisogna partire dalla sua definizione, poiché anche solo l'impostazione di Trotsky non ha retto alla prova del tempo, e anzi il capitalismo si è beffato di molte rivendicazioni "irrealizzabili" nella società borghese, utilizzandole per meglio tirare avanti...

Personalmente credo che una valutazione corretta dell'imperialismo (ancor più nel 2007) ponga la questione così: il programma è esclusivamente la conquista del potere da parte del proletariato. I comunisti intervengono nelle lotte proletarie e tra le sua fila avanzando rivendicazioni di difesa della vita dei lavoratori salariati capaci di enfatizzare la linea di classe e di unificare i settori della classe stessa attorno a obiettivi e battaglie comuni, e in collegamento esplicito all'obiettivo davvero unificante che è il rovesciamento del capitalismo.

Appunto così il mio punto di vista molto in generale, per poi affrontare più puntualmente l'argomento nel corso della discussione. Saluti

Forum: 

  • Ciao Reed,

d'acchito, mi*

Ciao Reed,

d'acchito, mi pare che la questione così posta sia totalmente condivisibile (almeno da me).

Ciao Reed,

Smirnov

Ciao Reed! Bene hai fatto a gettare i dadi,prendendo subito il toro per le corna...Penso che l'ampliamento della discussione su un tema così importante per tentare di indirizzare su come progettare un partito degli operai nel XXI sec.,raffrontandosi con l'esperienza passata dei nostri maestri, sia una cosa da farsi,uscendo dal labirinto delle dichiarazioni ambigue e confuse. Non si poteva iniziare meglio affrontando il tema sul significato e l'attualità della "transizione" nella nostra era,che i filosofi chiamano "post-moderna",ma che noi definiamo dell' " imperialismo multinazionale".Tu sei d'accordo col documento del CWO assunto da BC.Io no! C'è dissenso.Ti scandalizzi? Pensi che io sia un eretico? Come dicevo a Smirnov,confrontiamoci!Senza tergiversazioni e giri di parole. Lo ritengo un pessimo documento e vedremo il perchè in seguito,quando tratteremo i suoi aspetti più in profondità. Per intanto,sul tema del programma transitorio,mi piace stralciare questo passo che getto sul tavolo di discussione. Eccolo! "Quello che infatti Trotsky ci offre è un grande piano per riformare il capitalismo reclamando provvedimenti come nazionalizzazione delle banche, controllo dei lavoratori sull’industria, lavori pubblici e scala mobile dei salari, prima della conquista del potere del proletariato. Esattamente le stesse rivendicazioni “radicali” erano già state avanzate da Keynes, contemporaneo di Trotsky, come progetto esplicito di salvataggio del capitalismo e, infatti, tutte queste misure furono adottate dagli stati borghesi per preservare l’ordine capitalistico.". Ma pensiamo veramente che Trotsky fosse così ingenuo e "stolto", lui che insieme a Lenin al III Congresso dell'Internazionale, aveva redatto le Tesi che introducevano già il concetto di programma transitorio,da separare la formulazione del programma corredato di obiettivi intermedi dalla questione della conquista previa del Potere?

Tale separazione di

Tale separazione di Programma e conquista del Potere è presente nei gruppetti che si fasciano la testa di "bende trotskiste",mettendo alla gogna l'onore rivoluzionario del grande Lev. Non lo nego..non sono qui per difendere questa feccia di opportunisti. Ne cito una ,per fare un esempio, la famosa Lega dei comunisti rivoluzionari di Livio Maitan,che ha tenuto il bordone per tanti anni al PRC di Bertinotti.Questi sì che hanno "socialdemocratizzato" il trotskismo, facendone strame....! In genere tutti i pablisti si sono mossi su questa scia.Ma come si fa ad accusare Trotsky in persona,negli anni'30, come un volgare socialdemocratico. Qui si supera la misura,per il semplice fatto che non si comprende il pensiero del grande compagno di Lenin, pretendendo di superarlo! Il vecchio Hegel scriveva:"Comprendere per superare!".Trotsky invece legava(eccome!) gli obiettivi transitori alla conquista previa del potere politico.E' questo l'asse portante della concezione di "rivoluzione permanente" che è la sostanza del bolscevismo-leninismo.e che Trotsky teorizzò, nel suo capolavoro di dottrina che porta lo stesso titolo,proprio nel 1927, in polemica con Radek e i centristi del partito bolscevico "dopo Lenin"

Nel Programma di Transizione, Trotsky legava gli obiettivi transitori al Governo operaio che era la forma propagandistica della Dittatura del proletariato,rivestita di tale terminologia per meglio renderla accessibile al grado di coscienza del movimento operaio rivoluzionario. E comunque le rivendicazioni transitorie erano solo obiettivi di lotta per prendere il potere,magari in una prima fase,mediante la politica del Fronte Unico, in vista di conquistare la stragrande maggioranza degli operai ancora sotto l'influenza socialdemocratica,completando il programma stesso con quello relativo all'insurrezione cosciente e al programma massimo socialista ,da realizzarsi sempre dopo la conquista del potere.

Anche gli obiettivi

Anche gli obiettivi transitori di tipo democratico (come L'Assemblea costituente o la nazionalizzazione della terra o delle banche) o di tipo transeunte "come il "controllo operaio"" erano obiettivi che avrebbero trovato realizzazione dopo la conquista del Potere in seguito alla preparazione dell'atto insurrezionale cosciente del partito,come nell'Ottobre in Russia. Prima di questo, Lenin ,alla fine di Agosto del !917,fece una proposta a tutti i partiti socialdemocratici russi,compreso quello di Kerensky,affinchè si unissero al partito bolscevico per formare un Governo operaio sulla base di un programma semplice di rivendicazioni,come una vera pace democratica(attraverso un atto rivoluzionario verso il governo russo sotto ipoteca delle borghesie imperialistiche dell'Europa) e la rivoluzione agraria, adottando una politica di fronte unico. Lenin sapeva che i socialdemocratici non avrebbero rotto nè con la borghesia interna nè con quella internazionale, e nonostante questo,ventilò una tale proposta, per smascherare, davanti alle masse operaie e contadine,il ruolo di difensori della borghesia dei capi socialdemocratici e del partito contadino russo.Ecco perchè ,compagni,attaccando il programma di transizione,si attacca lo stesso significato del processo rivoluzionario russo e anche Lenin, ponendosi nella ridicola posizione di chi "sega il ramo (rivoluzionario) dove sta seduto". Ecco,in breve, una mia prima valutazione sul tema da te aperto,compagno Reed. Invito i compagni ad argomentare pacatamente ,senza scatti di nervi e bolle di scomunica papali,se si vuole e si ha il coraggio e la maturità di portare a fondo una discussione di tale portata.Saluti duccio

Ciao a tutti. Certo che non mi scandalizza il dissenso, Duccio, altrimenti non avrei nemmeno aperto una discussione specifica! Prima di entrare nel merito della tua argomentazione, vorrei portare prima l'attenzione su un elemento: la valutazione di Trotsky dell'imperialismo a lui contemporaneo da cui discende "quel" Programma di Transizione; credo che da quello che io ritengo un errore non privo di un certo impressionismo, dipenda (anche nel metodo) un PdT espresso con quei contenuti. Nell'articolo della CWO la cosa è sottolineata per me correttamente, e mi sembra un elemento chiave da cui partire.

Voglio dire che prima di essere una questione tattica, della quale possiamo poi discutere, è una questione teorica e politica di portata molto vasta. A farla breve, ritieni, Duccio, che la valutazione di Trotsky ("crisi permanente/rivoluzione permanente" nella schematizzazione dell'articolo), fosse all'epoca e/o ancor ora corretta? A me sembrava, da precedenti interventi, che tu ritenessi sostanzialmente ancora attuale quella premessa al programma di transizione (e quindi il pdt stesso).

Mi sono riletto l'articolo citato dal buon Reed, e devo dire che non potrebbe essere detto in maniera migliore.Come impianto generale, senza dover per forza dargli adosso ai trotzkijsti, fatto in queste discussioni, per nulla scontato, si contrappone nettamente al programma di transizione.Inoltre infierire sul proletariato con tale teoria(senza parlare cosa ne consegue)è farsi gabbare apertamente dal capitale, vista la portata e la costante frequenza degli attacchi del capitale.

Saluti

Rivolunzio

Ps interessante l'ultima questione posta da Reed a Duccio.

Ciao Reed,cerco di

Ciao Reed,cerco di rispondere alle tue ultime domande in più riprese e partendo da un' introduzione teorica proprio del concetto di crisi.

Il problema della crisi permanente non fu affrontato da Trorsky in modo "impressionistico".Senza la presenza della crisi nel modo di produzione capitalistico,il capitale sarebbe eterno e si riprodurrebbe sempre secondo il tempo circolare di Hegel o di Nietzche: l'eterno ritorno! Il concetto di crisi è quello che "corre attraverso l'intero sviluppo del capitale e diventa il concetto della lotta di classe".Come analizza magistralmente Marx,nel Grundrisse,"..il concetto di crisi è il concetto del tempo stesso,perchè,sotto il Capitale, il tempo è il tempo della crisi(...)".Esso investe il processo di realizzazione del denaro in capitale.E' la differenza tra M e M'.Fondamentalmente il modo capitalistico di produzione richiede a) la conversione del valore d'uso in valore di scambio;b) la riduzione della forza-lavoro in merce:c)la creazione di plusvalore. Insomma,durante il funzionamento del Capitale,il lavoro vivo si deve ridurre in lavoro astratto,in lavoro oggettivato mediante una "continua rivoluzione morfologica del modo di produrre" che getti le condizioni di un comando impersonale,oggettivo,del capitale, già nel processo spontaneo di produzione e di scambio, ma anche impedisca la resistenza del lavoro salariato allo sfruttamento capitalistico attraverso la costituzione,sul terreno sociale e politico,degli organismi di lotta operai e del legame con la coscienza esterna del partito,consentendo al lavoro vivo Living labor) di soggettivarsi nel tempo (dopo che esso ha incominciato a oggettivarsi nello spazio funzionale della sovrastruttura:sociale,politica etc.

Col prossimo intervento entrerò nel cuore della tua domanda relativa al giudizio di crisi,negli anni'30,formulato da Trotsky e della sua connessione con il principio programmatico di transizione! Saluti,duccio

Scendendo dal cielo della

Scendendo dal cielo della teoria,Reed,ti rispondo che il fatto che Trosky,negli anni "20-40, ritenesse che la situazione obiettiva del Capitalie (quella relativa alla regolarità delle sue leggi di funzionamento e di sussunzione della forza lavoro sotto

il suo potere di riduzione del lavoro vivo in lavoro astratto) fosse in preda a una crisi mortale ("Agonia mortale del capitalismo") non derivava da una visione oggettivista-meccanicista dell'economia capitalistica, ma dal fatto di osservare dovunque la ribellione delle forze produttuve e della forza lavoro dentro i processi di accumulazione del capitale nel mondo.

Le crisi rivoluzionarie,gli scioperi,le guerre civili in Europa e in Asia,dopo la fine della Grande Guerra,l'anarchia del funzionamento capitalistico,le crisi di sovrapproduzione,quelle finanziarie,con le cadute nel baratro dell'economia tedesca e poi,nel'29,quella di Wall Street,la disoccupazione e le lotte sociali negli Usa degli anni '30, gli sperperi immensi delle spese statali capitalistiche,i fascismi e il nazismo che lasciavano profilare l'imminente scoppio della Seconda guerra mondiale,che sarebbe stata la tomba e il declino del capitale europeo,tutte queste cose erano sotto gli occhi di Trotsky . Il quale,però,constatava come la potenzialità altissima della crisi obiettiva del capitalismo imperialistico si accompagnava a un grave ritardo nelle condizioni soggettive della lotta.Come dire: le masse lottavano a livello sociale e politico,ma era carente la coscienza rivoluzionaria e il partito che doveva affannosamente cercare di approfittare per trasformare in atto ciò che era maturo in potenza.Da qui,il suo concentrarsi nel lavoro politico,lavorando con gruppi e gruppetti i cui quadri non erano certo alla sua altezza e competenza rivoluzionaria.

Ma egli sperava di formarli

Ma egli sperava di formarli in tempo,e per questo fondò la Quarta Internazionale,ben sapendo che il processo di formazione non era ancora compiuto. Non dimentichiamo,poi, di mettere i conto,nella frenata a tale processo,l'azione dello stalinismo,che decimò in modo selettivo i quadri migliori della Nuova Internazionale (compreso uno dei suoi figli a Parigi),anche prima dello scoppio della Guerra.

Trotsky fece ,nel corso degli anni '20 (i.e.vedi lo scritto "La Terza Internazionale dopo Lenin") una riflessione che gli fece comprendere come,l'era dell'Imperialismo e del capitalismo in declino, trascinasse con sè,nella parabola discendente del ciclo lungo capitalistico (Conosceva la teoria di Kordajeff sui cicli lunghi della storia che valutava nell'ordine dei 50 anni circa),situazioni specificate che creavano delle fasi in cui ai combinavano situazioni obbiettive e soggettive a diseguale stato di sviluppo,che rallentavano il processo verso altre situazioni più o meno acute, o più o meno avanzate dal punto di vista socio-politico,onde era necessario sfoderare dei programmi d'azione con obiettivi più specificati (La strategia elaborata sulla fase corrispondente al livello di coscienza media delle masse rivoluzionarie e sul grado di sviluppo storico delle forze produttive) che richiedeva delle tattiche ad hoc per raggiungerli. Erano le cosiddette situazioni transitorie,per cui ci si poteva trovare di fronte a una situazione prerivoluzionaria,rivoluzionaria, o controrivoluzionaria,o non rivoluzionaria.

Tutto questo lo attribuiva alle nuove capacità di gestione delle crisi,anche a livello internazionale,secondo cui ,da parte del capitalismo monopolistico. Tali situazioni (transitorie) si affacciavano,particolareggiandosi,secondo una maggiore complessità che Marx stesso non aveva potuto constatare nella sua epoca di capitalismo concorrenziale.

Duccio, quello che scrivi però mi pare non spieghi affatto il carattere di //permanenza// della crisi, che era la questione centrale posta da Reed. No?

Ciò che bisognerebbe analizzare è la caduta tendenziale del saggio medio del profitto. E' questa caduta, quando da tendenziale diventa attuale, a determinare le cicliche crisi del capitalismo. Ma una cosa è la tendenza alla crisi, una altra cosa è il suo manifestarsi concreto.

Se non partiamo dal riconoscimento della ciclicità di queste crisi (non tanto e non solo perchè conforme alla teoria marxista, ma soprattutto perchè reale, tangibile) non giungiamo a niente. Che senso ha allora parlare di crisi permanente?

In ogni caso il programma di transizione poteva essere in gran parte adottato dai regimi capitalisti anche in fase di crisi, accentrando nello stato gran parte delle leve economiche e dei mezzi di produzione. Solo che questo non ha niente a che fare col socialismo, che richiede anzi di spezzare la macchina statale borghese.

Figurarsi allora la forza del programma di transizione in fase di crescita economica! Si, perchè //imperialismo// e //decadenza// non coincidono con //crisi//, ma sono caratterizzati anche da fasi di //espansione//.

Poi ci sarebbe da chiarire meglio la questione dell'anarchia capitalista. Ne parleremo.

Constatava anche l'accadere

Constatava anche l'accadere di bruschi cambiamenti che creavano il passaggio da una situazione all'altra in maniera così improvvisa da sorprendere le più avvedute avanguardie politiche. Onde la necessità di avere programmi di transizione,quadri agili che sapessero adattarsi ai cambi bruschi di situazione,e grande flessibilità tattica nell'applicazione della politica rivoluzionaria per conquistare il movimento di massa rivoluzionario.

Con questo mi fermo qui,per ora,lasciando a voi l'opportunità di intervenire per approfondire e chiarire le questioni che il compagno Reed ha sollevato. Anche per riportare,di seguito, ai tempi nostri, la validità o meno della metodologia di Trotsky nell'inquietante era che si profila per noi,posteri, carica di crisi ,guerre e rivoluzioni a cui assisteremo,almeno fino al 2030, come completamento del ciclo capitalistico,inaugurato dopo la fine della guerra fredda e dell'implosione dell'URSS.

Saluti a tutti i compagni! duccio

Effettivamente mic riporta la discussione a ciò che intendevo. Quello che scrive Duccio spiega perché Trosky vedesse crisi in quel momento storico, e come decise di attrezzarsi per fornire una risposta delle avanguardie politiche della classe (anche qui la cosa potrebbe essere discutibile, ma magari non ora). Però mi sembra incomprensibile appunto quella "permanenza", il ritenere che "le premesse oggettive della rivoluzione proletaria non solo sono mature, ma hanno addirittura cominciato a marcire", che il capitalismo sia in "decomposizione". Questa era la premessa logica delle rivendicazioni di transizione, che effettivamente sono state applicate variamente da varie borghesie senza problemi (proprio perché non c'è permanenza nella crisi, ma ciclicità). Si può ancora sostenere oggi acriticamente quell'elaborazione trotskiana, come se la storia si fosse congelata?

Ciao Mic! Trotsky parla di

Ciao Mic! Trotsky parla di crisi permanente riferito alla fase discendente del ciclo storico del capitalismo,che inizia con la prima guerra mondiale del 1914,dopo la fase ascendente 1871-1914, appunto. Come Lenin,che respingeva le tesi ultraimperialiste di Kautsky,non per concetto,ma per impossibilità di mantenere le forze produttive in avvenire dentro i rapporti di produzione capitalistici,anche Trotsky non osava pensare che ciò potesse accadere e fidava nello sviluppo della Quarta Internazionale durante la Seconda Guerra mondiale. Tant'è che egli,ipotizzando la sopravvivenza del sistema alla fine della seconda guerra mondiale e l'incapacità del proletariato rivoluzionario di andare al Potere tanto in Russia quanto in Europa, preconizzava una decadenza del sistema capitalistico-imperialistico e un rinvio dell'assalto rivoluzionario che poteva protrarsi per...secoli!!! Faceva il paragone spesso con le regressioni epocali della borghesia durante il sec.'500,che difatti si riprese dopo quasi due secoli (a parte la rivoluzione inglese del New Model,troppo circoscritta all'Inghilterra). Quindi il concetto di crisi permanente era riferito alla fase calante del ciclo storico imperialistico! Seguirono,dopo l'ultima guerra,altri due cicli storici:quello del 1945-1989-91; e quello attuale,nel quale ci troviamo noi contemporanei,che si va dirigendo verso una nuova fase calante: che segue laripresa con l'apertura dei mercati Dell'Est Europa e di quelli asiatici (Cina ed India in particolare),a cui seguirà.forse tra 4-5 anni, la fase discendente,durante la quale il concetto di crisi,diventerà il tempo del Capitale nella sua lotta per la sussunzione del living labor al valore di scambio sotto il Capitale(Vedi il mio primo messaggio teorico,all'inizio di questo dibattito).Duccio

Vedi Reed, pensare che un

Vedi Reed, pensare che un dialettico come Trotsky metafisicizzi la storia intendendo per "crisi permanente" del sistema capitalistico,la sua esistenza come un' "astrazione imbalsamata" e non" in processo",nel quale sta fissando un momento storico del ciclo lungo capitalistico , è cosa da !petty thinking" per uno che era abituato a pensare "in termini epocali e di continenti".

Poi, non ritengo marxisticamente corretto dire che la causa del manifestarsi della crisi,stia nella caduta tendenziale del saggio di profitto,come indica Battaglia in tutti i suoi documenti. Lo trovo metodologicamente deterministico e non materialistico.Mi spiego meglio: la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto "rivela" una condizione del Capitale come un'astrazione reale che domina il lavoro vivo il quale nell'atto di erogare il lavoro trasforma quest'ultimo da lavoro concreto(come qualità,creazione) in lavoro astratto(erogazione sotto l'aspetto quantitativo) che si obiettiva nel prodotto-merce (la sostanza di valore); invece,la crisi è il risultato della resistenza del lavoro vivo allo sfruttamento capitalistico,dunque,essa è prodotta dalla forza lavoro che si soggettivizza. Il primo aspetto rivela l'essere (esso rappresenta il tempo heideggeriano),il secondo,al contrario,"produce" l'essere come forme di resistenza al dominio del capitale e,come "potere costituente",che crea la crisi.Come si vede,il tempo marxiano è dato dall'affermazione del living labor(lavoro vivo) nella e attraverso la produzione,mettendo in crisi il capitale che,attraverso la sua dialettica circolare,ricostituisce la sua propria identità di astrazione reale. Alla prossima,duccio

Caro Duccio, sulla crisi non siamo affatto d'accordo!

La vecchia teoria operaista secondo cui, per usare le tue parole, la crisi "è il risultato della resistenza del lavoro vivo allo sfruttamento capitalistico, dunque, essa è prodotta dalla forza lavoro che si soggettivizza" (teoria che tanto successo ebbe nella "nuova sinistra" italiana, vedi Panzieri, Tronti, Negri, ecc.) è,innanzitutto, assolutamente estranea all'analisi di Marx sulla crisi (vedi il III libro del Capitale e altro), e risulta inoltre sistematicamente smentita dalla storia del capitalismo che è andato incontro alle sue crisi indipendentemente dal livello della lotta di classe la quale, tutt'al più, è un fattore che può accelerare la crisi stessa.

In proposito Battaglia ha scritto molto, si vedano gli indici di Prometeo.

Fra le ultime pubblicazioni suggerisco il libro "Criticando Negri" di Mauro Stefanini (10 euro), dedicato alla critica del pensiero di Toni Negri nella sua fase operaista (anni '70/primi anni '80). Viene, in particolare, smontata la lettura soggettivistica - una vera e propria mistificazione! - dei "Grundrisse" di Marx.

A proposito,caro Gek,volevo chiederVi il libro di Mauro Stefanini (credo deceduto da poco) "Criticando Negri".Dove potrei trovarlo? Tuttavia volevo tranquillizzarti a proposito dell'appaiamento delle mie acquisizioni teoriche marxiste al pensiero e alle interpretazioni di Potere operaio e del suo teorico più famoso,Tony Negri..del quale avevo letto anni addietro il libro, "Oltre Marx",credo uscito alla fine degli anni,"90 (se non sbaglio).Durante la lettura di questo libro avevo annotato: a) nega la dialettica materialista;b) Considera i Grundrisse autonomi dal Capitale (contrariamente a Rosdolsky che considera questa opera di Marx un "rude abbozzo"come preparazione al Capitale e in continuo riferimento alla Logica di Hegel .Io sono d'accordo con Rosdolsky);c)Negri proviene dall'esperienza di Autonomia Operaia che,tu sai,nega il Partito come coscienza introdotta dall'esterno e testa pensante con cui solo la soggettività operaia si può realizzare almeno nelle prime fasi del processo verso il socialismo,a partire dalla conquista del potere politico; d) Il suo metodo è ispirato ad Althusser e Deleuze,avversari della dialettica,a cominciare da quella hegeliana; e ) considera la dialettica una volgare metafisica,e il marxismo un sapere formale che non deve necessariamente cogliere la struttura essenziale dei fenomeni immediati che vengono interpretati a livello soggettivistico-psicanalitico secondo i metodi dello strutturalismo francese.

Ti sembra che chi scrive rientri nel laboratorio concettuale di un pensatore,per me analogo al Proudhon del XIX sec,come Tony Negri appunto? Stai scherzando? Ma allora,io e tu dobbiamo fare il discorso sul rapporto struttura/ sovrastruttura che è poi il discorso che Marx aveva appena cominciato scrivendo,nel III Libro del Capitale,l'ultimo capitolo, incompiuto, sulle classi!!! A presto.duccio

Rispodere alla domanda

Duccio,

a scuola il compito in classe di italino coniste nello svolgere un tema assegnato dal professore. Alla questione di GEK scrivi totalemte fuori tema. Ti meritesti un bel 4 !

A volte bastano semplici aggettivi per chiarire le questioni, la crisi ECONOMICA non è una astrazione, è il motore della crisi più generale della crisi della società capitalistica. Semplice semplice....

Mi sa tanto che dietro a cotanta erudizione si nascondano teorie difficili da palesare, sicuramente eretica rispetto al pensiero di Marx.

Mi sei simpatico però quando vuoi riprendere in mano le questioni lasciate in sospeso dal non compiuto III libro del Capitale. Ti consiglio di scrivere qualche libro, magari con un bel Nom de plume, Duccio porterebbe al duccismo e non suona bene, che ne so, magari grul che ne dici?

  • Ciao Duccio,

il libro di*

Ciao Duccio,

il libro di Mauro su Negri lo puoi richiedere direttamente alla nostra amministrazione (anche attraverso il sito) oppure, se sei vicino a qualche nostra sede, prenderlo direttamente lì.

Per il resto, Gek ha completamente ragione sia nell'indicare la causa prima delle crisi nella caduta del SMP (cioè, non fa altro che aderire al metodo di Marx) che nell'accostarti, almeno per questo aspetto specifico, alle teorie che impazzarono in Italia tra gli anni '60 e '70, le quali individuavano nella cosiddetta insubordinazione operaia (comunque essa si presentasse: sabotaggio, rifiuto del lavoro e chi più ne ha più ne metta)l'origine della crisi. Giustamente tu elogi Rosdolsky, che ha scritto un gran libro (a mio parere, uno dei pochissimi onesti sulla ricostruzione del metodo marxiano): anche lui sottolinea correttamente che per Marx la crisi si orgina dalla caduta del SMP. Poi, ovviamente, ognuno è libero di pensarla come vuole e discostarsi da Marx in tutto o in parte, ma questa è un'altra questione.

Ciao Duccio,

Smirnov

PS Se non ricordo male, il libro di Negri "Marx oltre Marx" venne pubblicato dalla Feltrinelli alla fine dei '70 e ripubblicato dalla Manifestolibri qualche anno fa. Ciao ancora.

Ciao Smirnov.. credo che il

Ciao Smirnov.. credo che il libro di Negri,"Marx beyond.." appartenga senz'altro alla decade degli anni'90(non ricordo bene se all'inizio o alla fine. Ma tutto può succedere: anche un colpo di amnesia e finora non ho avuto voglia di andare a verificare la data esatta). Non basta dire che questo o quel compagno ha ragione,e basta! Bisogna argomentare con il metodo di Marx in mano,altrimenti cadiamo in discussioni dove prevalgono le tifoserie...Io lo farò,se volete,ma devo sentire qualcuno che argomenti altrimenti qui finisce tutto in monologo e con interlocutori che si limitano a dire "ha ragione,non ha ragione" con la logica dell'algoritmo del computer. Un vero confronto richiede sforzo di ascolto e di percezione delle interpretazioni dell'altro..Se ci si limita solo a definirmi gratuitamente un "soggettivista",tipo Potere operaio, significa cacciare gli interlocutori dove più ci fa comodo. Poi constato che qualcuno,(non voi,) già ventila degli insulti di basso gusto (come il fantomatico Babeuf). Forse non è la sede adatta per una discussione seria e pacata, e io non voglio far perdere tempo a nessuno,tanto meno a me stesso! Aspettiamo che le more...maturino! Io ho risposto a mic e a Reed.Così pure a Gek..se si vuole approfondire ulteriormente fatevi avanti,altrimenti lasciamo perdere!

Compagno Smirnov,io abito a Lecco, appena viaggerò per Milano,farò un salto presso la vostra sede per procurarmi il libro in parola. Per intanto,i miei ringraziamenti per avermi veicolato...Salutissimi. duccio

Vedi Duccio che quando si viene insultati o canzonati non si ha voglia di proseguire la discussione con l'insultante canzonatore?

Non lo dico per riaprire una polemica, eh :-))

Non ho ancora scritto nulla sulla discussione che state portando avanti perchè in questo momento non avrei il tempo di argomentare a fondo, e finirei, come dice Duccio, a scrivere "qui sono d'accordo con..." e "qui dissento da...ecc...".

Ci tengo solo a chiedere una cosa: mi pare che Reed dica che in molti paesi capitalistici le rivendicazioni del programma di transizioen sono state applicate e questo non ha portato al socialismo.

Trotskij non dice mai che una rivendicazione o due sarebbero bastate a cambiare il sistema. Non ricordo paesi capitalistici dove la produzione sia controllata dagli operai, le forze armate siano state sciolte e sostituite da una milizia operaia, i grandi gruppi capitalistici e bancari espropriati, la costruzione di un contropotere basato sui soviet... questo e tanto altro c'è nel programma di transizione,veramente non conosco paese capitalista che possa andare in questa direzione tranquillamente!

BESOS

Credo che il forum - oltre a essere veicolo per far conoscere le nostre posizioni generali - debba servire più che altro a fornire stimoli per (eventuali) approfondimenti che, di certo, questo mezzo non permette di affrontare.

Il rischio è la superficialità.

Per cui, Duccio, visto che la distanza fra i nostri punti di vista riguardo alla crisi mi pare sia enorme (al di là dei fraintendimenti), non credo che si possa - né che sia utile - cercare di sviscerare la questione sul forum.

Sulla caduta del saggio del profitto come causa prima delle crisi, si veda il datato ma ancora validissimo articolo uscito su un Prometeo del 1988 (IV serie):

[[ibrp.org]]

Ciao, rispondo al volo a Pietrotskij: per la verità non ho mai scritto niente del genere... la cosa che sottolineavo non è che... non si è arrivati al socialismo, ma che l'applicazione di alcune rivendicazioni non è "questione di vita o di morte" ("Si tratta di difendere il proletariato dalla decadenza, dalla demoralizzazione e dalla rovina. Si tratta di una questione di vita o di morte per la sola classe progressiva e quindi dello stesso avvenire dell'umanità". dice Leone) ecc. ecc.. Per esempio la scala mobile, l'espropriazione (da parte di chi?) di grandi gruppi ecc.. Per Trotsky la praticabilità o l'impraticabilità di tali rivendicazioni era questione di rapporti di forza, ma lo "scenario" non prevedeva mutamenti del ciclo, e infatti l'esito della storia umana diventava da lì a breve socialismo o una barbarie totalitaria su vasta scala. Come diceva per esempio Duccio "Tant'è che egli,ipotizzando la sopravvivenza del sistema alla fine della seconda guerra mondiale e l'incapacità del proletariato rivoluzionario di andare al Potere tanto in Russia quanto in Europa, preconizzava una decadenza del sistema capitalistico-imperialistico e un rinvio dell'assalto rivoluzionario che poteva protrarsi per...secoli!!!". Proprio qui io vedo il problema! La portata che Trotsky attribuisce al Programma di transizione è legata integralmente alla concezione che lui esprimeva della fase storica, come dicevamo prima. Ritenere che quella fotografia trotskiana sia ancora veritiera oggi mi sembra curioso. In ogni caso spero di aver risposto al tuo dubbio.

Si Reed,ho capito cosa intendevi.

Penso che la seconda guerra mondiale e il ciclo di crescita che ne è conseguito abbiano cambiato la fase rispetto alla fine degli anni '30.

Mi sembra però che il capitalismo stia nuovamente tornando in quella situazione (l'alternativa socialismo o barbarie,per intenderci) e quindi quelle rivendicazioni potrebbero nuovamente essere una questione di vita o di morte.

Ne riparleremo, comunque.

BESOS

Mi sembra importante quello che dici, Pietrotskyij, perché conosco molte posizioni di chi si richiama a Trotsky più organicamente di quanto evidentemente non faccia io che non contemplano questo cambiamento di fase, con una posizione poco onesta oppure per niente ragionata, un po' fidelistica. Tra l'altro ritengo chiaro da molte cose scritte da Trotsky in quel periodo che lui stesso ritenesse la Seconda guerra mondiale uno spartiacque che avrebbe portato precisione anche a formulazioni che non potevano essere statiche, come quella di stato operaio degenerato, per esempio. Non si può fare la storia con i se, naturalmente, ma credo comunque che Trotsky avrebbe deriso la maggior parte di chi ne ha assunto poi il nome, divisi tra manifesto opportunismo e ortodossia a una dottrina, potremmo dire mutuando il termine dalle religioni monoteistiche, "del Libro". Questo cambiamento di fase non è da poco, perché mette in crisi la metodologia e le sintesi teorico-strategiche di Trotsky. E' necessario rendersene conto. Io credo che di conseguenza la logica che sottende il Programma di transizione ne risulti minata nelle fondamenta. Anche perché quel film della storia non era semplicemente in pausa e scambiato per "in esecuzione", ma non del tutto corretto neanche come fotografia. Saluti

Apprezzo le conclusioni

Apprezzo le conclusioni assennate sia da parte di Reed che di Pietrosky. Avere riproposto ,nel Dopoguerra, il programma di transizione nelle fasi di "bonanza" del processo accumulativo,anzichè un programma minimo, è stato un errore donchisciottesco da parte di tutti i gruppettari pseudi-trotskisti . Anzi,dirò di più: persino nelle fasi discendenti del ciclo lungo capitalistico, se non si risolve prima,con anticipo, il problema della formazione di una dirigenza rivoluzionaria,nessun processo rivoluzionario potrà portare al potere dei soviet contro il parlamentarismo. Su questo punto concordo al 100% con Trotsky!Per quanto riguarda,invece, il tema che si stava sviscerando sulla differenza tra concetto di crisi e legge della caduta essenziale del saggio medio di profitto,prendo atto del determinismo economico di Battaglia che identifica immediatamente "causalità" e "libertà" e che riduce il marxismo a un positivismo da seconda Internazionale,cosa che produce,questo sì,un'enorme distanza tra noi,che ritengo incolmabile. Giusta quindi la mia intenzione di fermare qui il discorso, anche per non disturbare le certezze dogmatiche di qualcuno! Ma le delimitazioni verso certe impostazioni,non significano per me un passo indietro,ma un progresso,come diceva Lenin (riprendendo un pensiero di Lassalle)Perciò.la nostra discussione ha già sortito un effetto positivo,se non altro ci conosciamo meglio!

Saluti tra compagni di strada....Duccio

Errata corrige:ho scritto sopra "caduta essenziale del SMP...".E' un lapsus calami" al posto di " caduta tendenziale...".saluti duccio

  • Ciao Duccio,

ovviamente non*

Ciao Duccio,

ovviamente non concordo affatto con le tue conclusioni e non capisco da dove tu deduca il nostro presunto economicismo da Seconda Internazionale di stampo positivista. Evidentemente non ci capiamo per differenze di impostazione di fondo, per cui più che rimandarti alla lettura dei nostri documenti in proposito, non saprei cosa aggiungere (e non è un modo sbrigativo per "liquidarti": rinvio a quanto detto da Gek). Marx è chiarissimo su questo aspetto e noi anche, sulla linea di Marx o, meglio, per non personalizzare, sulla linea del metodo messo a punto da Carlo e Federico.

Ciao Duccio, ci saranno altri argomenti su cui discutere,

Smirnov

PS Non intervengo sulla faccenda programma di transizione, perché mi pare che Reed dica quanto basta e bene, per cui...

Caro Duccio, determinismo economico, positivismo e II Internazionale non appartengono al patrimonio storico e teorico di Battaglia e credo che tu lo sappia.

Se la vuoi buttare su questo piano non ci vuole niente a chiamarti soggettivista, volontarista, antimarxista e via di seguito. Ma servirebbe solo a perdere tempo.

Prendiamo atto delle reciproche posizioni e cerchiamo di dialogare senza scadere nella provocazione sterile.

Mi scuso per la lunga assenza. Anche se forse è presuntuoso da parte mioa pensare che qualcuno attendesse con ansia qualche mio intervento. Vorrei anche accettare l'invito di Duccio ad un confronto più pacato, che tra l'altro mi appartiene come metodo più che gli attacchi personali che gli ho rivolto. La mia è stata in effetti una reazione fin troppo stizzita ad un suo atteggiamento che ho ritenuto di sufficienza nel commentare alcuni miei post.

Vorrei comunque invitare Duccio a spiegarmi meglio cosa intende quando parla di impedire "la resistenza del lavoro salariato allo sfruttamento capitalistico attraverso la costituzione,sul terreno sociale e politico,degli organismi di lotta operai e del legame con la coscienza esterna del partito,consentendo al lavoro vivo Living labor) di soggettivarsi nel tempo". Forse intendevi dire aumentare più che impedire? O non ho capito cosa intendi.

Poi forse quelli di Battaglia conoscono bene le tue posizioni ma io non ho capito. Non penso che tu possa ritenere la crisi un prodoto esclusivo delle lotte di classe. Quindi quale importanza dai secondo la tua impostazione alla situazione economica, a ciò che quì sul forum viene riassunto come caduta del saggio di profitto?

Vorrei anche sapere perchè tu dividi il ciclo che va dal secondo dopoguerra ad oggi in 2 cicli distinti. E in base a cosa prevedi che il declino di quest'ultimo ciclo inizierà con la tempistica che hai indicato?

Caro Zazza,ti rispondo

Caro Zazza,ti rispondo volentieri anche perchè m'incanta la tua franchezza e la tua onestà intellettuale. Prima di tutto non devi scusarti per i toni "stizziti" a mio riguardo: nel confronto delle posizioni, i toni,l'ironia,i sarcasmi fanno parte della lotta teorica ,e direi anche "a buon diritto". Mi danno fastidio invece le calunnie,e gli insulti gratuiti,segno di rozzezza culturale e anche di scarsa sensibilità tra compagni. A quelli preferisco non rispondere,salvo sferrare "uno schiaffo" risolutivo che vuole indicare la fine dei rapporti personali con tali interlocutori.

Risposta sintetica alla tua prima domanda:"...impedire la resistenza operaia da parte del capitale!".Il capitale non sopporta le "differenze" durante i suoi cicli che cercano di sottrarsi alla sua sussunzione sotto le sue procedure assolute di valorizzazione. La classe operaia che cerca di affermarsi come soggetto indipendente,dapprima oggettivamente(leggi:spontaneità e oggettivismo delle lotte sui vari piani del reale,secondo lo spazio funzionale) e poi,soggettivamente(nel tempo,secondo la sua durata dentro il processo produttivo),collegandosi alle avanguardie di partito,rappresenta per il capitale un pericolo mortale, onde fa tutto il possibile perchè il Living Labor non raggiunga la sua identità "per sè".

riguardo alla tua seconda

riguardo alla tua seconda domanda:"che cosa è la crisi...?",essa non è il limite che gli assegnerebbe il funzionamento automatico del Capitale,quale la legge della caduta tendenziale del SPM, Marx lo dice esplicitamente nel III libro " il limite del capitale è il capitale medesismo...",ma quello della resistenza che il lavoro vivo (concreto), mediato dal capitale (lavoro morto) oppone alla sua riduzione ciclica a lavoro astratto, cercando l'identità di sè come lavoro creativo a tutti gli effetti e in quanto soggetto assolutamente indipendente dal capitale al quale si oppone in assoluto(cioè:in tutte le sue articolazioni e determinazioni).

La legge della caduta del SMP è il "cancro" del capitale,appartiene a questo ente come un attributo alla sostanza; mentre la crisi è il "modo" con cui il Capitale manifesta la sua transitorietà,il suo oltrepassamento,la sua "non eternità" come modo storico di produzione. Tant'è che non è la crisi il prodotto della legge sulla caduta .....,bensì è il sorgere delle crisi (per effetto dell'aumento dei salari,durante la fase prospera del ciclo di accumulazione)che determina

le modificazioni nel rapporto tra capitale costante e capitale variabile,in valore e in volume. Sotto il determinismo della legge del valore,espressa nella legge assoluta della caduta(tendenziale) del SPM, non accadrebbe mai il processo di emancipazione del lavoro vivo. Ammenochè non si voglia cadere nelle meccanicistiche concezioni espresse dalle "teorie del crollo",che non rientrano nel pensiero marxista!

Sulla divisione ciclica da me operata,ti risponderò un'altra volta...ciao duccio!

Invece a ai nostri ospiti di battaglia ribalto la questione. Il SMP ha un'importanza fondamentale nel procedere del ciclo di accumulazione. Ma anche il saggio di profitto non è che vada su e giù a seconda dell'umore. Anch'esso deve fare i conti con numerosi fattori in gioco che ne determinano l'andamento. Tra questi fattori battaglia mette in risalto anche il livello di lotta di classe. Se non mi sbaglio. Anzi paradossalmente mi bacchettate perche io non tengo ben in considerazione questo fatto.

Allora ritengo che il fatto che battaglia ritenga che "la causa del manifestarsi della crisi,stia nella caduta tendenziale del saggio di profitto", sia un modo di semplificare il discorso, invece che l'esatta espressione di una teoria economica. Visto che sono duro di comprendonio, e che ancora non sono riuscito a parlare di persona con i vostri compagni di Bo, potete approfondire ancora questo discorso? Che in realtà mi interessa molto.