Milano, 13/12 - Assemblea pubblica

Un futuro sempre piu’ incerto per i giovani

Mercoledì 13 dicembre 2006, ore 16,30

Universita’ degli studi Milano-Bicocca, p.zza dell’Ateneo nuovo 1 - Edificio U6, aula 39

Tram 11-7 - MM1 Precotto (navetta)

Perche’ dal lavoro fisso si va verso il lavoro precario?

Inizialmente non pochi opinionisti e politici parlavano dell’introduzione dei contratti atipici come di una grande opportunità che avrebbe, tra l’altro, completamente modificato il modo stesso di intendere e percepire la condizione dei lavoratori nell’ambito dell’azienda: non più dipendenti ma “imprenditori di se stessi”.

L’affermazione (che oggi suona come una presa in giro), nella sua semplicità voleva anche rappresentare (falsamente) un “nuovo” modo di intendere i rapporti contrapposti fra capitale e lavoro: le classi sociali nella società post-industriale non esistono più, ci sono solo individui in perenne e reciproca competizione che, per affermarsi, fanno propria la logica del mercato.

Individui visti quindi come tante microimprese (che, nella maggior parte dei casi, non si contendono lauti profitti ma il necessario per arrivare a fine mese) ed i meccanismi della concorrenza quali principali regolatori della vita sociale.

La facile retorica non ha comunque potuto a lungo mascherare le conseguenze che il cosiddetto lavoro atipico o flessibile ha comportato: insicurezza sociale, contenimento del salario, difficoltà (per non dire impossibilità) di costruirsi un percorso pensionistico, assenza dell’indennità di maternità e della cassa di malattia, solo per citare alcune nefande conseguenze.

In definitiva ci troviamo di fronte ad una forza lavoro “usa e getta”, facilmente sostituibile e ricattabile, che può essere dimessa ed inserita nei processi di produzione a seconda delle transitorie esigenza delle imprese e del mercato.

Il cosiddetto “imprenditore di se stesso” vive quindi una condizione di subordinazione nei confronti del capitale, dei suoi ritmi e delle sue necessità di accumulazione, sicuramente maggiore rispetto al lavoratore dipendente “garantito”.

La precarizzazione, ben lungi dal rappresentare un fenomeno nazionale frutto di scelte “scellerate” della classe politica nostrana, caratterizza attualmente, pur con intensità e forme differenti, il rapporto fra capitale e lavoro nella maggior parte dei paesi a capitalismo avanzato.

È quindi importante, a nostro avviso, denunciare questa realtà nel quadro più generale della fase storica di crisi che sta vivendo il capitalismo, analizzando contraddizioni e limiti che portano l’attuale sistema economico, nonostante l’enorme incremento della produttività del lavoro e quindi della ricchezza sociale prodotta, ad attaccare costantemente le condizioni di vita dei lavoratori, a ridurre salari e pensioni, a smantellare lo stato sociale.

Pensiamo che il marxismo, quando non sia ridotto ad un insieme di dogmatiche enunciazioni, possa ancora rappresentare l’indispensabile strumento per comprendere e modificare lo stato di cose presenti.