Riscatto dell'Umano

Con una radiografia della società americana, Vance Packard in un saggio di sociologia popolare ci fa una descrizione aquanto esauriente di taluni aspetti di quela realtà.

L'ultima sua pubblicazione è dedicata agli scalatori della piramide sociale, e cioè ai dirigenti in genere, che nel vicendevole sorpasso, non disdegnano mezzo alcuno, pur di eliminare il concorrente, presi come sono dalla smania di giungere il più alto possibile, sulla scala dei cosiddetti valori.

In un paese dove l'intera popolazione è in bala del più vieto conformismo, incapace di scelta alcuna, e gli uomini vivono come polli di un enorme allevamento, ingabbiati nelle stie del capitalismo, privi di un'ideologia qualsiasi, con la retorica del businessman, così prossima a quella del gangster, succubi della pubblicità che impone loro una melensa idolatria dei consumi, gli scalatori della piramide, veri e propri cacciatori di teste, trovano nell'ambiente disumanizzato di tale società meccanica, gli addentellati per arrampicarvisi, nell'assenza di scrupoli, nella dilagante mediocrità di un'eccessiva razionalizzazione, nel managerismo, nell'uso indiscriminato della psicotecnica come metro di valutazione delle capacità intellettive dell'uomo, nel servilismo di una epoca che suol richiamarsi ad un tipo di libertà anch'essa sfornata come una merce dalla squallida civiltà dei monopoli.

Lo straccio che imita il dirigente più elevato fino ad indossare i calzini dello stesso colore, a fumare le stesse sigarette, ed a scimmiottarne le inflessioni vocali, merita di venire appeso alla famosa statua dela libertà: made in U.S.A. È un metro che ci offre la misura contraddittoria di una vantata civiltà industriale, sviluppatasi sul terreno dell'intenso sfruttamento capitalistico, che allinea al grattacielo di Manhattan le grotte di Matera, agli impianti di aria condizionata, i bracieri del Meridione d'Italia, per non andare altrove, nei Balcani o in India ove usi e costumi dell'uomo primitivo perdurano alla superficie e lo studio di essi non esige il ricorso allo scavo archeologico.

Dall'altra parte, nei paesi cosiddetti socialisti, la penna di uno scrittore sovietico, Aleksandr Solzhenizin attraverso un vibrante racconto: «La giornata di Ivan Denissovic» ci offre un quadro agghiacciante dei lager staliniani. Come i santoni del PCI che per decenni hanno vissuto all'ombra della dittatura non si siano accorti di nulla, ma come bambini incantati innanzi ad un presepe, abbiano solo intravisto il paradiso dei lavoratori, non si capisce (e si dice che le museruole le portino i cani!). Comunque rieccoci alle edizioni dei lager nazisti con gli stessi metodi, al punto che non si sa bene se questi abbiano copiato da quelli o viceversa, e ad un certo momento è logico anche chiedersi chi fossero gli internati in questione. Nemici del popolo, banditi pagati dall'imperialismo per rovesciare il regime, borghesi criminali od altri pericolosi avversari del socialismo?... Niente di tutto questo, solo operai, contadini, soldati rei di essersi arresi al tedesco invasore, scampati alla morte nei lager del nemico, per continuare a vivere in quelli di casa propria, oppure scontenti od antipatici a qualche capoccia, dichiarati trotzkisti, ecc. ecc., insomma una composita schiera di vittime prefabbricate, che le accuse più cervellotiche e ripugnanti, aveva costretta nei campi di lavoro forzato a testimonianza di questo strano socialismo made in URSS.

Tralasciamo pure le considerazioni teoriche sull'economia di mercato, i salari, il capitalismo di stato ecc., il quadro non migliora quando ripensiamo allo sfrutamento bestiale ed alle miserabili condizioni di vita di un popolo di duecento milioni di uomini, imposte da una feroce politica di potenza, condizioni che in fondo non si differenziavano gran che da quelle descritte dei lager. Possono apparire cose d'altri tempi, anche se recenti, ma noi abbiamo sufficienti ragioni per dubitarne, e pure se qualche organo di stampa accredita un certo disgelo, che se possibile sia pure, non muta sostanzialmente quella realtà sociale, la riprova di quel che pesiamo, ci è data dalla polemica sorta in questi giorni, sull'arte astratta, e dalla sua soluzione. Se i letterati, godono oggi di una certa libertà d'espressione, nella dnuncia dei metodi del passato periodo stliniano, questa si manifesta solo in quato serve all'abbattimento di un mito, in quella misura che ne sottintenda però l'edificazione di un altro, ma quanto all'esgenza dei giovani artisti sovietici di superare l'accademismo, dell'arte russa nelle sue manifestazioni naturalistiche e di oleografica esaltazione al regime, per una magiore libertà creativa, senza di cui l'arte non è, allora le cose cambiano. I termini della polemica sorta in questi giorni nei confronti di un gruppo di giovani pittori astrattisti sono alquanto significativi per il loro contenuto reazionario, raffrontabile solo alla aberrante concezione nazista sul'arte «degenere» degli espressionisti tedeschi. Riportiamo dall'Unità qualche brano del discorso di Iliciov in proposito, avenuto dopo una specie di spedizione punitiva di Krusciov e gerarchi alla mostra del Maneggio a Mosca, durata per la cronaca quattro ore a seguito di cui per le critiche durissime di «tanto competente personaggio» e la diffamante campagna di stampa che le hanno accompagnate, Iliuciov ha potuto tirare le conclusioni, su questo timido tentativo dei giovani pittori sovietici. Al Maneggio a quanto riferisce l'Unità, erano esposte accanto a centinaia di quadri naturalistici, opere certamente non astratte di giovani e di anziani, che pur restando d'ispirazione figurativa, si staccavano nettamente dalle formule accademiche. E poi c'era collaterale, una mostra di giovani astratti assai vicini a Mirò, Klee, Mondrian. Tra questi due gruppi egualmente criticati, Iliuciov ha fatto una distinzione, coi primi egli ha detto:

«Si può ancora discutere, sebbene le loro opee abbiano giustamente fatto indignare la stragrande maggioranza del pubblico, ma coi secondi, i veri astratti, non c'è niente da discutere perché essi sono fuori dell'arte».

E più avanti

«... Ci sono elementi anarchici che ciarlano sulla libertà creativa, e si pronunciano contro la guida del partito nel campo artistico».

E ancora:

«...Non possiamo permettere che facendo finta di lottare contro il culto della persona, alcuni uomini indeboliscano la socità, l'ideologia e la cultura sovietica»

e, per essere anche un po' faceti

«... Talvolta perdono di vista il carattere intransigente e senza compromessi delle nostre posizioni ideali».

Sono aspetti di questo nostro mondo degli anni '63 che gli uni chiamano «libero» e gli altri «socialista», sfrangiature di un tessuto comune, che sotto forme sia pure diverse, esprime gli stessi fenomeni di industrialismo esasperato per una reciproca politica di terrore.

L'umanità addentellata nella morsa del capitalismo di stato o no, dispensa le sue energie ad ingigantire il mostro che la divora, assente per ora al richiamo delle grandi correnti ideologiche rivoluzionarie, prosegue nella routine esistenziale della civiltà dei consumi, sfrondata dei valori che potrebbero permearne la lotta di redenzione sociale, per il riscatto dell'umano, ognora più avvilito, alienato e distrutto da un'elite feroce di moderni tirannni.

Loris

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.