Premarxismo e marxismo in tema di “valore”

Note di economia

Quando i "Problemi economici del Socialismo" di Stalin (1) vennero presi in considerazione nella cerchia della sinistra comunista, l'affermazione che più venne osteggiata fu quella della persistente necessità della "legge del valore" in Russia, poichè suonò come chiara ammissione dell'inesistenza del socialismo in questo paese. Evidentemente i comunisti non difenderanno mai il valore iscrivendolo sulle loro rosse bandiere; tuttavia il problema posto da Stalin era più profondo di quello sollevato semplicemente dal ruolo giocato dal valore nel socialismo, e ciò malgrado il considerevole blocco che nella teoria e pratica marxista formano il valore, il capitale, il prezzo, il salario, ecc. Raffrontato a quanto venne scritto da Marx in merito al valore nella fase inferiore del Socialismo, alla ammissione del valore in questo stadio, alle sottigliezze quasi "teologiche" che rendono ambigua e dialettica tale materia, si rimane stupiti di quel tanto di estremismo teorico e "socialista", che rimane nella stessa sinistra comunista.

Tutti noi sappiamo che nell'economia socialista il calcolo economico non si basa sul valore e su ciò che costa un prodotto, ma sulla sua utilità, sul beneficio che può apportare alla comunità; ma anche sappiamo che Marx ebbe a scrivere:

dopo che si è eliminato il modo di produzione capitalistico, conservando però la produzione sociale, la determinazione di valore continua a dominare nel senso che la regolazione del tempo di lavoro e distribuzione del lavoro sociale fra i diversi gruppi di produzione e infine la contabilità a ciò relativa, diventano più importanti che mai. (2)

Evidentemente non bastano lo scandalo e le grida allo scandalo per risolvere il problema del significato del valore sia nella teoria che nella pratica dell'economia di trasformazione; e ciò malgrado lo schifo suscitato in noi dai nuovi teorici (nuovi e vecchi, Stalin in testa) russi del "valore socialista".

Così ovviamente alla formula di Atlas (3) sostituiremmo volentieri quelle di Bucharin (4), ma ciò non tanto perchè quella di Atlas sia sinonimo di valore, ma poichè è sinonimo di plusvalore. Sul valore possiamo discutere malgrado sia in noi chiaro che Stalin è un nostro avversario, come il piccolo contadino che vende le sue uova al mercato. Tuttavia ripetiamo che un conto è discutere di valore da marxisti (cioè intorno alla quantità di lavoro umano contenuto nella merce) e un conto è giungere alle ormai degenerate e soggettivistiche formulazioni di tale legge, come le ultime escogitate in Russia, nella misura in cui le stime dei consumatori avrebbero contato infinitamente di più nello stabilire l'equilibrio economico, specialmente quando esse costituiscono il paravento dell'estorsione del plusvalore del proletariato russo.

E se non bastano le grida allo scandalo in una materia tanto complessa come questa, è anche per la ragione che il valore in Marx riveste diversi significati, e tra i principali:

  1. valore = feticcio, cioè il lavoro umano si estranea e viene concepito come estraneato nella merce, come una qualità in sè della merce una qualità naturale della merce;
  2. il valore di Ricardo, cioè il riconoscimento del contenuto soggettivo della merce, del valore in quanto lavoro umano;
  3. il lavoro liberamente riconosciuto come creatività, concretezza, utilità, appropriazione dell'uomo tramite l'uomo, in quanto l'uomo è la radice di se stesso conserva ancora una parvenza obbiettiva, cioè è ancora determinante sull'uomo; la situazione è dialettica nel senso che è costituita dalla formazione di forze obbiettive e forme istituzionali (forze di lavoro, Consigli, ecc.) che sono una unità degli opposti.

La lotta è tra il bisogno e l'utilità da una parte e la necessità di un valore dall'altra; e perciò la nuova società porta con sè i segni della vecchia che l'ha generata. Così si spiega anche l'apparente contraddizione tra due concezioni del valore che esisterebbero in Marx: demolizione e rifiuto del valore secondo la prima evidentemente legata al valore-feticcio, accoglimento del valore con la seconda, sia nella produzione che nella ripartizione; e si spiega anche la famosa affermazione che nella fase inferiore vige la legge del valore, ma questa è mutata nella forma e nella sostanza. (5)

Poichè nella fase inferiore i prodotti sono divisi secondo il lavoro, il valore continua a imperare in quanto scambio di valori uguali (scambio di equivalenti): una stessa quantità di lavoro in una forma si scambia con una stessa quantità di lavoro in un'altra forma. (6)

Egualmente nel campo della produzione:

... dopo che si è eliminato il modo di produzione capitalistico, conservando però la produzione sociale, la determinazione di valore continua a dominare nel senso che la regolazione del tempo di lavoro e la distribuzione del lavoro sociale fra i diversi gruppi di produzione e infine la contabilità a ciò relativa, diventano più importanti che mai. (7)

Marx parla anche di una trasformazione in questa fase del valore nella sostanza e nella forma. È utile premettere che i concetti di feticismo della merce o merce e valore non sono per Marx immediatamente identici (A =A); anzi nel Capitale (8) il feticismo della merce non nasce nè dal valore d'uso nè dal valore:

Da dove sorge dunque il carattere enigmatico di prodotto di lavoro appena assume forma di merce. Evidentemente proprio da tale forma.

Nella Critica invece il valore è in diretto contatto di immedesimazione con la merce e con il feticismo:

Contenuto e forma sono mutati, perchè in condizioni mutate, nessuno può dare niente al di fuori del suo lavoro e perchè d'altra parte niente può diventare proprietà dell'individuo fuori dei generi di consumo individuali. (9)

Qui nel campo della produzione il valore scompare proprio in quanto scompare il feticismo; domina ancora nella ripartizione in quanto esiste scambio di equivalenti. Qui anche la proprietà privata, oltre che la merce, sono in grado di influire sul valore fino a trasformarlo nella forma e nella sostanza.

In genere si può dire che per Marx influiscono sul valore nell'epoca di transizione:

  1. l'abolizione del prodotto in quanto merce e del feticismo della merce; l'abolizione dello scambio;
  2. l'iniziale deperimento della divisione del lavoro.

Qui esistono delle azioni svalorizzanti per la rimozione del valore in quanto in diretto dialettico contatto con il feticcio della merce.

La legge del valore nel socialismo è limitata poichè scompare il feticismo inerente al valore (infatti la conseguenza principale dell'abolizione dello scambio e della divisione nel campo produttivo è che:

il lavoro incorporato nei prodotti non appare come il valore di tali prodotti, come una qualità reale da essi posseduta, poichè ormai, contrariamente a quanto avviene nella società capitalistica, non è più attraverso un processo indiretto (lo scambio), ma direttamente che i lavori dell'individuo divengono parte integrante del lavoro della comunità. (10)

Ma il realismo di Marx è caratteristico al riguardo, poiché:

la tarda scoperta scientifica che i prodotti di lavoro, in quanto sono valori, sono soltanto espressioni materiali del lavoro umano speso nella produzione, fa epoca nella storia dello sviluppo dell'umanità, ma non disperde affatto la parvenza oggettiva del carattere sociale del lavoro. Quel che è valido soltanto per questa particolare forma di produzione, la produzione delle merci, cioè che il carattere specificatamente sociale dei lavori privati indipendenti l'uno dall'altro, consiste nella loro eguaglianza come lavoro umano e assume la forma del carattere di valore dei prodotti di lavoro appare cosa definitiva tanto prima che dopo di quella scoperta a coloro che rimangono impigliati nei rapporti della produzione di merci; cosa definitiva come il fatto che la scomposizione scientifica dell'aria nei suoi elementi ha lasciato sussistere nella fisica l'atmosfera come forma corporea. (11)

Anche l'abolizione del salariato non influisce sic et simpliciter sulla scomparsa del valore, come invece si augurano molti comunisti premarxisti; ciò è ovvio in quanto non è il lavoro salariato soltanto a produrre il valore, ma qualsiasi forma storica di lavoro fino ad oggi considerata (schiavitù, servaggio, proletariato), e, in prospettiva, anche la produzione socialista.

Quantunque la forma del lavoro come lavoro salariato determini la configurazione dell'intero processo e lo specifico modo della produzione stessa, non è il lavoro salariato che determina il valore. Nella determinazione ciò che conta è il tempo di lavoro in generale, la quantità di lavoro che la società in generale ha a sua disposizione, e il cui assorbimento relativo da parte dei diversi prodotti determina in certo qual modo il peso sociale rispettivo di questi prodotti. (12)

Si può dire che nel socialismo il valore è controllato e diretto (scompare soltanto come cieca legge di natura, è limitato nei suoi rimanenti aspetti), (13) ma domina ancora il campo dell'economia e della società, poichè non ne è stata abolita la causa: la penuria economica. Arretrerà il valore in una fase più elevata della società comunista, dopo che è scomparsa la subordinazione servile degli individui alla divisione del lavoro, e quindi anche il contrasto di lavoro intellettuale e materiale, dopo che il lavoro è divenuto non soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita; dopo che con lo sviluppo generale degli individui sono cresciute anche le forze produttive e tutte le sorgenti della ricchezza sociale scorrono in tutta la loro pienezza, solo allora l'angusto orizzonte giuridico borghese può essere superato e la società può scrivere sulle sue bandiere: “ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni!”. (14)

Diciamo "arretrerà" e non scomparirà, poichè se si identifica valore e lavoro il valore propriamente non scomparirà mai, ma solo si ridurrà tendenzialmente a zero con la riduzione dei tempi di lavoro. Il che è quanto Marx ha sempre detto, e cioè che il mondo della Libertà si erigerà sul mondo della Necessità, affermazione questa tale da indignare i soliti liberatori del proletariato "dall'interno" della Produzione.

Ovviamente invece se si intende per "valore" la sola "legge anarchica del valore" (così chiamata da Marx), come fa Bucharin in op. cit. pag. 166, in quanto legato al solo periodo della produzione anarchica delle merci, dove si raggiunge un relativo equilibrio appunto attorno al valore, allora esso non può non essere una categoria del capitalismo che scompare completamente fin dalla fase inferiore del socialismo. Ma noi abbiamo già visto quanti diversi aspetti rivesta in Marx la legge del valore o meglio il valore, e perciò la valutazione di Bucharin è incompleta. Diversamente ha ragione Bucharin quando sostiene che altre categorie del capitalismo come la merce (in quanto al posto di forze elementari subentra un "regolatore sociale cosciente" le merci si cambiano in "prodotti"; ma vedi critica "antipianificatrice" di Lenin!), il salario, il plusvalore, il profitto diventano pienamente inadatte per un'analisi economica del periodo di trasformazione.

D'altra parte Marx si preoccupa che nella transizione e nella fase inferiore il valore non venga assorbito dallo Stato anche sotto il pretesto dei soliti lavori pubblici; naturalmente per quanto concerne la loro parte del prodotto sociale, fino a opporre uno Stato capitalistico a un mondo di produttori ancora estraneati. (15)

Egli di fronte a questo Stato capitalistico (che si appropria plusvalore nel processo di valorizzazione del capitale variabile o forza di lavoro, poichè non altrimenti dovremmo chiamare un valore che ecceda in modo economicamente e storicamente rilevante la parte chiamata sotto il capitalismo valore necessario) si propugna proprio difensore di quel valore che ripugna a troppi impazienti liquidatori delle fasi intermedie. Per es. Stalin (16) credette di liquidare la fase intermedia con il sofisma che in regime di socialismo non è più necessario parlare di lavoro necessario e pluslavoro, dimenticando che, poichè il socialismo implica una base sviluppata economicamente, solo un accumulo di valore sufficiente poteva dare il là al rigonfiamento del capitale variabile (scomparsa del salario). Ma quando gli convenne Stalin arrivò fino a ridare la importanza del valore nell'economia socialista (questa volta per difendere i contadini, mentre prima per attaccare il proletariato industriale). (17)

Il comp. P. Chaulieu (18) confonde valore e valore della forza lavoro e non tiene conto che nella fase inferiore il produttore sarebbe ripartito secondo il valore e non più secondo il valore della forza lavoro; appunto qui abbiamo la scomparsa dello sfruttamento capitalistico da una parte, la ripartizione secondo il valore, dall'altra. Inoltre afferma che la legge del valore nella società capitalistica esprime un ordinamento economico obbiettivo, invece in quella socialista si tratterebbe di una norma giuridica, nel che il marxismo viene ribaltato in idealismo ed evidentemente poggiato sulla "testa". Non ancora soddisfatto del suo materialismo "contemporaneo" passa dall'ammissione prudente dell'ineguaglianza delle ripartizioni alla demagogica promessa dell'immediata eguaglianza assoluta "dei salari", come se i salari non fossero diseguali nella pratica e nel principio, nel socialismo esistessero i salari e il lavoro fosse eguale come il valore in tutti gli uomini: e tutto ciò per seguire "l'aspirazione profonda degli operai".

Concludo con un'osservazione sul Croce (19), il quale - come al solito - ha il pregio proprio nel momento della massima deformazione del marxismo di restituircelo per quello che è: nel maldestro tentativo di smantellare la concezione marxista del valore, non capì neppure, malgrado l'alterigia sua di gran filologo, che per Marx la teoria del valore era sovrastruttura di una società già precedentemente costituitasi, e precisamente la società mercantile (e non l'espressione di una futura e ideale, "lavoratrice", in quanto divergeva dalla formazione di valore che ha luogo nella società capitalistica; così detto paragone ellittico), e appunto tale società mercantile era quella in cui il "concetto dell'eguaglianza umana ha raggiunto la saldezza di una convinzione popolare"; ma comprese tuttavia che per Marx il valore non andava liquidato con un colpo di bacchetta magica nella futura società, come invece è parere di alcuni teorici del proletariato.

A. Parlato

(1) Stalin, I problemi economici del socialismo nell'URSS, Editori Riuniti, Roma, 1953.

(2) Marx, Il Capitale, III, 3, 266.

(3) Essa è: r = ml / F.100, dove r è il rendimento, ml la massa del profitto, F i fondi fissi e circolanti e ml è dato da P-K, prendendo P per la somma dei prezzi delle merci e per K il costo di produzione. Tale formula implica evidentemente il modo di produzione capitalistico.

(4) Bucharin, Ékonoinika perechodnogo perioda. Obscaja teorija transformacionnogo processa, c., Moskva, 1920. In tedesco, v. la traduzione di Frida Rubiner, Oekonomik der Trasformationsperiode, 1922, Verlag der Kommunistichen Interna tionale, Auslieferungsstelle fiir Deutschland: Care Hoym Nachf. Louis Cahnbley, Hamburg. Sul pensiero economico di Bucharin, v. Peter Knirsch: Die Okonomishen Anschauungen Nikolaj I. Bucharins, Berlin, 1959, Ocst Europa Institut an der Freien Universitat Berlin. Bibl. Gen.: Sidney Heitman e Peter Knirsch, N.I. Bucharin, ed. cit.; Heitman S., An annoted Bibliography of N.I. Bucharins Published Works, Fort Collins, 1958.

La seguente formula che esprime la riproduzione negativamente ampliata descrive in modo successivo il processo di corrosione dell'economia capitalistica nell'ambito del plusvalore prima e del valore poi (con imprecisione Bucharin parla di formula soltanto di valore, formula del valore: c + v + m; c + v + (m - x); c + v; c + (v - x); (c - y) + (v - nx), ecc. Da queste serie, scrive Bucharin, si vede facilmente che per il sistema capitalistico la situazione non è pericolosa fintanto chè l'ampliamento della riproduzione negativa, cioè la coartazione della riproduzione e della produzione avviene a spese di m (plusvalore; c è il capitale costante, v il capitale variabile). Il processo di distruzione deve avvenire con assoluta inevitabilità non appena il processo abbia consumato il plusvalore sociale. Altra formula è la seguente:

D... M... P... M-1... D-1

D-1... M-1... P... M-2... D-2

D-2... M-2... P... M-3... D-3

dove sono riconoscibili i simboli del ciclo del capitale monetario del Capitale.

Sebbene la formula di Bucharin sia l'espressione negativa del processo di riproduzione socialista, a noi interessa per la sua pregnanza marxista. Diversamente gli economisti di Stalin, dai primi degenerati agli ultimi degenerati, come il Lieberman con il suo "profitto monetario" e il meno degenerato Strumilin, per il quale basta riscrivere gli schemi di riproduzione di Marx poiché:

tutti gli elementi e le proporzioni degli schemi sopra indicati:
I. (c1 + v1+ m1) = P1
II. (c2+ v2+ m2) = P2
(I + II) (c + v + m) = P
hanno conservato tuttavia un altro significato...

Strumilin, L'economia sovietica, Editori Riuniti, Roma, 1961

Mentre Bucharin distruggeva nelle sue formule il capitalismo, lo Strumilin, che poi è solo uno dei vecchi e meno degenerati economisti del tempo di Stalin, si contenta di riscrivere tali e quali le classiche formule della riproduzione allargata, quindi capitalistica di Marx, invocandone con l'autorità di Lenin la validità nella fase inferiore e tiene ben fisso a certe distinzioni vitali solo per un'economia che vive sul plusvalore, come la distinzione tra v e m; e c.

Inoltre si illude di cancellare il plusvalore chiamandolo "prodotto addizionale" o "intero prodotto per la società", senza porsi il problema di quali sono i limiti oltre i quali il salario si trasforma in "equivalente", con il che evidentemente il supporto stesso delle formule valide per il capitalismo crolla e la necessità di stinguere tra c, v, m diventa solo un non senso economico.

(5) Marx, Per la critica della democrazia socialista, Mongini, Roma, 1901.

(6) Marx, op. cit., 10.

(7) Marx, Il Capitale, III, 3, 266.

(8) Marx, Il Capitale, I, 1, 85.

(9) Marx, Per la critica ecc., cit., 10.

(10) Marx, Per la critica ecc., cit., 9.

(11) Marx, Il Capitale, I, 1, 88.

(12) Marx, IlCapitale, III, 3, 299.

(13) Marx, Il Capitale, III, 3, 297-298.

(14) Marx, Per la critica ecc., cit., 19.

(15) Marx, Per la critica ecc., cit., 6. - BUCHARIN, cit., 168: "non salario, ma ponte sociale".

(16) Stalin, I problemi economici, ecc., cit.

(17) Stalin, I problemi economici ecc., cit.

(18) Chaulieu, Socialisme ou Barbarie, I, 2, 38; IV, 10, 5; IV, 22, 43.

Bibl.: A. Elrich, The Soviet Industrializazion Debate, 1924-1928, Cambridge, 1960; O. Lange, Marxian Economics in the Soviet Union, American Economie Review, March, 1945; A. Zauberman, Economie Tougnt in the Soviet Union, The Review of Economie Studies, 1949-50, I, 102, 189; S. G. Strumilin, The Time Factor in Capital Investment, Internationale Economie Papers.

(19)

La determinazione del valore-lavoro avrà una certa rispondenza nei fatti sempre che esisterà una società che produca beni per mezzo del lavoro"; non capiva però, a parte le ironie intorno al paese di Cuccagna, che nella società comunista non solo avrebbe perso importanza pratica l'ufficio del valore scambio, compreso quello dello scambio tra forza lavoro e parte del prodotto sociale; ma anche non sarebbe più stata quella del valore-lavoro la legge economica dominante nel giudizio dei singoli beni (il valore dei beni è eguale al lavoro che alla società essi costano) e ciò perchè nella seconda fase del socialismo per Marx i beni, per quanto sempre frutto del lavoro, esisterebbero in quantità proporzionale ai bisogni..., con il che vogliamo indicare il [controllo] cosciente e volontario del tempo di lavoro e il dominio della necessità, premessa di una economia dei bisogni e non più dei valori. Da una parte uno sviluppo delle forze produttive tali da far deperire il valore, dall'altra la perdita dell'importanza pratica del valore poichè non più forza necessitante; solo il bisogno allora detterebbe la rotta da seguire a questa società comunista, bisogno oramai sinonimo di regno della libertà.

Croce, Materialismo storico, ecc., Laterza, Bari, 1941, 66-67

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.