Profilo di un'interpretazione dialettica

La distinzione dell'uomo dal rimanente regno animale iniziò, com'è risaputo, allorché gli uomini cominciarono a produrre i mezzi necessari alla loro esistenza e questo distacco ebbe come condizione fondamentale la loro organizzazione fisica (in proposito, già Anassagora, nella prima metà del V secolo avanti Cristo, affermò che l'uomo aveva acquistato l'intelligenza perché possedeva le mani).

Gli uomini, dunque, producono i mezzi necessari alla propria esistenza in un determinato modo dipendente, innanzitutto, dalla natura dei mezzi necessari alla vita materiale che essi stessi incontrano, conoscono e sono costretti a riprodurre. È perciò che essi possiedono una storia; proprio perché debbono, in un modo ben determinato, produrre la loro vita materiale, secondo la loro organizzazione fisica.

Ma ciò, per la concezione materialistica, non è ancora sufficiente, perchè, in ultima istanza, il momento determinante, decisivo, della storia è la produzione e la riproduzione della vita materiale, immediata.

Gli uomini producono i mezzi necessari alla loro esistenza e nel contempo riproducono la propria specie, così facendo essi si organizzano socialmente e si danno necessariamente istituzioni, le quali, in tempi e paesi determinati, sono condizionate appunto dai due decisivi fattori summenzionati.

Primamente, laddove il lavoro era scarsamente sviluppato (e quindi con una produzione assai limitata), si presentò una formazione sociale in cui il vincolo di consanguineità (o di parentela) aveva obbligatoriamente il sopravvento. Epperò, in questo ordinamento della società secondo i vincoli sopraccennati, il lavoro si sviluppò vieppiù produttivamente e, di pari passo, l'accumulazione di ricchezze in alcune famiglie (invece che in altre, a seconda della produttività del lavoro stesso). Allora, la sperequazione di ricchezze provocò la strapotenza di quella famiglia (o gens), le sue ampie possibilità di far valere i propri interessi in seno all'ordinamento sociale, l'assoggettamento ad essa di uomini "esterni", la rapina continuata e sistematica al fine di accaparrarsi terre, bestiame etc. come normale cespite. Di qui l'allargamento della "famiglia" stessa, il suo spaccamento in base a rapporti di ricchezza, la sua possibilità di usare uomini spossessati detentori soltanto delle proprie braccia per lavorare. Così, si sviluppò la proprietà privata e lo scambio, creando sempre maggiori sperequazioni sociali ed insanabili antagonismi di classe; l'ordinamento gentilizio si mostrò allora inadatto alla nuova realtà sociale e si tentò, in varie maniere, di adattarlo alle mutate condizioni, fino a che, decisamente, risultò incapace di contenerle e si addivenne al suo sovvertimento.

La formazione sociale gentilizia cadde sconfitta da quelle classi sociali sviluppatesi, con la crescente produttività del lavoro, dal suo stesso seno; al suo posto venne a crearsi una società nuova, basata sui rapporti di proprietà, sugli antagonismi sociali, sulle classi in lotta.

Da qui lo stato, separato dai reali interessi della collettività tutta, che deriva dall'antagonismo fra interesse peculiare ed interesse collettivo, generale e che è sempre lo strumento e l'espressione del dominio di una classe sulle altre, fino a che queste esistano.

Lo stato fu dunque l'istituzione concepita al fine di affermare definitivamente la proprietà privata, di preservarla contro le evenuali reviviscenze comunistiche (presenti nella formazione gentilizia), di convalidare politicamente e giuridicamente i nuovi rapporti di produzione e, infine, d'assicurare il diritto alla classe dominante, abbiente di sfruttare la classe indigente, sottoposta (non soltanto, con quest'ultimo punto, "razionalmente astuto", per mezzo della forza, ma, ora, anche de iure). La storia scritta di ogni forma sociale sinora esistita è dunque, inevitabilmente, storia di lotte di classi, giacchè la necessità di una scrittura alfabetica e la sua utilità per trascrizioni letterarie sono strettamente connesse a società in cui il vincolo gentilizio è ormai sepolto, a società nelle quali la proprietà privata e lo scambio (e lo sfruttamento) sono una ben solida realtà.

Per avere un'esatta visione della concezione materialistica della storia, sarà bene rammentare, seppure sia noto, che essa non riduce il fattore economico a unico fattore determinante, sebbene indiscussamente sia la base (struttura), ma considera anche l'influenza di momenti differenti della sovrastruttura sul divenire dei contrasti antitetici e delle lotte storiche, cosicché fra i vari fattori (strutturali e sovra) viene ad esercitarsi una reciproca azione e reazione e proprio attraverso questa operazione dialettica il momento economico finisce per affermarsi come l'unico reale, necessario, oggettivo nel mezzo dei molti momenti accidentali, soggettivi, in ultima analisi, sicuramente indimostrabili (in qualità di base).

Dopo la proprietà privata nella comunità antica e la genesi dello stato (formazione sociale in cui la proprietà privata è detenuta in comune da membri socialmente attivi dello stato, che di fronte agli schiavi - da loro posseduti e su cui esercitano unicamente il potere - sono costretti a rimanere associati; con lo sviluppo su larga scala della proprietà privata immobiliare e l'ulteriore evoluzione della divisione del lavoro, questa formazione sociale decadrà abbastanza velocemente), si ebbe la proprietà privata feudale. Essa consistette, soprattutto, nella proprietà fondiaria basata sul lavoro servile (nelle campagne) e nella proprietà di un piccolo capitale che costringeva a sè il lavoro del giovane di bottega (nelle città; comunque il possessore del piccolo capitale lavorava personalmente).

La produzione era alquanto limitata, dato che le terre erano coltivate abbastanza maldestramente e le industrie non andavano al di là della buona volontà artigianale; del resto, nella organizzazione feudale, la divisione del lavoro rimase sempre entro limiti a sufficienza circoscritti.

Esisteva, tipicamente, una forte organizzazione gerarchica, che nelle campagne risultava in quest'ordine (grosso modo): principe, nobiltà, clero, contadino (che tendeva, allorché si giunse al versamento in natura medio, ad accumulare proprietà mobiliare al fine di sfuggire al proprio signore e diventare cittadino, soprattutto se possedeva un mestiere); e nelle città: maestro (piccolo capitale), giovane di bottega, apprendista e, in seguito, lavoratore a giornata. Al di fuori di queste, le divisioni erano scarsamente rilevanti; ovunque regnava l'antagonismo fra città e campagna.

In questa formazione sociale si produceva per l'uso immediato (consumo) e del produttore stesso e del signore feudale; ma dove si formava un'eccedenza inconsumabile nella produzione, qui essa veniva destinata allo scambio od offerta alla vendita; si era al nascere della produzione mercantile.

Dall'industria artigiana delle corporazioni andò ben presto sviluppandosi la manifattura e con la manifattura i rapporti di proprietà (il capitale naturale subì una forte mobilizzazione e venne ad accrescersi la massa del capitale mobile a scapito di quello naturale) e quelli fra lavoratore e datore.

Se nelle corporazioni il rapporto s'era mantenuto in forma patriarcale, ora, nella manifattura si riduceva esclusivamente ad un rapporto di denaro (capitalista e lavoratore). Con il capitalista in scena, si verifica la trasformazione dei mezzi di produzione, che, da individuali che erano, vengono a trasformarsi in sociali, per mezzo della concentrazione degli stessi (sinora sparsi) in grandi officine. La manifattura e la produzione in generale subirono poi uno sviluppo velocissimo allorché il commercio si allargò con la scoperta della via marittima alle Indie orientali e dell'America; i nuovi prodotti che venivano in Europa importati e le gran quantità d'oro e d'argento immesse in circolazione trasformarono la posizione sociale delle classi e decisero mortalmente della proprietà fondiaria feudale e del lavoratore individuale. Aumentarono i mezzi di scambio e le merci e col crescere dei nuovi mercati il modo di produzione feudale si dimostrò insufficiente.

La divisione del lavoro organizzata nelle officine è oramai imperante. L'accumulazione capitalistica trae, in seguito, decisivi impulsi dall'espropriazione violenta delle popolazioni indigene, dalla tratta dei negri africani (laddove la mano d'opera autoctona si rivela inadeguata), dal lavoro forzato per gli indigeni, dal lavoro in miniera per quasi la giornata completa degli schiavi, dalle continue depredazioni e "conquiste". Dal formarsi di un mercato mondiale, dallo sfruttamento coloniale, dalle occasioni di ricchezza per la borghesia insite in ogni guerra (o "conquista"), dallo svilupparsi di una oligarchia finanziaria (il XVI secolo, non dimentichiamo, fu pure chiamato "il secolo dei Fugger", vera "potenza del denaro" per tre quarti del '500), dalle nuove attività industriali e commerciali, dal forte aumento del costo della vita, dalla dura politica fiscale nei confronti di artigiani e contadini (e operai), si determinò un'economia mondiale nettamente rivoluzionata e quindi le esigenze rivoluzionarie della classe che si vedeva ormai "costretta" in un vecchio ordine politico: la borghesia.

Le rivoluzioni borghesi del 1648 e del 1789 segnarono la vittoria della proprietà moderna su quella feudale, della concorrenza sulla corporazione, della nazionalità sul provincialismo, del dominio del proprietario terriero su quello del proprietario attraverso la terra, infine, del "diritto civile" sul "privilegio feudale" (ora inadatto ai nuovi rapporti di produzione).

Adesso la produzione è diventata un atto sociale, ma l'appropriazione del prodotto e lo scambio rimangono quantomai individuali. Il capitalista, in quanto detentore dei mezzi di produzione, si appropria del prodotto sociale; di qui la separazione del produttore dai mezzi di produzione e la sua conseguente condanna, per tutti i suoi giorni, alla schiavitù salariata. Il venditore della forza-lavoro è così dunque costretto a creare ininterrottamente plusvalore; consistente, com'è noto, nella differenza fra il valore retribuito alla forza-lavoro ed il valore che la stessa, in un dato numero di ore, produce; il plusvalore è quindi, in ultima istanza, lavoro non retribuito, estorto coercitivamente dal proprietario dei mezzi di produzione a tutti quegli individui che nulla posseggono, se non la propria forza-lavoro.

Avvento, causa la legge della concorrenza, del macchinismo; conseguente creazione dell'esercito di riserva industriale; si sviluppano senza limiti le forze produttive e così pure la produzione; l'offerta non può non superare la domanda; crisi di sovrapproduzione (mentre il feudalesimo era contraddistinto da crisi inverse); eccetera.

Conseguenza: da un lato, trascrescenza di prodotti e di mezzi di produzione; dall'altro, trascrescenza di uomini senza occupazione.

Così, come si dispiega, attraverso le leggi insite nella stessa produzione capitalistica, la centralizzazione dei capitali, di pari passo, aumenta e la socializzazione del lavoro e l'accumulazione di miseria (proporzionata, come si sa e per ripeterci, all'accumulazione di capitale), fino a che la monopolizzazione del capitale diviene decisiva catena del modo di produzione, allora si raggiunge il famoso punto in cui il mezzo di produzione quantomai accentrato il lavoro quantomai socializzato sono assolutamente incompatibili con l'involucro capitalistico e così esso viene infranto.

Viene soppressa la proprietà privata (un breve inciso: il riconoscimento obbligato della socialità delle forze produttive, aveva già determinato l'appropriazione da parte dello stato, in ultima istanza, dei potenti organismi della produzione e del trasporto; è così che socialmente, a quel punto, la borghesia dimostra di rappresentare una classe oramai inutile e oltremodo parassitaria), si stabilisce la proprietà individuale fondata sul collettivo possesso di quei mezzi di produzione che sono stati prodotti dallo stesso lavoro, sul collettivo possesso della terra e sulla più grande cooperazione. Viene pertanto a stabilirsi una società che, a differenza della precedente divisa in classi e con antitetici interessi, dà a ciascuno quanto occorre per soddisfare i propri bisogni e in cui il libero sviluppo di ciascun membro è la fondamentale condizione per lo sviluppo libero di tutti.

Lo stato, nato dall'antagonismo fra interesse peculiare e interesse collettivo, fra classi socialmente contrapposte, non avrà più ragioni per esistere gli uomini, infine padroni in egual misura della propria organizzazione sociale e della sua forma, trasformeranno se stessi (in maniera per noi, ora, inimmaginabile) e saranno liberi, scrollandosi così da dosso ogni sporca incrostazione della vecchia società. Ma, affinché tutto ciò avvenga, occorre necessariamente (come per la borghesia nei confronti dell'ordinamento feudale) un totale rivolgimento sociale, che è compito storico della classe direttamente contrapposta a quella oggi dominante, vale a dire il proletariato, che sarà condotto alla vittoria dal suo partito. (1)

Così, come attualmente il possessore della sola forza-lavoro si sente libero soltanto allorché non si distingue dagli altri animali (ovvero nel mangiare, nel bere, nel dormire e, relativamente, nel generare), mentre laddove dovrebbe esistere distinzione (vale a dire, nel produrre la sua vita socialmente) si sente bestia, obbligatoriamente alieno al suo lavoro, perduto all'umano, così, dicevamo, solamente attraverso la rivoluzione proletaria "ritroverà se stesso", si trasformerà definitivamente e guadagnerà "tutto un mondo".

E per chi, borghesemente, taccia come utopistico il comunismo, si rammenterà che gli uomini si propongono soltanto quei problemi che sono passibili di soluzione e che, anzi, un determinato problema nasce soltanto allorché le condizioni materiali per risolverlo sono già presenti (perlomeno in nuce).

Per la concezione materialistica della storia, in conclusione, l'attuale società sarà costretta a perire solo quando, partorite dal suo stesso seno, si saranno sviluppate tutte le possibili forze produttive, allora, subentreranno nuovi rapporti di produzione (di cui sopra) e con il totale cangiamento della struttura economica si modificherà, in un tempo sufficientemente breve (se comparato al "cammino" degli uomini fin qui), tutto l'apparato sovrastrutturale oggi esistente.

Carlo Collini

(1) En passant, ribadiamo sommariamente la nostra concezione del partito di classe: poiché, come si sa, ad alienazione economica consegue necessariamente alienazione intellettuale, il proletariato non possiede la coscienza esatta del proprio compito storico e dei propri fini rivoluzionari (soprattutto oggi, in cui impera la controrivoluzione e l'ammorbamento dei partiti nazionalcomunisti).
Il partito di classe, invece, individua esattamente la missione storica del proletariato e si batte, soprattutto nei periodi più neri per la classe, per difendere gli interessi generali della stessa. Quindi, esso ne è, giocoforzatamente, una frazione: la più cosciente e la più avanzata. Il suo rapporto con la classe non è statico, bensì dialettico e in determinati momenti storici, in cui più latente è la coscienza e la volontà di lotta della grande massa proletaria, il partito può ridursi persino ad una ben esigua minoranza, ma mai sparire, giacché la classe stessa presuppone il suo partito, vale a dire quel partito che non perde mai di vista gli obiettivi storicamente determinati della stessa e che, verso essi, sa e si sforza di indirizzarla.
E dato che ogni lotta di classe è una lotta politica che tende, senza altre possibilità, all'assalto rivoluzionario del potere politico, il proletariato abbisogna, per questo fine, del suo partito, il quale possieda un programma teorico e pratico chiaramente definibile ed applicabile alla lotta decisiva delle masse salariate.
E questo partito, organizzativamente parlando, affinché possa condurre alla vittoria la classe, è fondato su un centralismo democratico, i cui principi sono: costituzione tramite elezioni dei comitati rappresentativi, sottomissione del comitato inferiore a quello sovrastante, infine, centro dotato di pieno potere e di autorità inconfutabile fra un congresso (atto a deliberare) e l'altro. Il partito, dunque, proprio perché rappresentante gli interessi generali e storici del proletariato, è l'arma decisiva, in possesso della classe sfruttata, per la sua definitiva emancipazione che, nei periodi della più dura controrivoluzione, ha il compito di difendere la strategia e il programma comunisti, criticando in maniera aspra e serrata quei partiti riformisti che, servendo la borghesia, allontanano la grande massa dei salariati dalla lotta per il socialismo.
Ovviamente, questo partito, non appena il socialismo sarà una più che concreta realtà sociale, con la progressiva estinzione delle classi, avrà sempre meno ragioni per esistere e sparirà con esse, definitivamente.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.