Gli “assoluti” del neo-idealismo

L'analisi critica a cui abbiamo sottoposto l'invarianza bordighiana (Prometeo n. 21-22) in relazione a certe formulazioni sulla natura, funzione e struttura del par­tito rivoluzionario non è stata originata da una punti­gliosa ragione polemica, ma dalla preoccupazione di portare chiarezza su di un problema, come quello del partito, che è tuttora aperto al dibattito e all'approfon­dimento teorico specie per l'intervento in tale dibattito di troppe scuole e scuolette che si sono rifatte al note­vole, anche se a volte contradditorio, contributo por­tato da Bordiga su questo argomento; tuttavia la vivi­sezione che se ne è fatta ha finito per contorcere e sfigurare quanto in Bordiga era soltanto semplice in­tuizione o gusto del paradossale. A questo proposito va ricordato che Bordiga soleva dire, rispondendo ad una nostra osservazione critica su tale modo di porre i pro­blemi, che finiva per snaturare il metodo della interpre­tazione marxista, che anche il paradosso può contenere in sé un elemento, anche se piccolo, anche se velato, di verità. E non aveva torto ma tale “sfizio” intellettua­listico poteva offrire il pretesto, come l'ha offerto, o, meglio, la copertura ad elucubratori di teorie e a cer­catori di uncini a cui appendere le proprie insoddisfa­zioni e, a volte, il proprio opportunismo.

La domanda che ci poniamo è questa: può addebi­tarsi e fino a che punto a Bordiga la responsabilità di aver offerto ai compagni di partito e ad avversari, co­scientemente o non, con atteggiamenti personali, di cui Bordiga amava dire d'infischiarsi allegramente e con scanzonate e sconcertanti prese di posizione, che sapeva esprimere con drastica brutalità da rendere superflua ogni spiegazione, abbondanti e forse troppi motivi di critica che il più delle volte andavano oltre la per­sona di Bordiga e miravano a colpire soprattutto la “sinistra italiana” che nel movimento comunista inter­nazionale aveva una collocazione di sinistra assai pre­cisa, ricca di fermenti e di avvenire?

Non è la prima volta che ci capita di denunciare uno dei metodi più abbietti usati dalla burocrazia dell'Inter­nazionale comunista, a cui si sono subito adeguati gli organi centrali bolscevizzati dei singoli partiti contro l'opposizione di sinistra, che consisteva nel combattere la corrente attaccando sul piano personale questo o quell'esponente, come è avvenuto nei riguardi di Bor­diga e contro cui ci siamo battuti come corrente già nel “Comitato d'Intesa” (1925).

Questo tipo di lotta portato alla persona e non al complesso delle forze che si battono sul terreno di classe, del tutto antimarxista, se agli inizi ha dato mo­tivo e consistenza alla nostra ribellione, oggi è ancora più riprovevole e va respinta con disprezzo.

A Bordiga, come del resto ad ognuno di noi, possono certo imputarsi errori, indecisioni e rigidismi del tutto personali che possono averlo messo al di fuori e contro la stessa corrente che a Bordiga deve il maggior apporto di dottrina e di sviluppo su scala internazionale, ma è affare della corrente della sinistra comunista giudicare fmo a che punto Bordiga è da ritenersi responsabile di ciò che era connaturale al suo temperamento; quanto della sua problematica è entrato a far parte del patri­monio della sinistra comunista e quanto invece non per quel sicuro e inevitabile processo di selezione che scaturisce dal conflitto di classe.

Quel che vogliamo riconoscere è che, anche nell'er­rore, Bordiga ha costantemente inteso muoversi sul piano della classe, avendo come prospettiva la fine ca­tastrofica del sistema attraverso la rivoluzione prole­taria.

Non riconosciamo altrettanto a coloro che, pure in nome dell'“invarianza” bordighiana e militando persi­no al suo fianco, hanno preteso completare la sua opera servendosi di certe inevitabili incompiutezze teo­riche per arrivare fino all'antimarxismo.

Ciò non è nuovo nella lunga storia del movimento operaio. Ma l'episodio, per essere del nostro tempo, an­che se del tutto marginale, deve essere esaminato. Si tratta della corrente che per vezzo intellettualistico si è etichettata per “invariance” finita, di fatto, nel suo opposto. Non ci interessa come e quando tale corrente cresciuta e curata amorevolmente nel seno di “Pro­gramma” e uscitane poi per prese di posizione più bordighiste di Bordiga incomincia a precisare la sua posizione partendo dal presupposto che l'opera di Bordiga “è disseminata di punti di partenza di nuove ri­cerche che non trovano sviluppo”. È soltanto da chiedersi, meravigliati, come mai sia stato possibile, ad una organizzazione che pure si richiama alla sinistra italiana e che negli anni 1960 poteva farsi forte della presenza di Bordiga, far crescere nelle proprie file elementi e grup­pi che in nome di una mal digerita umanistica di Marx al posto della dialettica materialistica e della rivoluzione di classe, ponevano una “rivoluzione comunista che tenderà ad affermare l'Essere umano che è la vera Ge­meinivesen dell'uomo”.

La Gemeinwesen (comunità) è motivo conduttore nell'opera giovanile di Marx perché essa rappresentava il punto d'approdo della vicenda dell'essere umano col superamento della sua individualità. Precisiamolo ulte­riormente con le stesse parole di Marx:

Lo scambio dell'attività umana nella produzione come quello dei prodotti umani tra loro è = all'attività e al godimento sociali. L'essere umano essendo la vera Gemeinwesen degli uomini, questi creano, producono con la loro attività il loro Essere, la Gemeinwesen uma­na, l'essere sociale che non è una potenza astrattamente generale di fronte all'individuo particolare, ma l'essere di ogni individuo, la sua propria attività, la sua propria vita, il suo godimento proprio e la sua propria ric­chezza. Essa appare per mezzo del bisogno degli indi­vidui, cioè essa è direttamente prodotta dall'attività della loro esistenza. Non dipende dall'uomo che questa Gemeinwesen esista o non, ma per tutto il tempo in cui l'uomo non si riconosce come uomo e dunque non avrà organizzato il mondo umanamente, questa Gemein­wesen apparirà sotto la forma dell'estraneizzazione (Entfremdung).

Dalle note di Marx all'opera di J. Mill

Ugualmente nei manoscritti del 1844:

Bisogna soprattutto evitare di fissare nuovamente la “società” come un'astrazione di fronte all'individuo. L'individuo è l'essere sociale. La sua manifestazione di vita - anche se non appare sotto la forma immediata di una manifestazione comunitaria della vita, compiuta con altri e contemporaneamente con altri - è quindi una manifestazione e un'affermazione della vita sociale. La vita individuale e la vita di specie dell'uomo non sono distinte, per quanto - e questo necessariamente - il modo di esistenza della vita individuale sia un modo più particolare o più generale della vita della specie, o che la vita della specie sia una vita individuale più particolare più generale.

Si tratta di un condensato (sono, infatti, note di Marx in cui è evidente un concatenarsi di argomenta­zioni tendenti alla generalizzazione, in una forma espo­sitiva che ricordano il metodo hegeliano dal quale Marx non si era ancora del tutto liberato. Tutto ciò è noto. Ma rifarsi oggi al marxismo dei manoscritti (1844) fin­gendo di ignorare il marxismo scientifico del “Capitale” e del “Materialismo storico” significa avvalersi degli scritti della fase ancora formativa del giovane Marx co­me copertura al t'aro del proprio idealismo.

La visione di un generico e metafisicizzato ritorno dell'individuale all'universale, cioè alla sua originaria e indifferenziata “comunità”, la ripristinata Gemeinwe­sen è più conforme alla dialettica idealistica dello sche­ma hegeliano che alla dialettica materialistica di Marx.

Ne abbiamo una chiara manifestazione esaminando come è stato elaborato il problema del partito rivolu­zionario e quale ne è stata la traduzione in termini pratici ciò che del resto è al centro della nostra trat­tazione.

Ecco una delle ultime definizioni del partito scritta da Bordiga e che ha trovato largo riecheggiamento nelle pubblicazioni di questa corrente; questi i termini:

Se la persona è in pericolo, in effetti essa non è che un vaneggiare millenario degli uomini nelle ombre che li dividono dalla loro storia di specie, la via che lo combatte sta solo nella unitarietà qualitativa universale del partito, in cui si attua la concentrazione rivoluzio­naria, oltre i limiti della località, della nazionalità, della categoria di lavoro, della azienda-ergastolo di salariati; in cui vive anticipata la società futura senza classi e senza scambio.
Il partito che noi siamo sicuri di veder risorgere in un luminoso avvenire sarà costituito da una vigo­rosa minoranza di proletari e di rivoluzionari anonimi, che potranno avere differenti funzioni come gli organi di uno stesso essere vivente, ma tutti saranno legati, al centro o alla base, alla norma a tutti sovrastante ed in­flessibile di rispetto alla teoria; di continuità e rigore nella organizzazione; di un metodo preciso di azione strategica la cui rosa di eventualità ammesse va, nei suoi veti da tutti inviolabili, tratta dalla terribile lezione storica delle devastazioni dell'opportunismo.
In un simile partito finalmente impersonale nes­suno potrà abusare del potere, proprio per la sua ca­ratteristica non imitabile, che lo distingue nel filo inin­terrotto che ha l'origine nel 1848.
Tale caratteristica è quella della nessuna esitazione del partito e dei suoi aderenti nella affermazione che è sua funzione esclusiva la conquista del potere poli­tico e il suo maneggio centrale, senza mai nascondere in nessun momento questo scopo, e fino a quando tutti i partiti del Capitale, e del suo servidorame piccolo borghese, non saranno stati sterminati.

Da “Il programma comunista” n. 22 - 1958

Non crediamo che ci sia bisogno di notare il carat­tere universalistico e misticizzante, il cosiddetto partito storico che non è mai esistito se non nei sogni dei poeti e nelle aspirazioni utopiche del socialismo umanitario del premarxismo e che non esisterà mai nei termini almeno che Bordiga ha soltanto auspicato, lui che come noi e a volte più di noi, ha sentito accanto all'ansia inappagata della conquista la fatica del creare giorno dopo giorno, mattone su mattone, le prime strutture del partito che il giorno appresso la reazione avrebbe dissolto e di dover quindi, ricominciare con altri mezzi ed altri apporti umani non sempre conformi alle neces­sità, non sempre pieghevoli alla dura disciplina che l'atto della creazione del partito imponeva. Quanta fa­tica e quante disillusioni sofferte non escluso il morso avvelenato del compagno che era tale solo di nome, pronto alla resa e non di rado al tradimento. Questo è il partito che abbiamo conosciuto noi, il partito reale da Livorno alle leggi eccezionali fatto sì da eroi ma anche da opportunisti, intriso di sacrifici, di galera, di sangue ma anche di corruttela. Non c'era tempo e modo allora di favoleggiare intorno al partito storico perfetto che i rivoluzionari hanno sempre preferito lasciare agli inetti per costituzione e ai filosofi acchiappanuvole.

L'idea del partito universale, perfetto in ogni parte delle sue strutture e funzionalità era stata adombrata da Bordiga come una esigenza del suo spirito geome­trico e per placare forse con una astrazione di perfe­zione ideale l'ansia inappagata d'una tormentata vita di rivoluzionario. In pratica questa idea del partito ideale doveva indicare un modello a cui tendere e a cui ispi­rare la lenta e faticosa costruzione d'un organismo, il partito rivoluzionario, fatto di uomini con le moltepli­cità delle istanze, e con le tare e i limiti che gli sono propri.

Ma ce n'era abbastanza in questo tendere all'astrat­to per offrire addentellati ai cercatori di squisitezze teoriche tipo “invariance”.

E questa tendenza, nata e cresciuta nel grembo del bordighismo ultima maniera, parte in quarta verso le ignorate mete del partito, modello ideale, prefigurazione della società futura; scrive:

Il partito rappresenta dunque la società futura. Non lo si può definire con regole burocratiche ma col suo essere; e il suo essere è il suo programma: prefigurazione della società co­munista della specie umana liberata e cosciente.
Corollario: la rivoluzione non è un problema di for­me di organizzazione. Essa dipende dal programma. Senonchè è stato provato che la forma partito è la più atta a rappresentare il programma, a difenderlo. E qui le regole di organizzazione non sono prese a prestito dalla società borghese, ma derivano dalla visione della società futura.
Ne deriva una caratteristica importante del partito. Essendo la prefigurazione dell'Uomo e della società co­munista, esso è la base mediatrice di ogni conoscenza per il proletariato, cioè per l'uomo che rifiuta la Ge­meinwesen borghese e accetta quella del proletariato, lotta per imporla e, quindi, per imporre l'essere umano. La conoscenza del partito integra quella di tutti i secoli passati (religione, arte, filosofia).

E per chiusa a questa fase trionfalistica ed esaltante del partito che, si afferma, non scompare mai, ripor­tiamo, sempre da “invariance” la parte conclusiva di una lettera di Marx a Freiligrath:

Ho cercato di eli­minare il malinteso che mi farebbe intendere per “par­tito” una lega morta da anni o una redazione di gior­nale sciolta da dodici anni. Io intendo il termine “Par­tito” nella sua larga accezione storica...

cioè (spiega di seguito “invariance” con quella acutezza e conse­guenzialità che a Marx erano mancate) come prefigura­zione della società futura, dell'Uomo futuro, dell'Essere. umano che è la vera Gemeinwesen dell'uomo.

In questa noiosa e petulante ripetizione d'una frase è incentrata tutta la filosofia con la quale “invariance” vorrebbe esaltare la funzione storica del partito. E come conclusione afferma:

Ciò che si manifesta, nei periodi di rivoluzione come di rinculo, è la continuità del no­stro Essere, l'affermazione del nostro Programma: il Partito “nella sua larga accezione storica”.

Povera “accezione storica” marxista finita nella tra­ma d'una filosofia vecchia quanto l'opportunismo e il cui pregio maggiore sta tutto nell'uso, meglio nell'abuso delle lettere maiuscole.

Siamo giunti così alla seconda ed ultima fase che porta la corrente in esame su posizioni del tutto op­poste alle precedenti, presa da una specie di frenesia della propria dissoluzione.

Caso di patologia politica o incapacità di dare senso di concretezza ad una arruffata problematica di idee madri come classe, partito, rapporto dialettico con la classe antagonista, ecc., tesa paradossalmente fino al li­mite di rottura oppure residui di frustrazioni ideologico-politiche che hanno colpito particolarmente le giovani generazioni di intellettuali di sinistra tendenzialmente marxiste uscite dagli avvenimenti parigini del mag­gio 1968?

Forse un po' di tutto insieme, e constatarlo lascia un senso di amarezza e di rincrescimento perché lace­razioni del genere lasciano traumi profondi ed anche perché, in definitiva, il disperdersi di giovani forze in­tellettuali e umane indebolisce in ogni caso il fronte del­la rivoluzione.

Portata dunque a termine l'esperienza filo bordi­ghista, diciamo pure assai malamente, la corrente non sa trarre le dovute conseguenze ed è sommersa da accadimenti assai più grandi della sua serietà e robustezza teorica e della sua insignificanza politica.

La metamorfosi non ha avuto che lo spazio tempo­rale di neppure un decennio; già alla rivolta contesta­trice del maggio 1968, “invariance” vi partecipa relegato ai margini e in ordine sparso, per trarre da questi av­venimenti i motivi più che di un suo rafforzamento, quello della sua autoliquidazione in quanto raggruppa­mento dello schieramento rivoluzionario richiamantesi al marxismo.