Zone di irrazionalità nel mondo della sovrastruttura

In che misura una improprietà di linguaggio può pervenire a deformare il pensiero che si ritiene impron­tato alle idee e alla metodologia marxista? È il caso della interpretazione della irrazionalità nella storia al­lorché viene formulato il quesito su quanto di razionale è nel pensare e nell'operare degli uomini e quanto di irrazionale, invece, è presente e a volte vi domina sotto la parvenza e la falsa apparenza di razionalità.

Si affaccia così un problema che chiameremmo di psicologia sociale e politica che non ha avuto fin qui, che si sappia, il posto che merita nella pur vasta pro­blematica marxista.

Ci ha condotto ad affrontarlo non tanto la presun­zione di trattarlo a fondo, quanto di porlo sul tavolo dell'osservazione critica e vederne l'importanza non so­lo e non unicamente in sede di elaborazione teorica, ma soprattutto sotto il profilo della sua importanza di azione politica.

L'occasione è data da una notazione critica, anche se timidamente formulata, di Giorgio Galli nella sua at­tenta e intelligente recensione al mio libro dedicata alla complessa personalità di Bordiga e pubblicata in “Cri­tica Sociale” del 5 febbraio 1972, n. 3, dal titolo: “P.C.I. Alternative storiografiche”.

L'osservazione del Galli è così formulata:

“Certamente, come rileva Damen, l'impostazione di Bordiga presenta alcuni aspetti non dialettici, una so­pravalutazione del dato razionale che tuttavia è larga­mente implicita in quella concezione che lo stesso Marx definiva “socialismo scientifico”, nel quadro del “mate­rialismo storico”. Ma una dialettica che prenda in con­siderazione la dinamica di un mondo che, come afferma lo stesso Damen, “obbedisce in buona parte a spinte di irrazionalità”, è una dialettica che probabilmente an­drebbe al di là di quello che è stato, sinora, il recepi­mento del marxismo nelle sue varie interpretazioni, comprese le più rivoluzionarie.”

I termini della mia analisi presi in considerazione dal Galli sono esattamente questi:

“È mancata a Bordiga una giusta valutazione della dialettica per quel fondo della sua educazione basata prevalentemente sul lato scientifico che lo portava a vedere il mondo e la vita su di un piano di sviluppo razionale, quando la realtà della vita sociale e della lotta rivoluzionaria lo ha messo spesso davanti ad un mondo che obbedisce in buona parte a spinte di irra­zionalità. La metodologia basata sul dato matematico proprio della scienza non sempre combacia con la me­todologia basata sulla dialettica che è movimento e con­traddizione e questo, nell'esame della politica rivoluzio­naria e delle sue prospettive, non è di poco conto.”

È evidente nella osservazione del Galli una sottintesa ipotesi materialistica e crede di intravedere nella mia formulazione una ipotesi che potrebbe andare oltre i termini della dialettica formale, non coglie cioè il nesso che deve costantemente intercorrere tra il mondo della determinazione e quello della sovrastruttura.

Innanzitutto va detto che è proprio del materialismo infantile il modo di concepire il rapporto dialettico tra causa ed effetto di un qualsiasi fenomeno politico-so­ciale con carattere di immediatezza; data cioè la causa a questa deve corrispondere inevitabilmente e subito l'effetto; in altre parole data, ad es., una situazione og­gettiva di crisi profonda del sistema (è il caso attuale di tutto il complesso del regime capitalista) a questa deve necessariamente corrispondere, come un addentel­lato strumentale, automatico con la sovrastruttura, una soluzione rivoluzionaria e su questo presupposto pre­disporre una tattica ed una strategia dell'atto rivoluzio­nario, facendo leva sulla spontaneità delle masse. È questa la tipica “forma mentis” d'ogni tipo di popu­lismo politico che pervade le cosiddette “sinistre” da quelle extra-parlamentari, troppo numerose in questa policromia di gruppi per essere esaminate ad una ad una e troppo inconsistenti per attribuire loro un ruolo ca­ratterizzante nella crisi del sistema, a quella dell'anar­chismo libertario e comunisteggiante e del maoismo be­cero e pasticcione tutti, indistintamente, e non a caso, germinati nel clima del dominio imperialista come mo­mento estremo e parossistico del suo disfacimento.

Questo modo di concepire meccanicisticamente il muoversi delle vicende umane è sempre servito a tutti i regimi in crisi come espediente per consentir loro di riprender fiato e di guadagnare tempo nella speranza di risalire la china e ritessere la tela del proprio privilegio di classe e ciò contro le stesse leggi che regolano, in senso contrario, il divenire della storia. Anche il capi­talismo non agisce oggi contro la linea dinamica del suo opposto illudendosi così di violentare la storia?

L'argomento così sinteticamente abbozzato merita, pensiamo, un esame più approfondito.

Il nostro tempo dà giustamente l'impressione d'aver raggiunto il più alto grado delle certezze obiettive; nel campo delle scienze naturali, nelle ricerche come nelle scoperte la scienza ha realizzato conquiste al di sopra di ogni previsione umana: la rivoluzione tecnologica ha investito di sé ogni attività dell'uomo spazzando via residui del passato, inserendosi come elemento propul­sore e di profondo svecchiamento nella stessa tradizione artigianale che aveva accumulato nei secoli un incom­parabile potenziale di bellezza e di ricchezza. Lo stesso processo produttivo è dilatato ormai sul terreno della più assoluta razionalizzazione. Ma sono forse queste in­discutibili e universali certezze obiettive offerte agli uomini e di cui gli uomini stessi non sempre hanno la dovuta consapevolezza.

Tra queste abbiamo posto il processo produttivo che del complesso dell'economia è, a giusta ragione, la ma­nifestazione più razionale: non è concepibile, infatti, la vita dei grandi complessi dell'industria monopolizzata che non sia basata su criteri di rigida programmazione tanto nella sua strutturazione di macchine, di materie prime e di mano d'opera, il tutto contabilizzato fino al minuto temporale e al centesimo monetario, che nelle sue prospettive di sviluppo e di realizzazione del pro­fitto a lungo termine.

Eppure se scaviamo nella complessità di questo pro­cesso non è difficile individuare la matrice di vaste e profonde contraddizioni quale, ad es., la tendenza al­l'inarrestabile aumento della tecnica in confronto ai li­miti di assorbimento del mercato e la conseguente ri­duzione progressiva dell'utilizzo della mano d'opera; più in particolare la contraddizione fondamentale tra il crescere, sotto il pungolo della concorrenza, del capitale fisso (macchine) e la tendenza alla diminuizione “globale” del profitto che mette in crisi la scientificità del sistema e manda in bestia i possessori dei mezzi di produzione. Non a caso il marxismo ritiene anarchico questo sistema di produzione, anarchico perché irreale e contraddittorio e quindi irrazionale.

Ma l'argomento si allarga a dismisura se spostato sul piano dei fenomeni socio-politici della sovrastruttura, là dove gli uomini pensano e operano.

Ci riportiamo così al rapporto dialettico tra i fattori della determinazione e quelli sovrastrutturali che espri­miamo in termini di classe, più precisamente delle due classi storiche che in questa fase vivono, l'una nell'altra, in contrapposizione dialettica, il lungo momento della crisi di trapasso dal capitalismo al socialismo, da una società condizionata, basata sullo sfruttamento dell'uo­mo sull'uomo ad un'altra basata sulla libertà.

Nessuno più dubita che il capitalismo è pervenuto alla fase conclusiva del suo ciclo storico, ma non tutti hanno coscienza della gravità della crisi che ha investito quel perfetto ma complicato e delicatissimo strumento produttivo che la scienza, applicata alla tecnica, ha messo nelle mani dei detentori del potere economico e soprattutto dei possessori del capitale finanziario dive­nuto il dominatore dispotico della politica imperialista. Ma la scienza applicata alla tecnica, se ha consentito di dilatare senza limiti la capacità produttiva del capi­talismo, ora è chiamata a consulto al letto di questo grande ammalato per guarire i mali che affliggono il sistema capitalista di produzione dei beni e della loro distribuzione; ebbene questa scienza non ha trovato al­tro rimedio che quello di una tecnologia ancora più avanzata per una ristrutturazione aziendale destinata, sì, a ridare l'illusione di una rinascita ma anche e so­prattutto a riprodurre, e in modo più allargato, i mali che era chiamata a guarire. E tra questi mali, il male maggiore, per il capitalismo, della diminuita capacità del sistema ad assicurare il normale profitto. Da qui l'accresciuto ritmo al processo di accentramento dei grandi complessi industriali nelle varie branche dell'at­tività produttiva: i pesci grandi si mangiano i pesci pic­coli nella speranza di sopravvivere; la polarizzazione ulteriore del capitale finanziario nelle mani di pochi che ricorrono a tutte le forme della speculazione e il crollo verticale delle piccole e medie industrie dato che tanto lo Stato che i privati non vogliono correre rischi con investimenti di capitali in imprese di non sicuro av­venire.

Questo complesso economico così profondamente, e inguaribilmente in dissesto e dalle manifestazioni a volte ridicole e a volte tragiche e proprie del capitalismo morente, continua a vivere la sua agonia nella misura che le debolezze e gli errori della classe opposta, stori­camente chiamata al suo superamento, rendono ciò pos­sibile; la verità è che il capitalismo non sta vivendo una crisi di crescenza in quanto strutturalmente capace di aprire davanti a sé un nuovo ciclo di sviluppo, ma è l'antagonista di classe, il proletariato, che non ha an­cora raggiunto quel grado di consapevolezza del proprio fine e di violenza rivoluzionaria per osare di affossarlo.

Il capitalismo non muore per esaurimento o perché ha portato a compimento il suo compito storico di classe; può continuare a vivere, come infatti vive, an­che se non ha più nulla da dire sotto il profilo economico e di sviluppo sociale e culturale. Ed è questa specie di interregno tra un capitalismo che non c'è più se non nelle forme antistoriche del parassitismo e della violenza, e un proletariato tuttora incapace di imporre la I sua egemonia di classe che si riproduce nella sovrastruttura con lo sconvolgimento di tutti i valori acquisiti e con la tendenza a regredire verso epoche che ci illudevamo fossero del tutto scomparse.

Data la situazione di crisi esistente che sta toccando il fondo nella sua azione di disintegrazione del tessuto economico, del settore cioè che più di ogni altro mo­strava i segni della certezza obiettiva per l'azione coor­dinatrice della scienza e della razionalizzazione, si sa­rebbero dovuti determinare sul piano sovrastrutturale altrettanti sommovimenti nelle strutture socio-politiche con l'acutizzarsi del conflitto di classe e con Io sve­gliarsi di una coscienza rivoluzionaria delle masse. Se ciò è avvenuto, lo è stato solo in parte e in modo limi­tato, quando non del tutto distorto, ciò che dimostra la estrema inadeguatezza e inattualità della tesi, cui accen­navamo più sopra, che vuole che ogni fenomeno del rostrato economico si riproduca per automatismo in superficie, nella mente degli uomini, nei loro rapporti e nelle loro cose quando, in realtà, i fenomeni della strut­tura economica si proiettano sul piano dei rapporti so­ciali e politici in uno svolgimento di ampiezza spaziale e temporale difficilmente delimitabile sia per il diverso grado di sviluppo tra le singole esperienze capitalistiche sia per la lenta e disuguale sensibilizzazione della co­scienza e della volontà umana che attendono un'azione unificatrice, condizione prima e indispensabile perché possa operarsi quel moto di ritorno sulla base della de­terminazione da cui dipende il realizzarsi, in concreto, dell'evento storico.

Non è difficile ragguagliare la validità di questi fenomeni con i dati reali dello sviluppo economico, sociale e politico.

In altre parole a crolli, anche verticali, in economia non seguono sempre e inevitabilmente soluzioni rivoluzionarie se non esistono condizioni subiettive favorevoli che esaminiamo relativamente alla classe cui storica­mente spetta di compiere l'atto dell'eversione rivolu­zionaria. Sul piano ove operano le forze sociali e poli­tiche della contraddizione dialettica, il problema di una amalgama della coscienza collettiva protesa verso un obiettivo comune mostra maggiori difficoltà di organiz­zazione, di sviluppo e di soluzione in confronto di quelle che abbiamo visto determinarsi nelle strutture di fondo dell'economia.

La classe proletaria è nel suo insieme tuttora legata da una unità fittizia più d'ordine sociologico che sal­data ad una base economico-politica; è solcata da sud­divisioni per categorie e in esse da situazioni contraddittorie che investono l'ambiente di lavoro, il grado di sfruttamento fisico e psichico e il sistema di retribu­zione salariale.

Una classe che pensa ed opera per categorie non è ancora classe vera e propria perché priva di una co­scienza del suo essere unitario e del fine al quale è chiamata e quando si muove obbedisce a spinte di in­teressi parziali e contingenti e di apparati sindacali e politici che si servono del movimento delle masse per ingabbiarle in una strategia parlamentare per fini utili tanto ai partiti democratici d'opposizione come a quelli che sono al governo. In questo fondo di irrazionalità che pervade ancora buona parte delle masse lavoratrici, il fatto più irrazionale e perverso è che queste si sentono costrette a lottare con scioperi sempre più svirilizzati e con manifestazioni di banale coreografia per falsi scopi e, quel che è peggio, contro gli stessi interessi della classe.

Travagliata maturazione di una coscienza di classe

In questa immensa e vasta gamma di componenti della classe che va dai singoli ai gruppi, alle categorie e che a volte sembrano assumere i caratteri di veri com­partimenti stagni, le azioni e reazioni e le prese di co­scienza che si determinano per effetto della crisi econo­mica incombente su tutto il sistema, assumono aspetti tra loro difformi e contradditori non facilmente recepi­bili sul piano d'una valutazione unitaria non diciamo economica e politica, ma anche e soprattutto di sem­plice psicologia sociale.

“Il fatto che vivete, che avete una attività economica, che procreate, che fabbricate prodotti, che li scambiate, determina una concatenazione oggettiva necessaria d'av­venimenti, di sviluppi, concatenazione indipendente dal­la vostra coscienza sociale, che non può mai abbrac­ciarla nella sua totalità. Il fine più nobile dell'umanità è quello di abbracciare questa logica oggettiva dell'evolu­zione economica (dell'evoluzione dell'esistenza sociale) nei suoi tratti generali e principali, onde adattarvi iI più chiaramente e il più nettamente possibile, col più grande spirito critico, la sua coscienza sociale e la co­scienza delle classi avanzate di tutti i paesi capitalisti.” (Lenin)

Tutto ciò non va inteso come linearità dello sviluppo che condurrebbe ad una interpretazione ora idealistica, ora mistica ma come un “tutto fatto di contrari” che ci dà il senso vero e rivoluzionario insieme del proce­dere dialettico d'ogni processo di sviluppo.

“Solo questa concezione ci spiega l' “auto-dinamica” di tutto ciò che è; ci dà la chiave dei “movimenti bru­schi” delle “soluzioni di continuità”, delle “conversioni di direzione”; solo essa ci fa comprendere la distruzione delle vecchie cose e la nascita delle nuove.” (Lenin)

Il proletariato, è questo il solo riferimento valido nel dissolvimento dei valori tradizionali della cultura in questa fase della crisi borghese; è il portatore storico della dialettica concreta; allo stesso modo Engels aveva considerato il movimento operaio tedesco come l'erede della filosofia classica tedesca; in una parola il moderno proletariato si erge come il solo protagonista della sto­ria, dalla rivoluzione industriale inglese all'attuale fase decadente e parassitaria di tutta l'economia capitalista.

Questo spiega il perché in questo scorcio di storia, pur così pieno di attriti sociali e di aspre lotte politiche, il massimo della tensione ha dato un diffuso senso di agitazione e di rivolta e di uso indiscriminato della vio­lenza, ma in nessun caso queste agitazioni e rivolte sono riuscite a radicarsi nel profondo della classe ed espri­mere le esigenze fondamentali del conflitto insanabile tra classe e classe.

La strada di questa travagliata maturazione d'una coscienza unitaria di classe è per se stessa lunga e dif­ficile e non ha superato lo stadio del rivendicazionismo riformista e corporativo nel quale il proletariato è tut­tora invischiato. Manca la soluzione di queste premesse perché gli operai sentano la suggestione delle lotte di classe e dell'azione rivoluzionaria.

Le masse operaie vi perverranno da sole? Vi per­verrà in funzione del complesso della classe la punta avanzata del proletariato industriale nella misura che avrà contribuito a creare le condizioni per la formazione d'una coscienza unificatrice e critica di tutta la storia del movimento operaio; d'un tessuto di elaborazione teorica della rivoluzione di classe; di un corpo di dot­trine maturato nel solco fecondo del marxismo; condi­zioni queste che presuppongono la esistenza e il tra­vaglio formativo del partito rivoluzionario sorto tempestivamente dal seno stesso della classe.

All'opera di questo partito e di nessun altro, è de­mandato il compito di ridurre, quanto più possibile, lo spazio tra razionale e irrazionale che separa le masse operaie dalla coscienza del loro essere di classe.

Tuttavia non basta che il partito rivoluzionario di­sponga di quadri validi, di dottrina e di una solida base programmatica se non ha presente che queste zone obiettivamente preclassiste, che abbiamo visto essere così vaste e varie nell'ambito stesso della classe, per­mangono ai margini della sua organizzazione e atten­dono di essere ridotte ad un momento attivo della pra­tica rivoluzionaria.

Se “la vita sociale è essenzialmente pratica e tutti i misteri che sviano la teoria verso il misticismo tro­vano la loro soluzione razionale nella attività pratica umana e nella condizione di questa attività pratica” (Marx, dalle “Tesi su Feuerbach”) è evidente l'impor­tanza e l'urgenza del problema che sta davanti alle forze responsabili dell'azione rivoluzionaria di precisare e ap­profondire la conoscenza della reale natura di queste zone d'ombra che appesantiscono la lotta di classe e la loro eventuale utilizzazione di forze “sussidiarie” sul piano della strategia rivoluzionaria.