Posizione del Bureau Internazionale sulla crisi del Golfo

Contro Bush e l'imperialismo occidentale, contro Saddam e l'espansionismo iracheno - No alla guerra in Medio-Oriente

La crisi del Golfo dimostra che la fine della Guerra Fredda non ha portato alla fine dell'era dell'imperialismo. Di fatto l'invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein è un prodotto diretto delle manovre e delle macchinazioni dell'imperialismo, particolarmente nella sua più potente varietà occidentale.

Consideriamo i fatti. Nel 1963 i servizi segreti degli Usa foraggiarono il colpo di stato del Baat per prevenire la crescita degli stalinisti iracheni. L'elenco dei comunisti iracheni fornito dalla Cia portò alla morte di 5 mila persone per mano di quello stesso partito Baat al quale appartiene Saddam. Questi continuò nella sua tendenza filo-occidentale (nonostante continuasse a ricevere armi dall'Urss) attaccando l'Iran nel 1980 agli ordini della Cia (che gli aveva suggerito che sarebbe stata una vittoria facile). Il suo obbiettivo dichiarato era di rovesciare il trattato di Algeri, al quale l'Iraq era stato costretto dagli Usa, che diede allo Scià di Persia una porzione delle vie di navigazione dello Shatt al Arab, ma il suo vero obiettivo era di rovesciare l'allora più pericoloso nemico dell'Occidente: la Repubblica Islamica di Khomeini.

Nonostante il sostegno di entrambi i blocchi dell'est e dell'ovest, nonostante gli attacchi missilistici sulle città e l'impiego dei gas velenosi, l'Iraq poté raggiungere solamente una posizione di stallo al momento della firma dell'armistizio dopo 8 sanguinosissimi anni di guerra. La posizione di stallo era comunque quel che l'Occidente voleva. Esso aveva sostenuto Saddam per bloccare l'emergenza di un imperialismo regionale che avrebbe costituito una minaccia per i suoi interessi nel Golfo. Alla fine degli anni 1980 l'Occidente ha iniziato a dubitare del suo controllo sull'Iraq. Aveva già approvato il colpo di Israele contro la maggior centrale nucleare irachena nel 1985. Quando Saddam ha rifiutato di firmare un trattato di pace con l'Iran l'Occidente ha iniziato a premere sull'Iraq per ricordargli il suo status di cliente. Tutte le chiacchiere sulla possibilità di cancellare gli 80 miliardi di dollari di debito iracheno sono cessate e gli Usa hanno utilizzato il Kuwait come pedina all'interno dell'Opec per tenere il prezzo del petrolio quanto più basso possibile al fine di minare gli sforzi iracheni per ricostruire la propria disastrata economia.

E sia chiaro. Saddam Hussein intendeva rovesciare i rapporti di forza in Medio Oriente.

Il suo fine ultimo era far rivivere il pan-arabismo per mettersi alla testa di una crociata islamica contro Israele. Intendeva rimpiazzare la Pax Americana nella regione con una nuova forma di Impero Babilonese. Così facendo egli ha sfidato 80 anni di dominazione dei campi petroliferi da parte dell'imperialismo occidentale. La prima concessione petrolifera venne estorta all'impero turco nel 1908 e dopo la prima guerra mondiale la Gran Bretagna ricevette come sua parte del bottino di guerra l'Iraq, la Giordania e la Palestina. Quando l'Iraq ottenne l'indipendenza (ed un re filo-britannico) il Kuwait fu escluso dal nuovo Paese. La enclave ricca di petrolio rimase parte dell'impero britannico fino al 1961 quando fu passata alla famiglia Sabah quale manager degli interessi britannici. L'indipendenza nominale di tutti gli sceiccati della Penisola Arabica significa in realtà che essi sono governati a beneficio delle compagnie petrolifere occidentali.

Senza il petrolio che fluisce dal Golfo, le economie dei paesi Ocse collasserebbero. Se anche l'Arabia Saudita fosse caduta fuori dal controllo occidentale, un terzo delle forniture petrolifere mondiali (a parte l'Urss) sarebbe stato nelle mani di Saddam. Gli Usa non possono consentire che questo succeda poiché ciò farebbe dell'Iraq un vero centro del potere nella regione con cui fare i conti. Né lo possono consentire le potenze europee, al di là delle divergenze di fondo con gli Usa sul prezzo del petrolio.

Lo spiegamento americano delle truppe nell'area non è dunque solo per "difendere l'Arabia" o per rinforzare il blocco economico dell'Iraq. Non è certo per "restaurare la democrazia" o per liberarsi di un supposto barone della droga come fu fatto credere per Noriega a Panama. L'intenzione è di attaccare e gli obbiettivi di guerra non sono di buttar fuori l'Iraq dal Kuwait, ma di liquidare la minaccia di Saddam agli interessi imperialisti occidentali. Quando e se succederà, il costo di morte sarà ben superiore ai duecento uccisi dagli iracheni nell'invasione del Kuwait o anche degli 8 mila uccisi dai marines americani a Panama. Le conseguenze non saranno certo confinate all'Iraq e al Kuwait.

Molti governi arabi (ma non le masse) si sono allineati agli Usa per la naturale avversione all'affermarsi di un paese (ieri l'Iran, oggi l'Iraq) come forza egemone nella regione.

Gli europei non vedevano di buon occhio la funzione degli Usa come unici garanti degli equilibri imperialisti, ma d'altra parte dovevano apparire solidali con gli Usa. Anche loro alla guerra contro Saddam dunque!, ma con obiettivi imperialisti non del tutto coincidenti con quelli americani, specie in materia di prezzi del petrolio.

Non si dimentichi e lo si ricordi ai pennivendoli borghesi impegnati nella campagna ideologica presso le masse occidentali: l'aumento del prezzo dai 18 dollari al barile ai 22 non lo hanno stabilito gli arabi, che si erano invece subito impegnati ad aumentare la estrazione fino a coprire il buco!

Solo pochi anni fa tale strategia diretta sarebbe stata impossibile senza il pericolo di un conflitto globale coinvolgente le superpotenze, ma oggi l'Urss è così fuori dal gioco che Gorbaciov sostiene formalmente l'iniziativa americana, nonostante che mille consiglieri militari sovietici siano "intrappolati" in Iraq. La strategia economica di Gorbaciov dipende dal capitale occidentale ed egli è quantomeno dispiaciuto del fatto che l'Urss non possa da solo contenere Saddam. Una guerra potrebbe spostare il capitale occidentale allontanandolo dall'Unione Sovietica...

Tutto questo conferma ciò che scrivevamo a gennaio, che:

il mondo è oggi un posto infinitamente più pericoloso [e...] il capitalismo non può spogliarsi della sua forma imperialista più di quanto un lupo non possa abbandonare la sua pelliccia.

Communist Review, organo centrale del BIPR, n.8

Cosa dovrebbero fare gli operai?

Ogni operaio con un minimo di coscienza di classe deve opporsi all'imperialismo in tutte le sue forme. Questo significa rifiutare qualsiasi mobilitazione dietro qualsiasi movimento nazionalista, sia esso nel mondo arabo o nel mondo occidentale. Significa anche rigettare i falsi consigli di quei partiti cosiddetti "socialisti" e "comunisti" che in alcuni casi , come in GB, chiamano al sostegno per gli assassini baatisti di Baghdad.

Il nemico del nostro nemico non è necessariamente nostro amico. Saddam è un imperialista (sebbene a scala minore) che ha messo a morte migliaia di operai iracheni (per non parlare del mezzo milione di morti combattendo per conto dell'imperialismo occidentale e sovietico sul fronte iraniano). La nostra opposizione all'imperialismo significa che dobbiamo lottare anche contro i suoi burattini in tutti i paesi mediorientali, incluso quello che ora vuol far da solo. Agli operai non interessa la formazione di un nuovo ordine imperialista, gli operai devono portare avanti la propria lotta di classe per porre fine a tutti gli ordini imperialisti.

Per noi operai di ogni paese il nostro più grande nemico è il "nostro" stato. Dobbiamo opporci ai suoi piani e preparativi di guerra in ogni modo possibile. Questo significa in primo luogo combattere la macchina di propaganda totalitaria che ieri ci ha presentato Saddam come il salvatore dell'Occidente (nonostante le sue cattive abitudini, quali quella di gasare 4mila civili kurdi) mentre oggi ce lo dipinge come il nuovo Hitler "che viola tutte le norme internazionali". L'amico di ieri si è trasformato nel nemico di oggi.

Secondariamente significa combattere i tentativi di imporre ancor più sacrifici e tagli nei servizi sociali in nome dell'interesse nazionale. Gli operai hanno già fatto troppi sacrifici, ma ancora i capitalisti possono offrire solo ripresa dell'inflazione e della disoccupazione. La crisi capitalista che si è dilungata su due decenni era pronta a precipitare il mondo in una ulteriore recessione ed ora la crisi del petrolio fornisce loro l'alibi perfetto per giustificare i fallimenti del sistema. Ciò che sta accadendo anche in diversi paesi europei è significativo: duri attacchi al salario, ai nuovi contratti e minacce dirette alla occupazione. La nostra risposta deve essere di rifiutare le bugie, rifiutare l'isteria nazionalista e lottare per mantenere i livelli salariali e occupazionali.

La crisi attuale non sfocerà direttamente in una terza guerra mondiale. Ma essa sarà un momento della preparazione delle nuove alleanze con le quali potrebbe essere combattuta una futura guerra mondiale. In ogni caso la guerra è endemica al capitalismo e colpirà differenti regioni della periferia capitalista in tempi differenti. Non sarà fermata dalle campagne dei pacifisti. Può essere fermata solo dal rovesciamento del sistema imperialista stesso, e la sola classe capace di ciò è quella che crea la ricchezza che dà agli imperialisti il loro potere: la classe operaia del mondo intero.

Riprendiamo la lotta contro l'austerità e i tagli.

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