Oggettività, pensiero e prassi nelle “Tesi su Feuerbach” di K. Marx

Le note personali che noi conosciamo come le “XI Tesi su Feuerbach”, e che Engels pubblicò per la prima volta nel 1888 in appendice al suo “Ludwig Feuerbach”, furono stese dal giovane Marx nella primavera del 1845.

Ho ritrovato - scrisse Engels - in un vecchio quaderno di Marx le undici tesi su Feuerbach che riproduco in appendice. Sono appunti per un lavoro ulteriore, buttati giù in fretta, non destinati in nessun modo alla pubblicazione, ma d’un valore inestimabile. Sono il primo documento in cui è deposto il germe geniale della nuova concezione del mondo.

La data del breve scritto corrisponde indubbiamente ad un periodo molto delicato della maturazione intellettuale di Marx; un momento nel quale si completa il decisivo superamento di quel contesto filosofico che - e in parte ancora nei Manoscritti - era stato utilizzato dal giovane Marx, dopo le più recenti “scoperte feuerbachiane” e quindi non più in termini speculativi ma realistici, per l’elaborazione e definizione del “compiuto naturalismo o umanismo, distinto tanto dall’idealismo che dal materialismo, e verità che li congiunge entrambi”.

Le Tesi su Feuerbach si presentano nella forma particolare - e del tutto insolita fra gli appunti privati di Marx - di brevi e lapidari aforismi, che se da un lato richiamano quasi un accostamento alle stesse “Tesi provvisorie” di Feuerbach, dall’altro si caratterizzano per la profondità dei temi affrontati, per i contenuti ricchi di implicazioni e per la prima, sommaria formulazione del nuovo materialismo.

Sia chiaro: Marx non rigetta nelle Tesi nulla di quanto egli aveva fino ad allora acquisito nella sua critica alla filosofia astratta e spiritualistica, e nella sua rivalutazione di un materialismo naturalistico e antropologico, oltre che storico e sociale. Va anzi detto e ribadito che una esatta comprensione delle Tesi è impossibile senza la conoscenza dei Manoscritti del 1844 e delle questioni in essi affrontate e risolte.

Ciò che ora viene ulteriormente puntualizzato e proclamato in modo perentorio è la formulazione - reale e positiva - di un materialismo fondato scientificamente, il quale affronta e risolve in modo definitivo la questione della oggettività presente nella prassi umana-sensibile, contro una concezione speculativa e volgare del materialismo stesso, la quale escludeva il soggetto, cioè l’uomo, da ogni oggettività e non considerava la sua attività come un fattore anch’esso materiale.

L’oggettività della attività umana

Scrive Marx nella sua I Tesi (tutte le parentesi sono nostre):

Il difetto capitale di ogni materialismo fino ad oggi (bisherigen, apparso finora, passato) - compreso quello di Feuerbach - è che l’oggetto (Gegenständ, oggetto nel senso integrale di ‘ciò che sta di fronte’ e che sia un Gentile che un Mondolfo hanno tradotto ai primi del novecento come ‘il termine del pensiero’), la realtà, la sensibilità (il sensibile), vengono concepiti solo sotto la forma dell’obietto (Objekt, oggetto, nel senso statico e limitato di ‘ciò che viene proiettato fuori dal soggetto’) o della intuizione (cioè della sensibilità puramente teorica, e della ricettività passiva); ma non come attività umana sensibile, prassi; non soggettivamente.
Di conseguenza il lato attivo (die tatige Seite) fu sviluppato, astrattamente, in opposizione al materialismo, dall’idealismo - che naturalmente non conosce la reale, sensibile attività in quanto tale - ignora l’attività pratica, non astrattamente teocratica e intuitiva.

Ed anche qui vale tutta la critica a Hegel, sviluppata nei Manoscritti, ed alla sua interpretazione dell’attività unicamente come “lavoro spirituale astratto”.

Per quanto riguarda Feuerbach:

[egli] vuole oggetti (Objekcte) sensibili, realmente distinti dagli oggetti del pensiero; ma non concepisce l’attività umana stessa come attività oggettiva (gegenständliche Tätigkeit).

Anche nei riguardi di questo manoscritto viene mossa l’accusa di una sua pretesa ambiguità (favorita, come avremo modo di costatare, da traduzioni di comodo), mentre le interpretazioni “filosofiche” si sprecano fino alla conclusione tanto banale quanto assurda di un Marx che si allontanerebbe molto più dal “materialismo” che non dall’idealismo. Un Marx che sosterrebbe, ad esempio, una riduzione della base materialistica anziché un più che evidente ampliamento della stessa a tutti gli aspetti della vita umana.

L’aspetto soggettivo di questa vita - scrisse Plechanov nei suoi ‘Contributi alla storia del materialismo’ - è appunto quello psicologico, lo ‘spirito umano’, i sentimenti e le idee degli uomini. Considerare questo aspetto dal punto di vista materialistico significa, nella misura in cui si tratta della specie, spiegare la storia delle idee attraverso la storia economica. E Marx non poteva fare a meno di rilevare il ‘problema psicologico’ avendo chiaro sotto gli occhi il circolo pietoso in cui si arrovellava l’idealismo dopo che se ne era impadronito.

Ritornando agli “interpreti” delle Tesi, secondo alcuni di questi Marx sarebbe giunto al punto di reintrodurre nella sua “filosofia” il concetto - fondamentalmente metafisico - dell’oggettività, della realtà esterna, quale unico prodotto del soggetto umano, del pensiero (o della “relazione vivente” che lega il soggetto all’oggetto).

I termini della questione sono ben altrimenti definiti da Marx, il quale - al contrario - conclude con le Tesi la sua ricerca e la sua impostazione critico-gnoseologica attorno alle problematiche della natura (l’insieme di tutto ciò che è) e dell’essere umano, risolvendo una volta per tutte, attraverso la mediazione dialettica dell’attività umana sensibile, della prassi, la questione della priorità e del rapporto fra soggetto e oggetto.

E nell’ambito di questa mediazione naturale, ma soprattutto storico-sociale, che avviene l’unità di soggetto e oggetto, fermo restando il principio “materialistico” dell’oggettività, della priorità della realtà naturale su ogni altra esistenza.

Fra le righe delle Tesi non si nasconde alcun ripudio dell’oggetto materiale a se stante, separato dal pensiero umano e quindi esistente al di fuori di esso e da esso non dipendente. Si può parlare a questo punto di una oggettività primaria esterna all’uomo, immediata e naturale, e di una oggettività secondaria, legata alla attività del soggetto uomo. Questa oggettività non annulla la prima ma anzi, sempre attraverso quella attività pratica e sensibile che Marx ha ora portato in primo piano, contribuisce in modo determinante alla conoscenza della “cosa in sé” (l’ormai famoso, e falso, problema “filosofico”) ed alla sua trasformazione in “cosa per noi”. La prassi presuppone quindi la priorità dell’oggettività esterna nei confronti dell’oggettività conseguita con la prassi stessa. Non è questa, infatti, a creare la realtà materiale fondamentale, quella naturale, poiché la prassi stessa non esisterebbe e non si renderebbe possibile senza la presenza determinante dell’oggetto o materia esterna.

La novità - se cosi possiamo dire - introdotta da Marx riguarda pertanto l’attività che l’uomo esercita nel, e sul, mondo reale che lo circonda; una attività che si presenta essa stessa come oggettiva (lo abbiamo visto nelle pagine dei Manoscritti) contrariamente a quanto hanno fin qui ritenuto sia l’idealismo che il vecchio materialismo. Un’attività capace di dar luogo a oggettivazioni altrettanto concrete di quelle esterne, e nelle quali lo stesso soggetto si esprime essendo anch’esso oggetto. L’uomo cioè non si limita a contemplare le cose che gli stanno intorno e a riflettere in termini astratti e speculativi su di esse, bensì agisce, e con la pratica e attraverso di essa muove ed elabora anche il proprio pensiero.

Egli non si limita ad un passiva percezione e intuizione del mondo oggettivo, esterno e immutabile. Con lo sviluppo dell’attività sensibile, e quindi pratico-oggettiva, si inserisce in un processo storico di conoscenza della realtà costruendo il proprio mondo e il proprio ambiente. Avremo allora una realtà altrettanto vera e fondamentale, agente e reale (wirkend e wirklich) costituita dallo sviluppo storico delle forze produttive e materiali.

Quel “in sé” che via via diventa “per noi” (nella concezione di un materialismo dialettico che è insieme realistico e storico) è possibile soltanto attraverso la produzione di oggetti; attraverso il processo umano di oggettivazione e l’inserimento nell’ambiente esterno, sul quale agisce e dal quale subisce quelle reazioni e quelle determinazioni che contribuiscono alla sua stessa formazione di uomo storico e sociale.

L’oggetto non può più essere considerato solo come cosa immobile, rigida e feticizzata, ma anche come prodotto dell’uomo in quanto soggetto che diventa agente, capace di una attività, oltre che singola, collettiva e sociale. E l’uomo a sua volta si produce nella storia, nella sua attività sensibile, e da qui si sviluppano il suo pensiero, i suoi bisogni, le sue idee e rappresentazioni.

L’uomo, e il suo mondo, sono parte di quella realtà naturale che su di lui esercita la propria priorità; l’inscindibilità di soggetto e oggetto va perciò intesa (vedi “Appunti su Marxismo e Filosofia di Korsch” in “Prometeo” n. 9 1967) “nel senso dell’uomo parte della natura che la conosce trasformandola nei limiti storicamente consentitigli, quindi consentiti dalle sue relazioni con la natura esteriore da conquistare”.

L’oggetto compreso dal pensiero, in quanto reale, “rimane sempre, per Marx, e sia prima che dopo, saldo nella sua indipendenza fuori della mente”. II lavoro è l’attività che crea e trasforma; è una realtà oggettiva assieme alle cose statiche che pur esistono e sono presenti al di fuori dell’uomo. Attraverso la prassi, soggetto e oggetto non sono più separabili quando l’oggetto stesso è il risultato dell’attività umana. Questo “lato attivo” non può essere escluso da una concezione materialistica senza dare spazio all’idealismo, e alle sue speculazioni astratte sull’attivismo del pensiero e dell’Idea, e quindi ad un capovolgimento dei termini della realtà.

Gli uomini soddisfano i propri bisogni innanzitutto attraverso oggetti esterni, e la loro storia comincia con le relazioni che si stabiliscono con questi oggetti e quindi fra gli uomini stessi. L’appropriazione materiale e conoscitiva delle cose esterne e naturali per soddisfare i bisogni dell’uomo suscita l’errata impressione, rozzamente materialistica e idealistica, che gli oggetti esistano soltanto perché l’uomo entra in un diretto rapporto di uso, trasformazione e conoscenza con essi, stabilendo criteri e determinazioni immanenti secondo il proprio comodo e consumo. E Marx osserverà nelle Glosse Marginali a A. Wagner:

Gli uomini conferiscono all’oggetto questo carattere di utilità come carattere posseduto dall’oggetto, sebbene difficilmente una pecora considererebbe sua qualità ‘utile’ il fatto di essere commestibile per gli uomini.

Ecco perché anche Feuerbach, nella “Essenza del Cristianesimo” - e la parola torna a Marx:

considera come veramente umano soltanto l’atteggiamento teoretico, mentre la prassi è concepita e fissata solo nel suo modo di apparire sordidamente giudaico (schmutzigjüdischen Erscheinungsform: cioè limitatamente, in modo ristretto ed egoistico). Egli non comprende, perciò, il significato dell’attività ‘rivoluzionaria’, ‘pratico-critica’.

Nella filosofia di Feuerbach resta operante un dualismo ontologico-materialistico dove viene in evidenza la mancanza dell’elemento di mediazione, la prassi; nonostante la sua concezione materialistica, il sistema espresso da Feuerbach porta con se alcune contraddizioni insuperabili senza l’introduzione in esso di una dialettica concreta.

L’interdipendenza fra teoria e prassi

Passiamo alla II Tesi:

La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva (gegenstandliche Wahrheit) non è questione teoretica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve trovare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero (Diesseitigheit, il carattere terrestre). La disputa sulla realtà o non-realtà del suo pensiero - isolata dalla prassi - è una questione meramente scolastica.

La pratica porta alla conoscenza delle cose in modo sempre più completo e preciso; conduce alla verità oggettiva, provando cioè la concordanza delle nostre rappresentazioni mentali, i pensieri, con gli oggetti naturali. Questa conoscenza, attraverso lo stabilirsi di un rapporto di interdipendenza fra teoria e prassi, si fa più approfondita e realistica; acquista un carattere storicamente determinantesi e a sua volta diviene utile e indispensabile per la pratica umana.

La conoscenza passa attraverso la prassi; è la pratica che precede e condiziona la conoscenza nel suo processo di formazione, e si pone come l’obiettivo finale dello stesso conoscere il quale contribuisce all’approfondimento della pratica e ai suoi successivi ampliamenti.

Tanto la scienza quanto la filosofia - scrive Engels nella ‘Dialettica della natura’ - hanno finora del tutto trascurato l’influsso dell’attività dell’uomo sul suo pensiero: esse conoscono solo la natura da un lato, il pensiero dall’altro. Ma il fondamento più essenziale e più immediato del pensiero umano è proprio la modificazione della natura ad opera dell’uomo, non la natura come tale di per sé sola, e l’intelligenza dell’uomo crebbe nella stessa misura in cui l’uomo apprese a modificare la natura.

Una semplice riduzione della realtà al pensiero, alla sola comprensione e constatazione dell’esistente, bloccherebbe ogni possibilità di trasformazione; unicamente nella prassi umana, intesa come attività razionale nella quale si confronta “la realtà e il potere del pensiero”, viene meno ogni conservatorismo e immobilismo contemplativo; si affrontano le contraddizioni che si sviluppano nella stessa storia dei rapporti sociali umani e si risolvono le loro cause fondamentali, trasformando ciò che è.

Per Marx, che nei Manoscritti scriveva: “Pensare ed essere (Sein) sono quindi differenti, ma nel contempo uniti”, il pensiero ripete l’attività dell’essere umano reale; le idee (Ideen), le forme della coscienza ritornano ad influire sulle basi della realtà economico-sociale, fino a guidare l’azione umana ed a reagire sulle condizioni esterne. Questo è possibile (in circostanze e manifestazioni mai assolute e sempre relative) grazie a quella distinzione, a quella differenza pur presente tra il pensare e l’essere - termini di una unità dialettica - e nella misura in cui i pensieri (Gedärken), le forme teoriche, meglio traducono ed esprimono adeguatamente ciò che è la forma vivente dell’essere sociale; laddove la teoria è intesa come la comprensione della prassi umana poiché la vita sociale dell’uomo (e l’uomo è un essere sociale) è essenzialmente pratica. Se l’attività pratica degli uomini si manifesta in modo alienato, anche il pensiero subisce i limiti, e i capovolgimenti, della alienazione concreta e fondamentale. La denuncia era già presente nella Introduzione alla critica: “poiché l’essere umano non possiede una vera realtà”.

Respingendo un’attività puramente meccanicistica, priva di correlazioni interne ed esterne, come quella concepita dal vecchio materialismo, e per il quale l’uomo rimane alienato in un mondo estraniato, Marx rivaluta la prassi nel significato intenso e vigoroso di attività reale, sensibile, oggettiva, materiale, produttiva e trasformatrice. E questa prassi, questa attività critico-pratica, diventerà totale e rivoluzionaria quando avrà superato le condizioni di un’attività limitata ed egoistica (nella sua “forma di opposizione sordida e giudaica”); quando, trasformatasi in prassi disalienante produrrà l’uomo non più alienato, il quale avrà cioè compreso - come dice Marx - in se stesso e nella sua contraddizione il fondamento mondano, rivoluzionandolo praticamente.

Accennando alla “realtà”, al “potere” e al “carattere immanente del pensiero” che vengono “provati” e dimostrati dall’uomo attraverso la prassi, Marx assegna all’analisi teoretica un carattere attivo pari all’agire pratico in ogni campo quando essa si muove appunto non più nell’ambito ritenuto autonomo della speculazione astratta, e da cui possono derivare solo conclusioni soggettivistiche e arbitrarie, bensì della realtà e della esperienza umana e quindi si traduce in capacità di conquiste e trasformazioni concrete per l’uomo anche a livello sociale.

La conoscenza stessa è dunque attività umano-sensibile e non un impotente autoriflessione, una scolastica metafisica.

Circostanze e attività umana

La dottrina materialistica della modificazione delle circostanze (Umstände) e dell’educazione (Erziehung) dimentica che le circostanze sono modificate dagli uomini e che l’educatore stesso deve essere educato. Essa è costretta quindi a separare la società in due parti, delle quali una è sollevata al di sopra di essa (società).
La coincidenza del variare delle circostanze e dell’attività umana, o autotrasformazione, può essere concepita e compresa razionalmente solo come prassi rivoluzionaria.

Engels ha fornito di questo brano, corrispondente alla III Tesi, una relazione più ampia che riportiamo nella traduzione di M. Rossi:

La dottrina materialistica per cui gli uomini sono prodotti dell’ambiente (Umstände) e dell’educazione (Erziehung), e per cui, pertanto, uomini mutati sono prodotti di un altro ambiente e di una mutata educazione, dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l’ambiente e che l’educatore stesso dev’essere educato.

II Rossi ritiene il testo di Engels “una versione semplificata”, e precisa ulteriormente che:

Marx non allude qui all’educazione nel senso pedagogico del termine, ma nel senso più lato di rapporto dell’ambiente con l’uomo e dell’uomo con l’ambiente.

II lettore avrà costatato come quello di Engels non sia altro che un tentativo di maggiore chiarificazione del testo di Marx (e sorvoliamo su una supposta differenza “allusiva” al senso esatto del termine “educazione” fra Engels e Marx) che non ne altera in alcun modo il significato concettuale.

L’unica diversità formale sarebbe riscontrabile fra i due termini “circostanze” in Marx e “ambiente” in Engels. Peccato, però, che questa differenza esista solo nel “pensiero” di M. Rossi, al quale si deve la traduzione dello stesso vocabolo - Umstände - usato sia da Marx che da Engels, prima con il termine “circostanze” e poi con il termine “ambiente”... Rimane il fatto evidente che, stabilendo un rapporto di azione e reazione reciproca tra ambiente-uomo-ambiente, il modificare sia le circostanze che l’attività è - per Marx e per Engels, cioè per il materialismo storico e dialettico in questa critica del più ingenuo illuminismo - una coincidenza che può essere compresa in modo razionale e quindi concretizzarsi soltanto attraverso la prassi rivoluzionaria.

E la divisione della società in due parti, una che educa e l’altra che viene educata, corrisponde soprattutto alla realtà della società borghese divisa in classe dominante e sfruttatrice, la borghesia, e classe subalterna e sfruttata, il proletariato. Unicamente una rivoluzione capace di intervenire sulle circostanze, ovvero trasformare le strutture economiche della società, può ridare agli uomini il controllo delle condizioni per avviare un contemporaneo processo di autotrasformazione attiva, altrimenti impossibile sia da attuare che da comprendere.

A proposito delle disinvolte traduzioni di cui furono oggetto le Tesi su Feuerbach, e delle interpretazioni del concetto della “prassi che si rovescia” diffuso in Italia dal Gentile, è interessante quanto osserva N. Bobbio nella sua introduzione al volume di R. Mondolfo: “Umanismo di Marx”.

Le Tesi su Feuerbach - scrive Bobbio - erano state tradotte nel 1889 da Gentile “alla meglio”. L’espressione “umwälzende Praxis” con cui termina la III Tesi, era stata erroneamente tradotta “prassi rovesciata” anziché “prassi rovesciante”. Sempre secondo Gentile, per “prassi rovesciata” si doveva intendere “prassi che si rovescia”, in quanto:

il Marx notava che il coincidere del variare delle circostanze e dell’attività umana può essere concepito e razionalmente spiegato soltanto come prassi che si rovescia (nur als umwälzende Praxis).

Al Di Carlo, che nel 1933 aveva rilevato con stupore l’errata traduzione al posto di “prassi sovvertitrice o che rovescia”, il Mondolfo stesso rispondeva riconoscendo:

la perfetta giustezza grammaticale [dell’osservazione], tanto più inconfutabile - scrive Bobbio - dopo che l’edizione critica della “Gesamtausgabe” aveva corretto umwälzende in revolutionäre. (1)

II Mondolfo ribadiva però che:

l’interpretazione da lui data all’espressione adottata da Gentile corrispondeva allo spirito della dottrina, quale si poteva desumere dall’intero corpo dei frammenti, e in particolare dal concetto di Selbstveränderung (Autotrasformazione).

Per Gentile, dunque:

la prassi che aveva come principio, il soggetto e termine l’oggetto, si rovescia tornando dall’oggetto (principio) al soggetto (termine).

Questa concezione di una prassi che va avanti e indietro, autorovesciandosi, dal soggetto all’oggetto e viceversa, non ha niente a che vedere con la prassi rivoluzionaria di Marx, il quale respinge ogni separazione tra l’ambiente, le situazioni particolari, e l’uomo reale e attivo. II rapporto è dialettico e si concretizza attraverso un’attività umana che storicamente trasforma le circostanze esterne, muovendosi sotto l’impulso materialistico proveniente dalle condizioni oggettive.

Un modificare anch’esso oggettivo, il quale a sua volta contribuisce al processo di autotrasformazione soggettiva dell’uomo.

II rovesciamento comunista non si fonda perciò sull’attesa di una interna capacità della prassi di capovolgersi, con finalità di riequilibrio o conservazione, all’interno di uno stato di cose che aspetta soltanto di essere travolto. Nei momenti di crisi della base economica e dell’organizzazione sociale dominante, si sviluppano le tendenze ad un movimento delle sovrastrutture nel quale emergono le spinte derivanti dalle contraddizioni strutturali, creando la possibilità di una azione di ritorno che è prassi rivoluzionaria unicamente quando porta alla rottura violenta, alla negazione dei condizionamenti originari. E infatti, dietro i rapporti economici e l’ordine sociale in crisi, esiste già una determinata attività degli uomini, e non è concepibile e realizzabile alcuna trasformazione se non interviene una contrapposta e sovvertitrice attività.

Siamo anche in questo caso di fronte alle prime conseguenze “teoriche” di una deformazione di metodo, poiché l’interpretazione materialistica della storia - giusto Engels - ha anzitutto un significato metodologico:

A noi occorrono non tanto i nudi risultati, quanto lo studio; i risultati sono niente se li consideriamo indipendentemente dallo sviluppo che ha condotto ad essi.

E in questo corretto metodo è fondamentale l’utilizzo della dialettica, la quale respinge il principio “volgare” dello sviluppo soltanto progressivo del mondo, attraverso cioè una evoluzione, sia pure attiva, ma senza salti e, tornando a certi interpreti di Marx, mediante non una prassi sovvertitrice, rivoluzionaria, ma che da sé... si rovescia.

Al contrario:

il materialismo storico, senza cessare di indicare che le circostanze sono modificate dagli uomini, ci dà al tempo stesso per la prima volta la possibilità di considerare il processo di questa modificazione dal punto di vista della scienza.

G. Plecharov, “Questioni fondamentali del marxismo”

Col materialismo storico e dialettico possiamo condurre una indagine scientifica sui “famosi” rapporti tra base e sovrastruttura, traendo da questa analisi critica le leggi che regolano l’attività degli uomini e quindi le indicazioni teoriche e pratiche per la trasformazione del modo e del carattere di una struttura economica storicamente senile. Sia essa che la direzione di una sua modificazione...

non dipendono dalla volontà degli uomini, ma dallo stato delle forze produttive e dal tipo di modificazioni che si determina nei rapporti di produzione e divengono necessarie per la società in virtù dell’ulteriore sviluppo di queste forze.

G. Plechanov

Determinazione oggettiva e volontà soggettiva

Respinta ogni ipostatizzazione di essenze e principi assoluti occorre tener presente il pericolo di una semplice riduzione della posizione assunta da Marx al livello di una presa di coscienza realistica delle condizioni dell’uomo nella storia. E questo, vale a dire una “concezione realistica della storia” e niente altro, fu per B. Croce il marxismo.

Pur facendo riferimento alla forma dialettica e spiegando i rapporti fra oggetto e soggetto come interdipendenti attraverso il cosiddetto “rovesciamento della prassi”, si finisce con l’introdurre tante e ulteriori relazioni e contrapposizioni sempre più complesse fino al risultato di un arretramento dell’elemento oggettivo raggiungendo posizioni non più, e in ultima analisi, deterministiche, ma unicamente dipendenti dall’azione e volontà del soggetto. Sia pure empiricamente, e proprio secondo certe interpretazioni delle Tesi, si ritornerebbe con l’ormai maturo (?) Marx alla priorità del soggetto, l’uomo, che guida lo sviluppo razionale della storia, al posto dell’Idea hegeliana o degli ideali in genere. Materia e spirito sono viste come due astrazioni metafisiche (ma il secondo ritorna in campo attraverso il demiurgico soggetto) e G. Gentile giunse alla conclusione che Marx e Engels non furono materialisti, e se lo furono dimostrarono nella loro “filosofia” non poche incoerenze...

Sempre secondo il Gentile (e a lui direttamente o indirettamente si rifanno molti degli interpreti-critici di Marx) ciò che Marx rimprovererebbe a Feuerbach e ai materialisti è il “concepire il soggetto e l’oggetto della conoscenza in una posizione astratta, e però falsa”. Abbiamo visto che Marx nel muovere questa accusa fa una chiara distinzione fra Gegenständ - l’oggetto reale sensibile - e Objekt - oggetto nel senso statico - . Col primo termine viene intesa e compresa l’oggettivazione umana di cui a lungo il giovane Marx si è occupato nei Manoscritti, oltre cioè ogni limitazione puramente intuitiva. II recupero dell’attività umana sensibile, concepita come attività oggettiva, e che risultava assente nel materialismo di Feuerbach, annulla forse l’esistenza dell’oggettività primaria, l’esistenza degli oggetti (Objekte) sensibili, “realmente distinti dagli oggetti del pensiero”?

Per il Gentile, sì, poiché a suo dire “l’oggetto, la intuizione sensibile, la realtà esterna, non è un dato ma un prodotto”, altrimenti il soggetto umano, il pensiero, entrando in relazione con l’oggetto si limiterebbe a “una pura visione, anzi a un semplice rispecchiamento, rimanendo in uno stato di schietta passività”.

A questo punto riprendono corpo gli antichi dubbi: la realtà dell’oggetto dipende dalla presenza del soggetto, o è vera la realtà oggettiva delle cose indipendentemente dal soggetto-pensiero?

Sostenere che la conoscenza passa attraverso la prassi non significa (se non per i “filosofi della prassi”) liberare il soggetto da ogni vincolo casuale e deterministico, facendo della volontà e della libertà i presupposti soggettivi di ogni oggettività sorgente dalla attività e conoscenza pratica. E il contesto storico-naturale generale (che da ora in poi diventerà per Marx sempre più struttura economica dominante, modo di produzione con tutte le sue oggettività) rimane il fondamento per analizzare e comprendere l’uomo e la sua storia particolare.

Nell’ambito di diverse rimasticature interpretative del marxismo, si originano le varie etichettature applicate ad una presunta filosofia di Marx sui binari teorici di un “umanesimo realistico”, “storicismo integrale”, eccetera. L’aspetto qualificante di queste deformazioni speculative consiste nel collocare la concezione marxista al di là, sì, dell’idealismo, del soggettivismo e del realismo fatalistico (sempre, si intende, a parole) ma contemporaneamente e soprattutto al di là del materialismo, dell’oggettivismo e del più genuino “utopismo rivoluzionario”.

Il bilancio sul quale si soppesa il marxismo, visto come “filosofia” che dovrebbe superare l’idealismo e al tempo stesso il materialismo, finisce sempre col pendere dalla parte dell’idealismo, dando vita a concezioni ibride che, facendo capo ad una pretesa debolezza filosofica di Marx, fanno ricorso al sostegno di più accreditate “dottrine filosofiche” o al coniugamento col neopositivismo, l’esistenzialismo, eccetera.

La relazione dialettica tra prassi e ambiente naturale sottindente il legame esistente tra l’uomo e la natura; una natura che non assiste passiva e inerte all’attività umana, intesa in senso esclusivamente volontaristico. Anche l’interrelazione causa-effetto-causa può essere travisata. Prendiamo ad esempio R. Mondolfo che divide con Labriola e Gramsci il titolo di maggiore e unico interprete ufficiale del marxismo in Italia, e apprendiamo che “l’effetto che si trasforma in causa è sempre l’essenza del processo”. Per effetto si intende la coscienza, in contrapposizione al “materialismo metafisico” di un marxismo, “volgare” - secondo il Mondolfo - il quale vedrebbe invece “la causa sempre nelle condizioni obiettive e l’effetto sempre nelle coscienze”. Dopo di che, l’elemento soggettivo, la coscienza comprendente una prassi volontaristica, si conquista una funzione preminente nel processo storico; i momenti oggettivi, le condizioni materiali, assumono una posizione del tutto secondaria, sovrastrutturale, di fronte a quella coscienza soggettiva, a quella “finalità soggettiva” (Mondolfo) che, riconoscendoli, li supera. E dentro l’affermazione teorica di un’azione umana “insieme condizionata e condizionante” appare il netto rifiuto e l’opposizione di principio al determinismo economico.

Fra l’altro, si sostiene l’indissolubilità di teoria e prassi, e al rapporto dialettico si sostituisce un rapporto meccanicistico, il cui “dinamismo” si risolve nel senso che alla teoria segue la prassi e alla prassi la teoria. Altra filosofica conclusione: la prassi umana è sempre unità di teoria e prassi; basterà allora fare appello al “volontarismo della prassi”, al “vivo e operante atteggiamento delle coscienze e delle volontà” per ottenere il graduale “rovesciamento della prassi” contro le varie illusioni non solo del “rivoluzionarismo” ma anche del “riformismo estremo”. Cosi il Mondolfo e i numerosi e illustri seguaci.

Coscienza e azione: la realizzazione del pensiero

L’antinomia idealistica fra coscienza ed azione (al pari di tutte le altre, fra materia e spirito, natura e storia, eccetera) non si risolve identificando semplicemente sia il soggetto e l’oggetto, la teoria e l’azione, in modo non dialettico o con una dialettica scolastica e puramente formale. Una riprova è data dal fatto che - dagli stessi “critici” - la teoria del riflesso, del realismo gnoseologico di Lenin, viene accusata a sua volta di staticismo, metafisica, dicotomia, kantismo (la cosa in sé), eccetera.

La relazione dialettica che intercorre tra teoria e prassi non esclude le necessarie distinzioni e, in casi particolari, antitesi. Inoltre, il “ritorno” della prassi a modificare l’ambiente che l’ha prodotta si svolge nelle condizioni date dalla sua stessa determinazione. Questa “intuizione” era già presente nel più giovane Marx della Critica:

Non basta che il pensiero spinga verso la realizzazione; la realtà stessa deve spingere verso il pensiero.

Assunto che ci riporta fra l’altro alla questione del condizionamento ultimo, dopo l’economico, cioè quello naturale. II pensiero, scrive Engels, non esaurisce la realtà e neppure si oppone frontalmente ad essa, come “qualche cosa di dato, di contrapposto a priori all’essere, alla natura”. II pensiero stesso, oltretutto, è una funzione della realtà; di quella particolare realtà che è il cervello dell’uomo.

In effetti:

la costruzione di una immagine concettuale esatta del sistema del mondo in cui viviamo resta impossibile per noi come per ogni altra epoca.

Antidühring

E ancora Engels annota:

Già l’esatto rispecchiamento della natura estremamente difficile, prodotto di una larga esperienza... Nelle cose sociali il rispecchiamento ancora più difficile.

Ma questo non significa l’abbandono di una ricerca attraverso un pensiero fondato sulla prassi umana, e di una formulazione delle leggi generali di ogni forma esistente di movimento.

La legge generale del cambiamento di ogni forma di movimento è molto più concreta di ogni singolo ‘concreto’ esempio di essa.

Dialettica della natura

Quest’ultimo condizionamento della natura non può che essere visto e considerato “come un residuo” non ancora superato dell’epoca dualistica da quanti (in questo caso Korsch) assimilano in definitiva il marxismo ad una forma di pragmatismo immanentista assoluto, nel quale l’uomo, il soggetto, e il suo pensiero, la coscienza, vengono sistematicamente anteposti all’oggetto, alla natura. Un accenno in tal senso a Gramsci che risolve la “terribile questione” dell’oggettività del mondo esterno con un relativismo storico che respinge come insensata la preesistenza del mondo di fronte all’uomo e concepisce l’oggettivo in modo universalmente soggettivo: lo “storicismo dell’universale soggettivo” ovvero lo “storicismo assoluto”. L’oggetto in sé è visto anche da Gramsci come una assurdità; l’oggetto, egli sostiene, è sempre “per noi”, ed è tale soltanto in presenza di un soggetto che lo conosce. Abbiamo così e un’altra volta la priorità della conoscenza sull’esistenza.

Quando, dunque, e nello specifico campo del movimento storico-sociale, si rende possibile una “unità della teoria e della prassi”, una loro “totalità organica”? Scrive Lukacs:

[Ciò avviene] quando si dia una situazione storica in cui la conoscenza esatta della società diviene per una classe la condizione immediata della sua autoaffermazione nella lotta; quando, per questa classe, la conoscenza di se stessa significa al contempo la conoscenza esatta dell’intera società; quando conseguentemente per tale conoscenza questa classe e insieme soggetto e oggetto, e la teoria si trova in presa immediata ed adeguata sul processo della rivoluzione sociale.

Questa unità diventa “il presupposto della funzione rivoluzionaria della teoria” quando la teoria si fa - continua Lukacs:

espressione, sul piano del pensiero, del processo rivoluzionario stesso. In essa ogni fase di questo processo si fissa in modo tale da poter essere generalizzata e comunicata, utilizzata e proseguita. Nella misura in cui la teoria non è altro che la fissazione e la coscienza di un passo necessario, essa si trasforma al tempo stesso in premessa necessaria per il passo immediatamente successivo.

“Che cose è il marxismo ortodosso”, 1921

Fin dagli inizi, l’idealismo filosofico del giovanissimo Marx mirava, attraverso il suo sviluppo e la sua trascendenza, ad un riconoscimento e ad una interpretazione adeguata del mondo, e nel momento stesso in cui la filosofia si accostava al “solito terreno della realtà” sarebbe venuto meno ogni suo contenuto speculativo, puramente teorico, e si sarebbe concretizzata la sua trasformazione in prassi mediante la sua abolizione, il suo superamento dialettico. Una teoria-prassi a quel punto in grado di cambiare la realtà dopo averla compresa. Le idee, oltre la fantasia e il sogno, vanno realizzate.

La dimensione storica e dialettica, introdotta in seguito nel materialismo, avrebbe presto cominciato a dare i suoi risultati più importanti e significativi: è infatti proprio il fondamento materialistico che sta alla base dei rapporti - dialetticamente sviluppantisi - tra assoluto e relativo, particolare e universale, eccetera, ciò che rende attuabile la loro verifica pratica. Ed è soltanto abbandonando ogni forma di pensiero spiritualistico e ogni impostazione metastorica che il rapporto soggetto-oggetto, teoria-prassi, perde la possibilità deviante di una interpretazione dualistica e metafisica.

La realtà è per l’uomo - non ci stancheremo mai di ripeterlo - un divenire storico e sociale; essa è tanto più vera quanto più è penetrata e compresa mediante la pratica, la quale si inserisce sempre in una rigorosa dimensione storica, così come lo stesso pensiero non procede né si sviluppa indipendentemente dalla presenza condizionante della natura. Il pensiero non è autonomo dalla realtà e Marx lo riavvicina appunto al centro di questo suo fondamento.

La realizzazione del principio pratico-critico e critico-pratico sostenuto da Marx si colloca nel corso di un lungo processo di sviluppo storico che vede consolidarsi il legame, tanto continuo quanto vicendevole, stabilitosi tra pensiero e prassi. Così la determinazione che sta alla base della vita degli uomini, cioè l’economia, è da considerarsi “in definitiva decisiva” (Engels) e precedente ad ogni presa di coscienza e ad ogni “ritorno” di volontà umana; rimarrebbe pero un dato immobile e paralizzante senza gli indispensabili legami con l’attività degli uomini, con i suoi interventi e le sue influenze.

Scrive O. Damen:

Nulla avviene per automatismo indipendentemente dall’attività umana. Non esiste sviluppo della sovrastruttura (morale, giuridica, filosofica, letteraria, artistica, eccetera) che non riposi sullo sviluppo economico.

Ma tutti (questi sviluppi) reagiscono congiuntamente e separatamente, l’uno sull’altro e sulla base economica.

Engels: Lettera del 1894

Non mancano infatti le estremizzazioni di un determinismo meccanicistico, le quali affidano lo stesso rovesciamento della prassi alla semplice azione della causa materiale, con una schematizzazione geometrica nella quale tutti i movimenti delle “cose” e la loro “fenomenologia” sono dichiarati e considerati come scontati e sicuramente prevedibili.

In questa visione si deforma perciò la funzione rivoluzionaria della prassi, nella sua pur esistente dipendenza dalle condizioni materiali e dall’interesse economico, molla principale delle azioni strettamente “automatiche” degli uomini. Altrettanto avviene per il rapporto, e quindi per l’unità, fra teoria e prassi quando il rovesciamento della seconda diviene prerogativa esclusiva della prima impersonificata dal partito nella veste di nuovo assoluto, unico depositario della volontà e della coscienza e unico soggetto rivoluzionario. Si ritorna cioè ad un capovolgimento della dialettica marxista, dove il rovesciamento della prassi assomiglia più a quella gentiliana “prassi che si rovescia” che non alla “revolutionäre Praxis” di Marx, rimanendo bloccato in un rigido legame di causa ed effetto, escludente ogni reale processo d’azione reciproca.

II formarsi e il modificarsi della coscienza umana, il suo trasformarsi in volontà ed in azione, è il riflesso sul piano della vita sociale e politica di quanto avviene nel sottosuolo dell’economia in un nesso tra fattori determinanti e mondo determinato della sovrastruttura, che a sua volta compie l’azione di ritorno sulla base come elemento indispensabile al compimento di qualsiasi accadimento della storia.

O. Damen

L’agire, l’operare e lo sperimentare degli uomini porta alla costruzione della più complessa struttura economica, produzione e scambio; il pensiero, nelle sue forme ideologiche, rappresenta questa prassi, ne prende coscienza e in particolari momenti può dominare quella che in origine si presenta indipendentemente come una “logica oggettiva del processo economico” (Lenin).

Nella storia l’uomo non è solo forza agente ma anche determinata da condizioni e circostanze. E poiché l’umanità dell’uomo si costruisce nel movimento storico e sociale, il riconoscimento della realtà non trasforma soltanto l’oggetto esaminato ma anche il soggetto che lo esamina.

II soggetto conoscente non è fisso ma si costruisce storicamente, e con il divenire del soggetto anche le strutture concettuali, che non hanno nulla di trascendentale, si trasformano.

La realtà - aveva osservato Marx in una nota marginale dei Manoscritti:

è quindi tanto molteplice quanto sono molteplici le determinazioni e le attività essenziali dell’uomo.

L’autotrasformazione del proletariato da classe in sé a classe per sé non è un fatto soggettivo di semplice formazione di una particolare autocoscienza; è il risultato di atti pratici storici quali l’organizzazione, l’associazione con altri lavoratori che diventano compagni di vita, di sofferenza e di lotta. Questo aspetto oggettivo è importantissimo per la costruzione della coscienza di classe, per il suo rafforzamento pratico, per la sua potenza e concretezza.

Questa pratica sociale non ha in sé niente di astratto, ma si fonda e sviluppa su oggetti reali in un mondo concreto, nel quale dialetticamente si rapportano l’essere e la coscienza, la prassi e la teoria.

Ed è associandosi e organizzandosi politicamente che il proletariato prepara e rende possibili le condizioni per la propria autotrasformazione in soggetto rivoluzionario e per la propria totale autoemancipazione.

Davide Casartelli

(1) Il termine originariamente usato da Marx era in effetti “revolutionare Praxis”. Ritenere comunque ambigua la sostituzione operata da Engels con “umwälzende Praxis” (cioè prassi che rovescia, che sovverte) è evidentemente un altro pretestuoso incastro nella fantasiosa costruzione - a cui molti si sono dedicati - di una “personale interpretazione” del marxismo da parte proprio di Engels. Oltre, s’intende, che dell’innovatore Lenin.

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.