La prima critica di Marx a Hegel e allo stato borghese

La data del manoscritto

Dopo la soppressione, nel marzo 1843, della Rheinische Zeitung (Gazzetta Renana), il venticinquenne Marx - che ne era stato il direttore - si trasferisce in viaggio di nozze a Kreuznach, vicino a Magonza. Vi soggiornerà dal giugno al settembre del 1843 dedicandosi a una “revisione critica” della filosofia hegeliana del diritto. Si trattava del “primo lavoro intrapreso per sciogliere i dubbi che mi assillavano”, come scriverà nella Prefazione a Per la critica della Economia Politica (1859).

Già in una lettera del 5 marzo 1842 Marx informava l’amico Ruge di un proprio articolo con...

una critica (Bekampfung) del diritto naturale hegeliano, per quanto concerne la costituzione interna. Il nocciolo è costituito dalla critica della monarchia costituzionale, in quanto ibrido che si contraddice e si nega da cima a fondo.

Successivamente, il 20 marzo, Marx comunica ancora a Ruge l’impossibilità di inviargli la critica della filosofia del diritto di Hegel per le stesse circostanze che impedivano l’invio di un saggio sull’arte cristiana:

perché il tono della Posaune [cioè lo stile biblico-satirico - ndr] insieme alla fastidiosa costrizione entro il discorso hegeliano, deve ora essere cambiato in una esposizione più libera e quindi più profonda.

E quella critica, precisa ancora Marx:

era stata scritta anch’essa per la Posaune.

In un’ultima lettera del 27 aprile, Marx non parla più di questo ultimo progetto di lavoro e annuncia invece l’inizio della sua collaborazione alla “Gazzetta Renana”. Ai fini di una datazione esatta della Critica, soprattutto per quanto riguarda il suo inizio, è poi rilevante il fatto che le Tesi Provvisorie di Feuerbach, il cui influsso su Marx fu sicuramente determinante nella demistificazione della filosofia hegeliana, furono inviate da Ruge il 23 febbraio del 1843 allo stesso Marx, il quale rispose il 13 marzo comunicando le sue prime impressioni favorevoli. La stesura del testo della Critica a noi pervenutoci, non può che essere stata intrapresa dopo questa data.

Possiamo concordare con quanto scrive in proposito M. Rossi, secondo il quale:

la stessa architettura dell’opera fa pensare molto più a un lavoro di getto che non a uno scritto iniziato, poi sospeso, poi ripreso e così via. Lo stile della Kritik è serrato, conciso, martellante, del tutto diverso da quello della Dissertazione, e degli articoli per la Renana: è lo stile d’un momento eccezionale e d’una esperienza eccezionale, non è cosa che possa durare, accanto a espressioni formalmente e contenutisticamente del tutto diverse, per due anni di seguito. Né c’è da pensare a un inizio poi abbandonato e a una ripresa molto posteriore: il lavoro incomincia, fin dalla sua terza pagina, a fondare gli elementi generali e metodologici della critica contro Hegel, eseguita poi nei particolari in tutto il restante svolgimento. I criteri essenziali, la scoperta fondamentale sono nel secondo paragrafo: chi l’ha scritto ha scritto subito il resto; non ha potuto lasciare dormire quelle pagine iniziali per ricordarsene e riprenderle tranquillamente dopo un anno, come se nulla fosse avvenuto nel frattempo.

M. Rossi, Da Hegel a Marx - Feltrinelli, 1970

Il manoscritto, che è incompiuto, è composto da trentanove fogli numerati, dei quali manca però il primo (quattro pagine) in cui forse Marx aveva iniziato l’esame della sezione sullo Stato, seguendo i quattro paragrafi dal 257 al 260 della Filosofia del Diritto di Hegel.

La Critica della Filosofia hegeliana del Diritto rimase sconosciuta fino al 1927, data di pubblicazione del primo volume delle opere di Marx, grazie alle ricerche di quel Rjazanov, fondatore e direttore dell’Istituto Marx-Engels di Mosca, e al quale si deve anche la prima pubblicazione di parte del III quaderno dei Manoscritti Economico Filosofici, allora (1927) ancora del tutto sconosciuti.

Rjazanov e gli scritti giovanili di Marx

Il grande merito di D. Rjazanov, al quale Lenin fornì molti mezzi, fu appunto quello di riportare alla luce, dagli archivi (Parteiarchiv) della socialdemocrazia tedesca e da biblioteche private e pubbliche dell’Europa e degli Stati Uniti, gran parte dei quaderni inediti di Marx, con un paziente e nel medesimo tempo rapido lavoro di riordino, decifrazione e fotocopiatura. Ciò grazie soprattutto ai buoni rapporti che lo stesso Rjazanov aveva personalmente stabilito con i capi della socialdemocrazia tedesca, e attraverso la mediazione di Luise Kautsky, R. Hilferding e A. Braun. Luise Kautsky, in particolare, era stata affiancata a Engels come fiduciario del partito tedesco, con il preciso scopo di raccogliere alla morte dello stesso sia i manoscritti suoi che quelli di Marx.

Engels, aiutato dalla figlia minore di Marx, Eleanor, aveva già cercato di riordinare la grande quantità di scritti lasciati dall’amico fraterno. Questi scritti rimasti (la Nachlass) furono dapprima affidati ad August Bebel e a Eduard Bernstein, in qualità di rappresentanti del Partito socialdemocratico tedesco. Gli scritti rimasero però custoditi a Londra fino al 1900. Franz Mehring, che morì nel 1918, poté a sua volta curare la pubblicazione di una parte minima dei manoscritti inediti di Marx, specie giovanili, e raccolti in una edizione delle opere di Marx di soli quattro volumi.

Fu proprio fra i numerosi quaderni contenenti estratti di letture e citazioni, che Rjazanov scoprì lo scritto originale della Critica e il manoscritto sul salario del 1847.

L’Istituto di Mosca e la Gesellschaft fur Sozialforschung tedesca fondarono in seguito due case editrici, a Berlino e Francoforte. Mosca divenne il centro editoriale per la pubblicazione, o meglio per un programma di pubblicazione delle opere complete di Marx e di Engels, con l’uscita nel 1927 del primo volume della MEGA (K.Marx-F.Engels: Historisch-kritische Gesamtausgabe. Werke-Schriften-Briefe). Da notare che tutti i testi di Marx erano pubblicati in una traduzione in lingua russa.

L’avvento del nazismo costrinse la socialdemocrazia tedesca a trasportare il Parteiarchiv a Parigi, nel 1933, e poi ad Amsterdam, dove oggi, dopo le vicende del secondo conflitto mondiale, l’Istituto Internazionale di Storia Sociale (IISH) risulta in possesso pressoché di tutta l’opera letteraria di Marx.

Intanto, nel 1931, dopo aver pubblicato solo cinque volumi della MEGA, Rjazanov veniva rimosso dai suoi incarichi da Stalin, espulso dal Pcus e deportato in Siberia dove “scomparve”. Fra le accuse rivoltegli, quella di aver nascosto documenti della socialdemocrazia russa presso l’Istituto Marx-Engels...

Lo stalinista Adoratskij, divenuto direttore dell’Istituto di Filosofia di Mosca, proseguì il lavoro intrapreso da Rjazanov fino al 1935, quando dopo un totale di 12 volumi pubblicati (su 40 previsti) venne improvvisamente sospesa la prima e travagliata edizione “completa” degli scritti di Marx. In seguito, tra il 1957 e il 1968, a cura dell’Istituto di marxismo-leninismo presso il comitato centrale della SED, sono stati pubblicati a Berlino-Est i 41 volumi dei Marx-Engels Werke (MEW), ancora però incompleti e lacunosi. Una seconda Gesamtausgabe, citata come MEGA 2 e prevista in 100 volumi, iniziò le pubblicazioni nel 1975 presso l’Editore Dietz Verlag di Berlino-Ovest. Infine, dopo l’unificazione delle due Germanie, la ripresa dell’edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels sembra assicurata da un accordo sottoscritto tra l’Istituto di Storia Sociale di Amsterdam, le Accademie delle scienze tedesche, la Fondazione Ebert (a cui fa capo il Centro studi su Marx a Treviri) e l’Istituto per la teoria e la storia del socialismo a Mosca.

Prime brecce nell’edificio hegeliano

La mia ricerca - scrive ancora Marx nella citata Prefazione del 1859 - arrivò alla conclusione che tanto i rapporti giuridici quanto le forme dello Stato non possono essere compresi né per se stessi né per la cosiddetta evoluzione generale dello spirito umano, ma hanno le loro radici, piuttosto, nei rapporti materiali dell’esistenza il cui complesso viene abbracciato da Hegel, seguendo l’esempio degli inglesi e dei francesi del secolo XVIII, sotto il termine di società civile; e che l’anatomia della società civile è da cercare nell’economia politica.

Il giovane Marx parte dal presupposto del rovesciamento pratico della filosofia, per poi analizzare criticamente (e relativamente al suo nuovo interesse attorno ai problemi dello Stato e della società) uno tra i più evidenti “accomodamenti” hegeliani, che solo su basi non arbitrarie ma strettamente vincolate ai principi nascosti - come aveva sostenuto nella sue Tesi universitaria - poteva essere chiarito.

L’influenza del nuovo metodo feuerbachiano, il suo “rovesciamento antitetico”, è innegabilmente presente in questo primo impegnativo lavoro di Marx, sia nella critica al lato mistificato della dialettica hegeliana che nel capovolgimento (nella inversione, Umkehrung) fra soggetto e predicato, fra concreto e astratto.

In pochi mesi, la critica dello Stato e del diritto pubblico diventerà per il giovane Marx l’occasione per una ben più ampia e approfondita critica generale a Hegel, e che andrà a colpire il nocciolo interno della sua costruzione filosofica. Il testo hegeliano (Lineamenti di filosofia del Diritto o diritto naturale e scienza dello Stato in compendio) verrà dettagliatamente esaminato da Marx, rilevando ogni minimo contrasto fra principi e sviluppo metodologico del sistema. La sua validità, quale blocco unitario, comincerà ad apparire del tutto compromessa proprio da un “vizio di origine”. E Marx lo dimostrerà - al di là di quegli eventuali errori formali o metodologici che gli epigoni di Hegel imputavano al loro maestro - risalendo al “principio”, al primo presupposto dell’intero sistema: l’idea, il Concetto, che nella sua finità è lo spirito reale per sé infinito.

Nelle pagine della Critica, Marx sviluppa la propria analisi mettendo in luce il fallimento della riconciliazione hegeliana dell’universale (in questo caso lo spirito dello Stato, quindi un falso universale) con il particolare (la famiglia e la società civile), dove “l’idea è ridotta a soggetto” e i soggetti reali, attivi, diventano, nella speculazione, dei “momenti obiettivi dell’Idea, irreali, allegorici”, a essa subordinati e che in essa si dissolvono.

Il giudizio espresso da Marx nei riguardi dell’intero sistema filosofico di Hegel appare severamente negativo, fino a trasformarsi in una opposizione drastica a quei presupposti che sono la fonte di ogni mistificante costruzione ideologica. Il giovane Marx si batte con passione e rigore, con accanimento, contro l’astrazione convenzionale, l’acrisia e il misticismo presenti in Hegel, il quale, come filosofo speculativo del diritto:

non può commisurare l’idea all’esistente, ma deve commisurare l’esistente all’idea.

La critica di Marx arriva fino alla stessa hegeliana interpretazione della dialettica; una dialettica che ha le sue prime proposizioni “nel vero come intero e nell’assoluto come soggetto”, per cui i tre passaggi del suo movimento non hanno altro scopo che il permettere all’Idea assoluta di estraniarsi e infine riconquistarsi. Una dialettica mistificata (la dialettica fondata nel Concetto) e un movimento astratto (la mediazione di finito e infinito).

La determinazione dello Stato politico

Nell’affrontare le particolari questioni del potere esecutivo e legislativo, della burocrazia e delle classi (gli ordini sociali), il giovane Marx insisterà su un fondamentale risultato della sua minuziosa analisi del testo di Hegel: il contenuto dell’idealismo hegeliano, la filosofia della sua politica, non è altro che una accettazione, una giustificazione pensata, formale e illusoria della realtà. L’Idea ha la pretesa di generare la realtà, in quanto Assoluto che si scinde e si contempla per poter essere... Assoluto, nella sua follia mistica.

Marx combatte le mediazioni illusorie dello Stato moderno; egli va ben oltre lo Stato organico costruito da Hegel (o meglio, riprodotto dalla stessa realtà storica), e la sua critica coinvolge e in più punti investe direttamente lo Stato moderno, costituzionale, liberale, repubblicano. Oltre, cioè, le differenti “forme politiche”, dallo Stato prussiano (dove era ancora presente una rappresentanza per ordini) agli Stati Uniti del Nord America, là dove “i cittadini sono tutti eguali davanti alla legge”. Ovvero, un altro principio formale che - scrive il giovane Marx - “nasconde l’addomesticamento e l’accomodamento”.

Il formalismo di Hegel, che resta pur sempre il filosofo dello Stato moderno, si sviluppa nell’illusorio e immaginario equilibrio fra interesse particolare e interesse generale. L’attenzione di Marx si rivolge invece all’importanza determinante che hanno i rapporti di proprietà (la situazione sociale, la condizione civile, “il cui principio è il godimento, la capacità di fruire”, cioè il denaro) nella posizione privata di una persona. È la sfera della società civile che determina quella politica.

Siamo con ciò ormai al centro di una valutazione dei rapporti fra Stato e proprietà privata, là dove Marx afferma che:

il potere dello Stato politico sulla proprietà privata non è che il potere proprio della proprietà privata, la sua essenza fatta esistenza. Allo Stato politico non resta che l’illusione di essere determinante là dove è determinato.

Al problema che gli si pone a questo punto - perché l’interesse generale, in quanto “reale interesse del popolo”, esiste soltanto formalmente, come “menzogna legale”, anche negli Stati moderni - Marx sta cercando quella risposta che ancora qui, nelle pagine della Critica, non sembra andare oltre la questione del suffragio universale. Ma la limitazione di questa partecipazione, e quindi di risultati politici concreti, non è forse anch’essa dovuta a ragioni economiche, anche in quegli Stati dove non esiste più, perché è stata abolita, la divisione “politica” per ordini? E ancora: in quale contesto, economico e sociale, potrebbe realizzarsi una supremazia della classe operaia attraverso il suffragio universale? Evidentemente, per Marx si trattava soltanto di un mezzo per superare la distinzione esistente fra Stato e società civile, e non di una illusione democratico-radicale che rendesse compatibile la sopravvivenza della società borghese accanto allo Stato politico.

Fra pochi anni Marx scriverà nel Manifesto:

Il primo passo sulla strada della rivoluzione operaia consiste nel fatto che il proletariato si eleva a classe dominante, cioè nella conquista della democrazia.

Una democrazia che viene chiaramente definita in questi suoi termini essenziali:

Abbattimento del dominio della borghesia; conquista del potere politico da parte del proletariato; organizzato in classe dominante, il proletariato abolisce con la forza i rapporti di produzione capitalistici.

Marx si sta dunque avvicinando, già fin dal 1843, alla soluzione definitiva di tutta la questione. E ciò è tanto più evidente se teniamo conto delle limitazioni che la Critica al testo hegeliano gli impone. La separazione di Stato e società civile, di pubblico e privato, è ora un fatto acquisito per il giovane Marx.

Quella che, ancora nella Critica, Marx chiama “vera democrazia” è per lui la società in cui si realizzerà il futuro individuo emancipato, “l’essere in comune dell’uomo” o “uomo socializzato” e che ha come presupposto e base della propria realizzazione la abolizione della proprietà privata e il superamento dello Stato. Una democrazia contrapposta sia alla monarchia che alla stessa repubblica, “astratta forma della democrazia”. Una democrazia che Marx ci presenta come:

autodeterminazione del popolo; la vera unità dell’universale e del particolare, dove lo Stato astratto ha cessato di essere il momento dominante, e la società civile è società politica reale.

La conclusione è rivoluzionaria:

I francesi moderni [Marx allude forse a Proudhon, Fourier e Cabet - ndr] hanno inteso questo così: che nella vera democrazia lo Stato politico perisca . Il che è giusto, nel senso che esso, quale Stato politico, quale costituzione, non vale più per il tutto.

Verso l’emancipazione umana

La Critica, in cui si manifesta il momento della rottura ormai definitiva con ogni aspetto metafisico del sistema hegeliano e di ogni altra filosofia speculativa, non costituisce uno studio completo e definitivo sulla Filosofia del Diritto di Hegel. Nella stessa frammentaria forma della stesura del testo a noi pervenuto non mancano i rinvii a ulteriori chiarimenti, rimasti però solo nelle intenzioni, come per quanto riguarda una “critica dell’esposizione hegeliana della società civile”, che doveva essere sviluppata nella apposita sezione.

Il giovane Marx intendeva sicuramente ampliare questo suo primo lavoro in una successiva nuova rielaborazione, e della quale nel gennaio 1844 a Parigi scrisse la Introduzione, pubblicata sull’unico fascicolo dei Annali Franco-tedeschi. Lo stesso per La Questione Ebraica, scritta con ogni probabilità qualche mese prima, nel settembre-ottobre 1843, e in parte ancora a Kreuznach.

Quasi immediatamente successiva alla Critica, La Questione Ebraica consente a Marx la continuazione della propria critica radicale (e solo in parte ancora filosofica) alla società civile moderna. Ne sono investiti tutti i presupposti ed effetti, con particolare riguardo alla ideologia giuridico filosofica del liberalismo borghese, e alla sua rivendicazione teorica di una libertà fondata sui diritti naturali dell’individuo. La questione ebraica diventa quindi in Marx lo spunto per sviluppare un più generale discorso, integrando la tesi fondamentale - e già sostenuta nella Critica - della separazione fra la sfera dello Stato politico e quella della società civile . Nello stesso tempo viene approfondita la concezione della proprietà privata, e ora anche del denaro, come momenti dominanti dell’umana alienazione. Infine, fa la sua comparsa l’elemento nuovo, rispetto alla Critica, dell’emancipazione umana, cioè “la questione generale dell’epoca”.

Una emancipazione che il giovane Marx risolve ancora su di un piano prevalentemente teorico, attraverso un superamento idealizzato (la vita della specie) dell’antagonismo tra la società (vita privata) e lo Stato (vita pubblica). Solo nel secondo articolo - l’Introduzione - l’emancipazione sarà affrontata sul terreno più concreto, sociale ed economico, della sua realizzazione, e con l’indicazione della classe proletaria quale strumento storico, rivoluzionario e risolutivo.

Tutte queste pagine di Marx sono di grande importanza nella definizione di quella teoria dello Stato, la quale - secondo la maggior parte degli interpreti di comodo e degli oppositori del marxismo - non sarebbe stata mai elaborata, o, tuttalpiù, in modo superficiale e con riferimenti limitati alla situazione politica “ottocentesca”.

Analisi dello stato e critica della politica

In realtà, se a Marx è mancato il tempo necessario per la stesura di un “libro” completo anche sullo Stato, non gli sono però mancate - nella sua voluminosa opera critica - le occasioni e gli spunti tanto storici che sociologici per trattare la “questione politica”. E pur se in qualche caso frammentario, le sue riflessioni conservano l’abituale approfondimento e la caratteristica precisione concettuale.

Marx ha sempre avuto presente l’importanza di una critica sistematica (o per lo meno limitata ai “principi” - come scriveva a Lassalle nel marzo 1858) alle istituzioni politico-ideologiche della società moderna nel piano complessivo del suo studio sul “sistema dell’economia borghese”. Questo fin dal primo progetto, legato ai Manoscritti del 1844, di una critica rivolta allo specifico argomento della “scienza del diritto e dello Stato”, e da trattarsi in un saggio indipendente.

Nell’ultima parte del secondo quaderno dei Grundrisse (novembre 1857) Marx ritornerà a schematizzare il piano globale del suo lavoro critico, diviso in sei “sezioni” (o libri) e dove, dopo le prime tre sezioni dedicate ai problemi del capitale (“l’analisi economica propriamente detta e fondamentale”), sarebbe stata “poi” trattata l’analisi dello Stato. Questo l’ordine di esposizione:

Stato e società civile - L’imposta, o l’esistenza delle classi improduttive. - Il debito pubblico. - La popolazione. - Lo Stato verso l’esterno: Colonie. Commercio estero. Corso dei cambi. Denaro come moneta internazionale. - Infine il mercato mondiale. Il predominio della società civile sullo Stato. Le crisi. Dissoluzione del modo di produzione e della forma di società fondata sul valore di scambio. Il lavoro individuale posto realmente come lavoro sociale e viceversa.

Osserva giustamente M. Rubel:

Sintesi della società, istituzione politica per eccellenza, conseguenza fatale della divisione del lavoro, lo Stato, in quanto soggetto d’analisi e di critica, si presenta al suo ricercatore sotto l’aspetto di una diversità di fattori e di istituzioni diverse [...] Un paragone con lo schema, anteriore di più di una decina d’anni, che Marx ha riportato in un quaderno nel momento in cui si preparava a scrivere una Critica della politica e della economia politica, pare suggerire un arricchimento del primitivo piano di ricerca che non usciva sostanzialmente dal quadro politico e giuridico.

M. Rubel: Marx critico del marxismo - Cappelli Editore, 1981

Lo stato, mostruoso aborto della società

E il primo schema di Marx era il seguente:

# Storia della genesi dello Stato moderno o la Rivoluzione francese. Sufficienza dell’essere politico - confusione con lo Stato antico. I rivoluzionari di fronte alla società borghese. Sdoppiamento di tutti gli elementi in esseri borghesi e in esseri politici.
# La proclamazione dei diritti dell’uomo e la costituzione dello Stato. Libertà individuale e potere pubblico. - Libertà, uguaglianza e unità, La sovranità popolare.
# Lo Stato e la società civile.
# Lo Stato rappresentativo e la Carta. - Lo Stato costituzionale rappresentativo, altrimenti detto democratico.
# La separazione dei poteri. Potere legislativo e potere esecutivo.
# Il potere legislativo e i corpi legislativi. Clubs politici.
# Il potere esecutivo. Centralizzazione e gerarchia. Centralizzazione e civiltà politica. Federalismo e industrialismo. L’Amministrazione dello Stato e l’Amministrazione comunale.
# Il potere giudiziario e il diritto.
# La nazione e il popolo.
# I partiti politici.
# Il diritto elettorale, la lotta per l’abolizione dello Stato e della società borghese.

Marx ritornerà più tardi, nel Primo abbozzo sulla Comune (1871), a confermare le sue conclusioni sulla natura storica e sui contenuti dello Stato moderno:

questo incubo soffocante, questa crescita parassitaria al di sopra della società civile, che pretende di essere la sua immagine ideale.

L’apparato centralizzato dello Stato che, con le sue strutture militari, burocratiche, ecclesiastiche e giudiziarie onnipresenti e complicate, rinchiude (avvolge) il corpo vivente della società civile come un boa costrictor, fu forgiato per la prima volta nell’epoca della monarchia assoluta come arma della moderna società borghese in sviluppo nella sua lotta di emancipazione dal feudalesimo. [...] La prima Rivoluzione francese, che aveva il compito di stabilire l’unità nazionale (di creare una nazione) [...] fu quindi costretta a sviluppare ciò che la monarchia assoluta aveva cominciato, la centralizzazione e l’organizzazione del potere statale, e ad estenderne il ruolo e gli attributi, il numero dei suoi strumenti, la sua indipendenza e il suo dominio sovrannaturale sulla società reale [...] Ogni minore interesse particolare, prodotto dal rapporto fra gruppi sociali, è stato separato dalla società stessa, fissato, reso indipendente da essa e ad essa contrapposto, in nome dell’interesse dello Stato, amministrato dai sacerdoti dello Stato con funzioni gerarchiche precisamente determinate.

E concludeva:

La Comune non fu una rivoluzione contro questa o quella forma - legittima, costituzionale, repubblicana o imperiale - di potere statale. Fu una rivoluzione contro lo Stato stesso, contro questo aborto innaturale della società; fu la riappropriazione popolare della vera vita sociale del popolo.

150 anni fa, dunque, il giovane Marx cominciava a scoprire la soluzione del problema sociale, dal liberalismo al radicalismo, verso il comunismo come realizzazione pratica dell’umanesimo.

Nella sua Critica alla concezione hegeliana, che riducendo il diritto alla logica formale faceva dello Stato il risultato della moralità oggettiva, Marx capovolgeva il rapporto fra Stato e società. Non è lo Stato a determinare l’organizzazione sociale, ma è invece l’organizzazione sociale che determina lo Stato. La società, espressione e prodotto della concreta attività umana, è il soggetto; lo Stato politico è l’attributo.

E poiché la proprietà privata costituisce la base e la sostanza della società borghese, lo Stato moderno è costretto a difenderne gli interessi e i diritti. In teoria rappresenta l’interesse generale, in realtà tutela gli interessi privati. Da ciò la opposizione tra la società e lo Stato, tra l’interesse particolare e quello generale, tra la vita individuale e la vita collettiva.

L’attuale organizzazione sociale, e la sua espressione politica, lo Stato, devono essere aboliti.

Davide Casartelli

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.