L'utopia possibile degli "antagonisti": le cooperative di inizio 1800

Coerentemente con quella visione immaginaria della realtà, si può quindi dire che il capitalismo non si regge più sull’estorsione di plusvalore ossia sullo sfruttamento della classe operaia, ma sullo “sfruttamento dei soggetti sociali”. Chi siano, questi soggetti sociali, non è dato saperlo.

D’altra parte, la confusione regna sovrana nella mente degli “antagonisti” quando si chiede l’abbattimento del sistema del lavoro salariato e contemporaneamente un reddito garantito: mentre il primo presuppone la fine del capitalismo, col secondo si rimane ancora integralmente dentro una società capitalistico-mercantile con tutte le sue categorie economiche quali il denaro, la merce, il salario e, appunto, il reddito.

Ugualmente, mentre si dice di essere per una “utopia possibile” (intendendo, forse, quello che senza vergogna e senza autocompiacimenti intellettualoidi noi chiamiamo comunismo) di tipo radicale, contemporaneamente si agisce per la costruzione di “rapporti di cooperazione sociale capaci di creare lavori socialmente utili partendo dai bisogni e dalle necessità delle persone”, il che significa la messa in cantiere, se mai ne fossero capaci, di cooperative di produzione e di consumo, ridicole caricature delle cooperative dei primi del secolo le quali, pur essendo riformiste, erano una cosa seria, se non altro perché riunivano veri proletari e non piccola borghesia più o meno studentesca.

Pensare di potersi creare delle nicchie extracapitalistiche dentro il capitale è un’utopia... impossibile.

Ma la regressione del pensiero “antagonista” è tale che finisce per riproporre ciò che il socialismo utopistico - inteso in senso storico - proponeva oltre un secolo e mezzo fa: altro che post-fordismo. Sembra di essere tornati ai tempi in cui Marx ed Engels erano ancora degli studentelli e la macchina a vapore lottava col telaio a mano.

Nell’epoca della globalizzazione dell’economia e dello strapotere del capitale finanziario, cioè del capitalismo imperialista, gli “antagonisti” non trovano ridicolo parlare di “autoproduzioni alimentari (la pasta fatta in casa, scorciatoia per il comunismo?) artigianali e culturali, di “banche” di mutuo soccorso... commercio equo e solidale” (intervento del Coordinamento pugliese alla quarta convenzione nazionale delle forze antagoniste, Roma 25/26 giugno 1994, in Tamtam, n° zero, luglio 1994, pag. 4).

Era, questa, l’utopia di tanti piccoli artigiani sulla via della proletarizzazione nella prima metà del secolo scorso: una società di piccoli produttori, di piccolo commercio, di poco denaro, come se il capitalismo non fosse nato proprio da lì. Questo sogno, fuori dalla storia sempre, ma “comprensibile” per quei tempi, è definitivamente sepolto e non bastano certo due chitarre e un violino di un’autoproduzione musicale per renderlo realizzabile.

Chi vuole trastullarsi con simili scemenze lo faccia pure, ma la smetta almeno di considerarsi anticapitalista e marxista, sarebbe meglio per tutti, soprattutto per chi marxista, e quindi anticapitalista, lo è davvero.