Quel pasticciaccio… del Comitato d’Intesa

In risposta ad un opuscolo sentenzioso

Recentemente, i compagni torinesi dei “Quaderni internazionalisti” - una delle tante schegge del bordighismo - hanno pubblicato un libro di oltre quattrocento pagine sulla vicenda del Comitato d’Intesa. Lì per lì la cosa ci ha un po’ stupito, perché nella carta d’identità di quella corrente ogni riferimento all’episodio è completamente assente: vuoi vedere - ci siamo detti - che tra gli “invarianti” c’è qualcuno che comincia a variare? Il dubbio tormentoso, però, nasce e finisce alla copertina, perché già dalle primissime pagine si capisce che l’intero opuscolone non è, in definitiva, sul ma contro il Cd’I e contro il “preteso marxismo-leninismo” di noialtri, “confusi continuatori” della Sinistra.

Per andare con ordine, ricordiamo che il Cd’I sorse nel 1925 ad opera di un gruppo di compagni del PCd’I, per cercare di coordinare le forze di sinistra del partito (la stragrande maggioranza) in vista del congresso di Lione; Bordiga, però, vi entrò solo in un secondo momento e anche se scrisse la maggior parte dei documenti più importanti, subì l’iniziativa controvoglia, per paura di una probabile espulsione dal partito con l’accusa di frazionismo, spingendo, anzi, perché si sciogliesse al più presto, disciplinandosi così ai diktat di un’Internazionale Comunista ormai in fase di progressiva degenerazione. Questo atteggiamento rinunciatario, che per noi è la prima manifestazione di quel determinismo meccanicista a-marxista che farà da base alla passività politica di Bordiga per circa vent’anni, è invece totalmente rivendicato dai bordighisti. Per questo, i compagni torinesi cominciano con l’affermare che il Comitato fu un fatto del tutto secondario (alla faccia delle quattrocento pagine, però) nella storia della Sinistra, molto meno importante, secondo loro, della “rottura del ‘51-’52 con i residui del vecchio centralismo democratico e soprattutto con l’anacronistica concezione del partito derivante dalla prassi della Seconda e Terza internazionale”. Ebbene, cari compagni, avete come al solito “pisciato fuori”: la nostra teoria del partito, cioè partito di quadri e non di massa, è lontana le mille miglia da quelle concezioni, così com’è lontana, è vero, da ogni idea di centralismo cosiddetto organico, se con quest’ultimo termine si intende, di fatto, che l’elaborazione teorica, la strategia e la tattica sono frutto di un’unica mente, “anonima” ma superiore, che incarnerebbe lo spirito santo del marxismo. Posto che abbiamo sempre considerato Bordiga un grande rivoluzionario (lo dobbiamo ripetere tutte le volte?), ci dà però - anzi, proprio per questo - molto fastidio il culto settario di cui è fatto oggetto. Tale culto è talmente ridicolo che a volte, scorrendo le pagine del libro in questione, ci vengono in mente i mistici deliranti religiosi piuttosto che dei rivoluzionari materialisti. Siamo esagerati? Basta scorrere il libro per rendersene conto, a meno di non essere malati terminali di “bordighite”. Infatti, per i “Quaderni internazionalisti” il Comitato d’Intesa fu la manifestazione di un “atteggiamento in fondo infantile”, “un pasticcio”, “un episodio anomalo rispetto alla coerenza teorica della Sinistra [...] inutile e addirittura dannoso - provocato - da una successione di avvenimenti la cui valutazione era troppo ardua per molti militanti”. Poveretti, Damen, Repossi, Fortichiari e tutti gli altri compagni/e: pensavano di essere militanti rivoluzionari che avevano qualcosa da dire e da fare per contrastare il rullo compressore dello stalinismo e invece non erano nient’altro che bassa e ottusa manovalanza, elementi periferici - i peli, le unghie - di un “corpo mistico” che portava solo e unicamente il nome di Bordiga. Via, compagni, un po’ di senso dell’umorismo (e Bordiga, pare, ne aveva tanto) non guasterebbe anche in chi si pretende rivoluzionario comunista. Se è vero, infatti, che dalla metà degli anni venti la prospettiva della rivoluzione si allontanava sempre di più e che, di conseguenza, per le opposizioni marxiste le pur scarse possibilità di incidere sulle cose si assottigliavano velocemente, è anche vero che se si combattesse solo con la certezza della vittoria non ci sarebbe mai stata storia del movimento operaio. E poi, non è forse vero che spesso le sconfitte sono più preziose di certe momentanee vittorie? Forse che la Comune aveva qualche possibilità di rovesciare il corso degli eventi? Oggettivamente no, eppure i proletari parigini non hanno tirato i remi in barca per preservarsi fisicamente in vista di tempi più maturi, ma hanno combattuto ugualmente e Marx ed Engels li hanno sostenuti con passione pur sapendoli votati alla sconfitta, senza quell’aria di presuntuosa sufficienza non rara in casa bordighista.

Sorvoliamo dunque sulle numerose espressioni “in lode” della supposta infallibilità bordighiana e “in merda” a noi, per fare le ultime considerazioni, visto che pur rivendicando il Comitato d’Intesa, abbiamo meno spazio per parlarne.

Insomma, per i “Quaderni internazionalisti” il Cd’I fu una piccola grande sciocchezza, perché - bordighianamente, appunto - fornì un ulteriore pretesto alla Centrale del PCd’I per schiacciare la Sinistra con il rischio molto concreto di una sua espulsione immediata. Dunque, bene fece Bordiga - dicono - a sciogliere il Comitato, in quanto in tal modo rimaneva aperta la possibilità di lavorare nell’Internazionale - nonostante i rospacci da inghiottire - con la speranza che “una ripresa della rivoluzione europea potesse produrre nell’IC un effetto tale da portarla nuovamente su posizioni marxisticamente ortodosse...” Ma anche i marxisti, Bordiga compreso, possono compiere degli errori - qualunque cosa ne pensino i compagni torinesi: la rivoluzione, purtroppo, non venne e qualche anno dopo i compagni della sinistra furono buttati fuori dal partito come stracci, senza poter reagire, senza poter coinvolgere il corpo sano del partito in una battaglia politica che, seppur destinata alla sconfitta, forse avrebbe avuto qualche possibilità in più di porsi come punto di riferimento internazionale autenticamente marxista delle confuse minoranze dissidenti, dentro e fuori l’Internazionale stalinizzata. Stiamo facendo la storia con i “se”? Può essere. Quel che è certo è che l’accettazione della disciplina formale imposta da Gramsci-Togliatti non impedì la catastrofe del PCd’I e di tutto il movimento comunista; né il successivo ventennale silenzio di Bordiga aiutò i pochi compagni che dentro le patrie galere o nella Frazione all’estero si preoccupavano non solo di restaurare ma anche e soprattutto di far vivere il marxismo nel corso drammatico della controrivoluzione trionfante.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.