Salario minimo: uno specchietto per le allodole per liquidare la spesa pubblica

Dalle politiche dei sacrifici negli anni ottanta alle politiche della miseria dispiegata degli anni novanta. Questo è il percorso del capitalismo nella sua folle corsa disumana verso lo schianto finale. I suoi ideologi non hanno più ricette e promesse da fare per attenuare il cupo futuro, e nemmeno la forza di fantasia che spesso viene in soccorso per occultare i tragici dati della realtà.

Volando molto più in basso le ideologie borghesi in materia economica puntano alla spartizione della povertà tra i lavoratori e i disoccupati, trasfigurandola con frasi altisonanti come “ridurre le disuguaglianze” o “poderosa manovra di redistribuzione dei redditi”. Quando i borghesi parlano di giustizia non intendono l’oppressione del capitale sul lavoro o la distanza che separa i ricchi dai poveri, ma invece: “Via la cassa integrazione, l’indennità di disoccupazione, le pensioni di invalidità, di guerra, i prepensionamenti... Nello stesso tempo l’attuale sistema fiscale fondato su sette scaglioni e aliquote variabili tra il 10 e il 51% dovrebbe lasciare il posto a una sola aliquota Irpef del 35%, al massimo a due”.

Così ci racconta uno zelante pennivendolo del Corriere della Sera in un recente articolo, commentando e approvando le proposte della Commissione per la riforma dello Stato sociale da poco istituita. In cambio dell’azzeramento del welfare state si avanza l’ipotesi di un salario minimo o “minimo vitale” per i disoccupati, di 500 mila lire al mese o giù di lì. Questo progetto demolitorio e truffaldino non a caso viene avanzato da questo governo su suggerimento di Nicola Rossi, l’economista più vicino a D’Alema. Chi se non un’esecutivo cosiddetto progressista può ingannare e fare ingoiare al proletariato un tale sfacelo contrabbandandolo come un’atto di giustizia?

Due considerazioni spiccano e devono essere denunciate ai proletari per inchiodare i riformisti.

  1. Tali proposte sono l’ammissione esplicita dell’incapacità del capitalismo di creare occupazione e di dare una qualsiasi prospettiva, la disoccupazione è un dato strutturale e non potrà che aumentare. I sacrifici imposti ai lavoratori in passato con le ristrutturazioni e il contenimento del costo del lavoro a difesa dell’economia nazionale, attraverso l’ attiva collaborazione dei sindacati e dalla sinistra borghese, hanno avuto l’esclusivo effetto di riempire le tasche dei padroni con il recupero della redditività delle imprese e dei profitti, spianando allo stesso tempo la strada alle quotidiane sconfitte di oggi.
  2. A pagare un’eventuale salario minimo ai disoccupati saranno ancora una volta i lavoratori dipendenti che già hanno visto pesantemente decurtato il loro salario in questi ultimi anni. Infatti un’aliquota Irpef unica al 35% significherebbe sottrarre reddito a salari e stipendi medio bassi e favorire i grandi patrimoni, senza contare che i ricchi già utilizzano la scappatoia dell’evasione fiscale e l’esportazione di capitale nei paradisi fiscali all’estero.

Per vendere questa brodaglia il governo e la sua squallidissima Commissione rincarano la dose: il posto fisso e a tempo pieno è ormai un fatto obsoleto, gli ammortizzatori sociali un privilegio per gli occupati che non raggiungono giovani, donne e disoccupati. Dunque, dicono i riformisti, abbasso il vecchio stato assistenziale fonte di disuguaglianza e di povertà!

Sempre secondo le loro previsioni la liquidazione del welfare nazionale farebbe risparmiare 60 mila miliardi che sommati alle maggiori entrate libererebbero risorse per oltre 90 mila miliardi l’anno, quindi un salario minimo per i più bisognosi farebbe calare “l’intensità della povertà”.

Che smantellando totalmente il sistema di protezione sociale si possa anche dare qualche briciola ai nuclei familiari che non hanno nessuna entrata o un reddito assolutamente insufficiente, sottoforma di un salario minimo, non modifica la sostanza delle cose, almeno che ci dimostrino come si possa sopravvivere con 500 mila lire al mese. Inoltre la maggior parte di quei 90 mila miliardi andrà altrove. Il fumo delle chiacchiere non può nascondere la vera portata della manovra che, in linea con le necessità del capitale in crisi, consiste nel trasferire ingenti quote di capitale finanziario dalla spesa pubblica in direzione della grande borghesia per favorire i prossimi processi di ristrutturazione.

Ciò dovrebbe aprire gli occhi ai proletari, e ormai sarebbe ora, sul fatto che non c’è soluzione di continuità nel perverso meccanismo di crisi-ristrutturazione-licenziamenti. La crescente povertà non può essere arginata da nessun governo di destra o di sinistra, perché la vera causa è nel capitalismo, di cui i politicanti di regime ne sono i fedeli servi.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.