Scandalo in Somalia?

Gli scandali sono armi di guerra intestina alla borghesia e sono fatti della normalità capitalista

Non è più possibile, se mai lo è stato, pensare che gli scandali scoppino solo perché le anime belle del giornalismo (o della magistratura) scoprono fatti scandalosi e li denunciano. Di eventi e situazioni scandalose è fatta la società borghese, la sua esistenza quotidiana, senza che vengano neppur presi in considerazione come tali.

Chi si indigna, fra le suddette anime belle, del fatto che per arricchire a dismisura alcuni, molti altri lavorino per otto ore al giorno per pagarsi solo l’affitto, i pasti e (se gli va bene) il mezzo con cui andare a lavorare? Chi si indigna del fatto che il sindaco di Milano abbia accusato di privilegi le educatrici d’asilo negando loro l’incentivo finora percepito per lavorare a luglio e risparmiare così qualche centinaio di milioni, mentre ha deciso di regalare 360 milioni all’anno a tre suoi tirapiedi per fargli da “portavoce”? (10 milioni al mese a ciascuno).

No, quando gli scandali scoppiano c’è qualche “potente” che li fa scoppiare a fini suoi, talvolta ovvi, talvolta meno.

È ovvio, per esempio, il motore di tangentopoli e Mani Pulite: bisognava far fuori un regime consolidatosi (un po’ troppo) nel periodo della guerra fredda - utile e necessario ad essa - una volta che il nemico è venuto meno. Forti della necessità di fronteggiare il pericolo russo, la DC prima, la DC più il PSI poi avevano irrigidito attorno a sé la vita politica e il giro delle tangenti che in ogni stato borghese che si rispetti (che non rispetta il Giappone?) essa comporta. L’unico strumento che la borghesia che conta aveva per letteralmente far fuori un regime politico, senza mettere in forse le istituzioni, era lanciare la istituzione magistratura contro la istituzione del sistema partitico di governo con la favola della moralizzazione. Il sistema dei vecchi partiti è saltato, la corruzione è rimasta ed è cresciuta a dismisura (lo confessano gli stessi giornali borghesi e gli stessi magistrati). La Prima Repubblica era fatta di ladri in guanti gialli? La seconda è fatta di ladri senza guanti. E ora che ha esaurito il suo compito vero, Mani Pulite deve finire.

Lo scandalo del comportamento dei soldati professionali italiani in Somalia, letteralmente deflagrato su pagine berlusconiane si è presto ridimensionato nella sua portata di atrocità e truculenza ed è tuttora oggetto di polemiche, ma qualche effetto lo ha già dato: qualche elemento delle alte sfere militari è saltato. Non siamo in grado di individuare esattamente i fini della manovra, ma possiamo avanzare l’ipotesi che sia in preparazione (se non già in atto) la profonda ristrutturazione dell’esercito che, necessitata dalle moderne regole tattiche della guerra, viene da più parti reclamata a gran voce.

Tale è il disarmo del proletariato che la borghesia, nel suo corpo di classe, nelle sue istituzioni politiche e amministrative, nei suoi organi di repressione e sicurezza si permette di tutto, anche di presentare come fatto scandaloso (ovvero eccezionale) - e dunque come arma per le lotte intestine - quello che costituisce invece la normalità della sua esistenza.

Prescindendo dalle più raccapriccianti azioni inizialmente “contestate” (e ora - sembra - smentite) non dubitiamo che i comportamenti dei parà fossero violenti e arroganti quanto possono essere quelli delle soldataglie mercenarie che occupano un paese per conto della loro borghesia. Nelle truppe volontarie, fatte da chi sceglie il mestiere della guerra e dunque l’esercizio della violenza come professione, si raccolgono gli individui adeguati alla bisogna e non sono certo i più gentili della multiforme umanità.

E cosa ci stavano a fare i parà italiani in Somalia? Svolgevano grosso modo lo stesso ruolo dei tremila bersaglieri di Cavour sul Mar di Marmara nel 1848: affermare la presenza dell’Italia al tavolo delle spartizioni fra briganti imperialisti. Allora si trattava di guadagnarsi, agli occhi delle altre potenze europee, il riconoscimento del “diritto” piemontese a unificar l’Italia. Oggi, in Somalia, si trattava di rivendicare vecchi ruoli protezionistici sul paese, ma soprattutto partecipare alla spartizione di quel che allora sembrava il gran bottino: il presunto enorme giacimento petrolifero nel tratto di Oceano fra Somalia e Yemen. Appoggiare l’uno o l’altro dei signori della guerra somali - far da registi e supporti agli attori primi della scena bellica, di fame e disperazione delle masse contadine, semiproletarie e proletarie di Somalia - era cruciale per assicurarsi concessioni di sfruttamento dei previsti pozzi a mare in casi di vittoria della banda alleata. E la possibilità di aumentare le scarsissime dotazioni di petrolio di una macchina economica divoratrice di questa materia prima, è obiettivo troppo importante del capitale italiano e della sua borghesia perché essa potesse preoccuparsi dei famosi “diritti dell’uomo”, dei principi di umanità e quant’altro.

Sarà un caso che lo scandalo è scoppiato proprio a proposito di una operazione militare rivelatasi alla fine inutile o comunque poco produttiva? Il mega-giacimento o non c’è o è ancora troppo difficile da sfruttare; così tutti se ne sono venuti via. La fame e le atrocità fra bande ancora continuano, ma stranamente è venuta meno quella spinta “umanitaria” che si diceva fosse a base dell’intervento degli italiani e degli altri.

E sull’onda dello scandalo, che rientri o meno, come la schiuma del mare, sono venute a galla ben visibili le fesserie di sempre.

È una fesserie chiedere lo scioglimento delle formazioni militari professionali macchiatesi delle atrocità raccontate. Chi si vuol, convincere, l’apparato statale? Quello vuole solo rafforzarne presenza e ruolo nelle forze armate del paese. I cittadini? Quelli si dividono, finché reggono questi precari equilibri di classe, lungo le linee di definizione delle correnti ideologiche e politiche della borghesia e si lasciano imbonire dai loro ideologi (conta poco poi che gli ideologi siano un Norberto Bobbio o un Indro Montanelli).

E tutti gli ideologi borghesi arrestano ogni e qualunque loro indignazione, se mai ne hanno una, di fronte al “bene supremo della patria”.

Ed è una fesseria predicare il pacifismo: dalla sopravvivenza del capitale (dell’ordine economico esistente) consegue la conflittualità fra i centri capitalisti, la regola della sopraffazione e gli strumenti per realizzarla. Né la guerra né gli eserciti, più o meno professionali, spariranno fino a che sopravvive il modo di produzione del capitale.

Guerre, violenze degli eserciti fra loro e contro le popolazioni civili, hanno segnato la storia di classe della società umana (quella che noi chiamiamo la preistoria dell’uomo) attraversando tutte le sue fasi, dal modo di produzione schiavista a quello tributario feudale a quello capitalistico borghese; come dal modo di produzione tributario-asiatico al moderno capitalismo. Ed è di pochi minuti fa - alla scala della storia umana - il sistematico genocidio dei bombardamenti “tattici” fino a radere al suolo intere città.

Chi pensa che, vigendo questo stesso regime capitalistico borghese, nel mondo sia possibile abolire gli eserciti e aprire all’uomo un futuro di pace e fratellanza, o è ingenuo fino all’idiozia o è in viscida malafede.

Per parte nostra, siamo sempre per la ripresa dell’iniziativa proletaria nella lotta di classe (oggi tutta in mano alla borghesia) e l’organizzazione internazionale del proletariato contro il capitale: l’unità di lotta e di prospettiva del proletariato dei paesi metropolitani e dei paesi periferici del capitale è lo strumento di cui ha bisogno l’umanità per iniziare a liberarsi degli orrori che la sopravvivenza del capitale le impone.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.