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Checché ne pensino gli entusiasti seguaci dell'esercito zapatista (siano essi i radical-chic, i più ruspanti autonomi o i delicati "cattolici di sinistra") la storia dei movimenti politici messicani indica chiaramente nell'EZLN l'organizzazione armata di una organizzazione politica clandestina di dirette ascendenze maoiste.
Come osservano gli autori di Au-delà des passe-montagnes du Sud-Est mexicain,
Oggi non è facile stabilire un legame chiaro e lineare fra il periodo di insediamento di questa organizzazione (Politica Popular) e la nascita dell'EZLN. Ciò che è sicuro è l'esistenza di questo legame.
Lo stesso sub-comandante Marcos avrebbe fatto parte di una delle ultime brigate maoiste, rifugiatesi nel Chiapas, fra la fine degli anni 1970 e i primi 1980. (17)
La miserevole fine dell'Urss e la ancor più miserevole fine della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria cinese, hanno certamente pesato nel riassetto ideologico politico di quella e di altre organizzazioni maoiste. Proseguiva intanto selvaggia la repressione di esercito e truppe mercenarie al servizio dei grandi proprietari terrieri, sotto i colpi della quale sono spariti molti militanti. I sopravvissuti si sono evidentemente riorganizzati rivedendo alcune concezioni politiche e tattiche alla luce delle condizioni locali.
Prima l'integrazione nelle comunità indigene, utilizzando a tale scopo anche i loro legami con la "chiesa indigena"; poi la creazione di organizzazioni sindacali contadine. La trasformazione nel 1991 della Alleanza indipendente contadina "Emiliano Zapata" in organizzazione nazionale, segna il relativo successo di quella tattica.
È evidente che una organizzazione esiste ancora nelle articolate forme fra le quali si trova l'EZLN.
Al di là della retorica poetica del leader mascherato sulla democrazia - organica, verrebbe da dire - delle assemblee comunitarie del Chiapas, è evidente nella struttura e intestazione dei diversi comunicati e documenti l'esistenza di un Comité Clandestino Revolucionario Indígena, al cui interno c'è la Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberación Nacional, vale a dire Marcos, con Tacho e compagni. Cosa è rimasto del vecchio maoismo? A giudicare dai documenti noti, solo un sentimentale riferimento all'accerchiamento della città dalla campagna, che qui prende la forma di pressione dalla comunità indigene come principale motore della riforma dello stato messicano.
Se in un primo tempo i vertici zapatisti hanno pensato alla scalata del potere nazionale a partire dal solido insediamento nel Chiapas, hanno presto e rapidamente cambiato idea: troppo distanti e isolati dal centro per puntare da lì a una sua conquista. Meglio accumulare le forze a scala nazionale e far cadere il potere sotto la spinta congiunta di tutte le comunità indie nelle diverse regioni del Messico.
Ma se il vecchio maoismo poteva prospettare il socialismo, ovvero il capitalismo di stato sotto la amministrazione di un "potente Partito comunista" nel quale sarebbero confluite le masse contadine e proletarie, oggi quella prospettiva non è più praticabile: ne riderebbero gli stessi ex-maoisti.
Cosa prospettare allora? Pace, libertà, dignità, giustizia e democrazia.
Valori sani, eterni (vale a dire anche un po' vecchiotti) che possono piacere a tutti: anime belle del cattolicesimo e frementi signore radical-chic, soggettività antagoniste e terzomondisti.
E su chi puntare? Le comunità indigene come base operativa e piazzeforti logistiche, la società civile come leva del cambiamento.
Davvero le affinità originali con i fratelli peruviani di Sendero Luminoso si sono perse.
La piattaforma politica dell'EZLN
Chi volesse cercare un qualunque documento che seppur vagamente somiglia a una piattaforma programmatica dell'ELZN o dei suoi mentori clandestini impiegherebbe tempo ed energie invano: un simile documento semplicemente non esiste.
Le posizioni e le prospettive strategiche degli zapatisti devono essere dedotte dai comunicati, proclami e lettere varie di Marcos e dei suoi attendenti.
Iniziamo con l'ultimo contributo diretto di Marcos - pubblicato sulla catena Internazionale di Le Monde Diplomatique e in Italia da Il Manifesto in opuscolo a sé - titolato: "La quarta guerra mondiale è già cominciata". Prescindiamo ovviamente, dalle ovvie sciocchezze neo-riformistiche dei presentatori (Gianfranco Bettin e Marco Revelli) sulle quali avremo modo di tornare, per seguire l'"autonomo" pensiero dello stesso subcomandante Marcos.
Le ultime uscite del Subcomandante
La prima tesi, che si traduce subito anche in chiave di interpretazione del testo e delle posizioni politiche, è la seguente. La Terza Guerra Mondiale si sarebbe combattuta fra i due campi, capitalista e socialista, con la vittoria del primo.
La originale tesi stalinista secondo cui l'URSS e la Cina erano paesi - quantunque ultimamente legati da fraterna inimicizia - in cui si era realizzato il socialismo, torna ovviamente in Marcos e nell'EZLN, come nei loro sostenitori in giro per il mondo.
È la forma e la sostanza dell'ideologia borghese applicata alla storia recente ed è ciò che sostengono tutti: dalla estrema destra alla estrema sinistra borghesi. Per tutti è punto di partenza di elaborazioni diverse quanto sono diversi i cosiddetti orientamenti politici ovvero gli specifici interessi di frazioni di classe borghese ai quali tali orientamenti obbediscono. Abbiamo così, a destra, la conclusione che il socialismo è, nella migliore delle ipotesi una utopia, e che il capitalismo è quanto di meglio la società abbia potuto partorire in tutta la sua storia (ancor meglio se è capitalismo "liberista"); a sinistra, invece, si conclude che la via seguita in passato per migliorare la società (quella della lotta di classe, dello scontro vinto il quale si apre la strada ad un nuovo modo di produrre e a una nuova formazione sociale, il comunismo) è sbagliata - visto che ha fallito - e che bisogna allora cercare nuove strade, nuovi soggetti e nuovi obiettivi, per fermare la marcia alla barbarie che, si riconosce, il capitalismo ha accelerato.
Abbiamo sempre definito lo stalinismo e la sua ideologia ala di estrema sinistra dello schieramento e dell'ideologia borghese, attestata sulla difesa del modello di capitalismo di stato rappresentato dalla Unione Sovietica e dalla Cina ed esportato nei paesi satelliti.
Al fallimento di quel modello, i suoi difensori, anche i più ostinati, si sono divisi: da una parte i pervicaci nostalgici, che ancora vedono in quello il modello da perseguire, dall'altra i più "raffinati" transfughi. A loro volta questi si presentano in modo affatto disomogeneo e sparso: c'è chi, presa la rincorsa è finito in braccio alla destra borghese (quella del "ciò che esiste ora è bello e meritevole di difesa") e sono i lacchè Deaglio, Rinaldi, o Liguori di tutto il mondo; e quelli che per rimanere a sinistra si inventano strade e obiettivi che, detti nuovi, sono riedizione di vecchie idiozie già demolite più di un secolo fa dal movimento marxista. Fra questi si collocano tanto gli ex-maoisti alla Marcos, quanto i vecchi "nuovi sinistri" alla Rossanda e alla Revelli. Va da sé che dichiarare finita la lotta di classe significa oggettivamente dichiarare eterno il capitale, nonostante soggettivamente qualcuno creda di no perché rivaluta idee e percorsi già dimostratisi fallimentari.
C'è una intima coerenza nel percorso dell'ex-maoista Marcos, e dei suoi simili: questo mondo così com'è non ci piace, fa schifo, e lo dobbiamo cambiare; si tratta di trovare i soggetti sociali capaci del cambiamento e gli obiettivi da perseguire.
La ricerca non è facile, evidentemente, se la seconda domanda non ha ancora trovato risposta presso Marcos, né presso i cosiddetti marxisti autonomi che lo sostengono.
Il citato volumetto di Marcos risponde alla prima domanda (quali i soggetti del cambiamento?) alla fine; alla fine di un percorso "analitico" che è condivisibile, quantomeno nella denuncia dei guasti del moderno capitalismo. Ma prima di inoltrarci è bene fare il punto su questa questione della Terza e Quarta guerra mondiale.
Guerra mondiale?
Qui Marcos gioca un po' con le parole e, come sempre succede in questi casi, confonde un poco le acque.
La globalizzazione moderna, il neoliberismo come sistema mondiale, deve essere intesa come una nuova guerra di conquista di territori La fine della III Guerra Mondiale o "Guerra Fredda", non significa che il mondo abbia superato il bipolarismo... (18)
Scambiare, anche se letterariamente, una fase della dinamica capitalista con la manifestazione massima del suo collasso che è appunto la guerra è operazione forse funzionale all'inquadramento, sempre sul terreno letterario, dei guasti che quella fase del capitale comporta, ma completamente errata sul terreno analitico poiché equivale a dire che il capitalismo è sempre guerra. E anche questo è "letterariamente" vero, ma non serve per nulla a criticare la dinamica capitalista in funzione di un suo superamento. Di più si rischia di cadere in gravissimi errori che andranno a confondere definitivamente le idee. E nel rischio Marcos incorre poche righe più in là quando scrive:
Nel mondo del Dopoguerra Freddo vasti territori, ricchezze e, soprattutto forza lavoro qualificata, aspettavano un nuovo padrone...
Ma uno solo è il posto di padrone del mondo, e diversi sono gli aspiranti a diventarlo. E per ottenerlo si dispiega altra guerra, che questa volta oppone coloro che si erano autonominati "impero del bene". (19)
Qui, è implicito il concetto che appunto la Guerra e cominciata e si concluderà con la conquista da parte di qualcuno del posto di padrone del mondo. Questo qualcuno, si legge subito dopo, sarà uno dei centri finanziari tra i quali si combatte la quarta guerra mondiale, "con scenari totali e con una intensità acuta e costante".
Torna qui di soppiatto la vecchia tesi, battuta da Lenin, del super-imperialismo e, peggio, si ipotizza che ci si arrivi senza lo scontro militare diretto fra le metropoli.
Le 149 guerre locali combattute in tutto il mondo dalla fine della II Guerra mondiale, i morti per fame che quotidianamente la dinamica capitalista lascia sul terreno, gli scombussolamenti degli assetti politico-statuali di intere nazioni e gli altri orrori che si presentano sul pianeta fanno identificare dal Subcomandante lo scenario presente con quello della guerra. E la guerra reale, che nelle guerre commerciali e finanziarie si prepara, sfuma.
Ma ciò che emerge nel quadro tracciato da Marcos (o meglio nelle tessere che l'autore descrive e che dovrebbero comporre il quadro) è l'assenza di ogni e qualunque riferimento di classe, evidentemente ritenuto decaduto e reso obsoleto dalla "fine del socialismo". Non sono più le classi i soggetti della storia ed il soggetto... sfuma.
Nella sesta "tessera", definita "La megapolitica e i nani", si tratta appunto della politica mondiale "che sa di poter esercitare meglio il suo potere e creare le condizioni migliori per la sua propria riproduzione, sulle rovine degli stati nazionali". (20)
Ma il soggetto della megapolitica evapora. L'insieme di interessi e di uomini che persegue le condannate politiche neoliberiste non è identificato e così la megapolitica appare una entità metafisica con tanto di proprio punto di vista.
Dal punto di vista della megapolitica le politiche nazionali sono cose per nani che devono piegarsi ai diktat del gigante finanziario. E così sarà fin che i nani non si ribelleranno. (21)
Nazionalismo
Obietterà il lettore che qui il soggetto è identificato nel gigante finanziario. Ma, insistiamo, chi rappresenta il gigante finanziario? visto che perché una politica si esprima occorre che qualche insieme di uomini con precisi interessi la esprima.
La domanda non è oziosa come qualche sciocco maligno potrebbe pensare. Una seria analisi del gigante finanziario e quindi anche degli uomini e interessi che lo conformano, porterebbe a scoprire che questi si trovano anche fra i presunti nani, quei nani che dovrebbero ribellarsi e riaffermare le politiche nazionali (e qui siamo al cuore del vero Marcos-pensiero, il nazionalismo).
Citando da Le Monde Diplomatique, che non fa mistero delle sue simpatie zapatiste,
... les capitaux d'origine mexicaine déposés aux Etats-Unis atteignaient, à la fin de 1995, 24,6 milliards de dollars, soit exactement deux fois plus qu'à la fin de 1994.
... i capitali d'origine messicana depositati negli stati uniti raggiungono alla fine del 1995 24,6 miliardi di dollari, vale a dire esattamente il doppio rispetto a fine 1994. (22)
Questi capitali d'origine messicana sono posseduti, gestiti e debitamente distribuiti sui mercati finanziari internazionali da quei signori messicani che confrormano la borghesia messicana, sorella di classe della borghesia internazionale e nemica acerrima del proletariato messicano come del proletariato internazionale. Ma tutto questo nei discorsi di Marcos e dei suoi seguaci. Sfuma, scompare, viene rifiutato. La ragione è sempre quella: nella lotta fra capitalismo e socialismo (quello russo o cinese) il capitalismo ha vinto, e dunque il modello della lotta di classe non vale più.
Si rientra dunque, di soppiatto o al suon di tamburi e trombe - non conta, nell'ideologia (in senso proprio, dunque borghese). E sul terreno dell'ideologia, la conclusione del "ragionamento" puo' benissimo essere quella del nazionalismo.
Stabilito che le attuali dinamiche economiche politiche cozzano con la sopravvivenza delle forme statual-nazionali delle fasi precedenti del capitale, o si punta al superamento di quelle stesse dinamiche, con i soggetti e gli obiettivi adeguati (proletariato internazionale, rivoluzione internazionale e comunismo) e si va avanti, oppure si è costretti a scegliere fra le due opzioni: parteggiare per la globalizzazione o difendere l'autonomia delle suddette forme statual-nazionali, e si va col capitale o addirittura all'indietro.
Marcos e l'Ezln finiscono con l'attestarsi proprio con il nazionalismo.
... gli zapatisti pensano che, in Messico - attenzione in Messico - (lo sottolinea lui, ndr) il recupero e la difesa della sovranità nazionale sia parte di una rivoluzione antineoliberista. Paradossalmente, l'Ezln viene accusato di volere la frammentazione della nazionale messicana. La realtà è che i soli che hanno parlato di separatismo sono gli imprenditori dello stato di Tabasco ricco di petrolio e i deputati federali chiapanechi che appartengono al PRI (...). Gli zapatisti pensano che sia necessaria la difesa dello Stato nazionale di fronte alla globalizzazione... (23)
Più chiaro di così...
Abbiamo dunque un gruppo guerrigliero nazionalista che si batte contro le dinamiche attuali del capitalismo difendendo... quel che c'era prima, o si pensa ci fosse prima. È certo che se c'è qualcosa di rivoluzionato è il concetto stesso di rivoluzione.
I soggetti
Alla conclusione del documento Marcos ci dice quali sono i soggetti del cambiamento, o quantomeno i soggetti sui quali si fondano le speranze di sopravvivenza dell'umanità:
Se l'umanità ha ancora speranza di sopravvivere, di diventare migliore, queste speranze sono nelle sacche formate dagli esclusi, da quelli in sovrannumero, da quelli che si possono gettare via.
Il resto è poesia. Non dice Marcos, in questo testo, come faranno gli esclusi a rendere migliore il mondo. Né emerge con chiarezza dagli altri documenti.
Quel che si può arguire (oltre che dai fatti della politica) è negli altri documenti più propriamente politici dell'Ezln.
Ci sono anche storie dello zapatismo, che raccontano delle tre fasi attraversate dal movimento e dalla politica dell'Ezln. (24)
In tutti i documenti ciò che emerge con prepotenza è il riferimento alla... società civile.
La società civile
Ora la storiella che la società civile possa rappresentare come tale il motore dei mutamenti negli assetti economico-sociali del mondo è vecchia quanto è vecchia la ideologa borghese, che dai suoi esordi ha mascherato dietro questa finzione (o concetto giustappunto ideologico) la realtà della divisione in classi della società e della sua propria dominazione sulla società medesima.
Che cosa è la società civile? È la cittadinanza indistinta, fatta di operai, impiegati e bottegai, liberi professionisti, artigiani e pony express, studenti, insegnanti e piccoli imprenditori. È l'insieme cioè dei cittadini che una volta ogni tanto (od ogni poco) sono chiamati a eleggere i loro rappresentanti politici (nelle mtropoli ridotti anch'essi a contar poco più che nulla) e quotidianamente vivono (nella rispettiva posizione) la realtà dei rapporti di produzione e dell'assetto sociale dati. Nella vita quotidiana dei cittadini, le urgenze e i problemi della normalità, della sopravvivenza, dell'adattamento seguono dinamiche diverse, quanto sono diversi i "vissuti" e i "sentire" dei cittadini stessi. Spesso i modi d'essere e i sentimenti dei cittadini si scontrano con le norme (sia legislative che etiche) che la formazione sociale stessa sta in quel momento seguendo, o con i comportamenti degli "organi superiori" (governo, chiesa, organi vari dello stato). È così che nascono - quando comuni modi d'essere e di sentire i problemi della quotidianità e del quotidiano rapporto col Potere, si riconoscono e si uniscono, i grandi movimenti civili che hanno caratterizzato molti periodi delle formazioni sociali borghesi metropolitane, che tuttora si verificano e continueranno a verificarsi.
I movimenti per il divorzio, l'aborto, la pace, sono gli esempi più significativi, fra i molti possibili.
Talvolta, o addirittura spesso, i movimenti civili risultano alla fine vincenti sui loro obiettivi specifici. Quando si tratta di aggiornare il senso comune e, prima ancora, le norme giuridiche e i comportamenti repressivi dello Stato, alle nuove reali dinamiche. civili appunto determinatesi nella formazione sociale, la probabilità di vittoria del movimento civile che va in quel senso è direttamenmte proporzionale alla portata del movimento stesso. Ma quando il movimento civile punta come tale a obiettivi che in qualche modo interferiscono con le dinamiche più intime e determinate del capitalismo, ovvero quando cozzano con le fondamenta stesse della formazione sociale borghese, non possono che fallire: in genere estinguendosi nel momento stesso in cui emerge l'inconciliabilità fra la il capitale e l'ggetto del movimento, Le vicende del movimento pacifista, che ha furoreggiato per anni anche in Italia, con centinaia di migliaia di cittadini in piazza, si è letteralmente squagliato di fronte alla Guerra del Golfo e alla imprese imperialistiche della mini-potenza italiana in giro per il "suo mondo": Somalia, Libano, Albania. Chi ancora piange la dipartita del movimento insiste nell'errore di credere che una qualche funzione tale movimento la potesse avere.
Ma quale è l'ipotesi sulla quale gli zapatisti e i loro seguaci fondano il loro riferimento alla società civile?
Ebbene, letti tutti i documenti possibili, la conclusione è sempre una e ben sintetizzata ed esemplificata da quanto segue:
Il governo messicano, le forze politiche, e anche la società civile, hanno l'opportunità di fare del Chiapas un laboratorio per la transizione pacifica verso una democrazia plurale e rispettosa della realtà multietnica del paese (sottolineatura nostra, ndr), o di permettere che si converta nello scenario in cui si compirà un genocidio contro la sua popolazione indigena. (25)
E più recentemente:
Seguiremos luchando junto a todos por que todos los Méxicos de México tengan: Democracia! Libertad! Justicia!
Continueremo a lottare perché tutti i Messico del Messico ottengano: Democrazia, Libertà, Giustizia. (26)
In sostanza, un programma di riforma dello stato messicano, sul terreno di un più spinto nazionalismo svincolato dai tentacoli strangolanti (per proletari e contadini, non certo per la borghesia messicana) del NAFTA e nel senso di una sua democratizzazione, identificabile con la fine del monopolio del potere da parte del PRI.
E allora, in questo senso, il "soggetto" è adeguato: la società civile, se adeguatamente mobilitata, e anche le organizzazioni sociali e politiche, possono rendersi capaci di tanto cambiamento.
Los maestros de esta lección de historia son los trabajadores del campo y de la ciudad, los indígenas, las organizaciones sociales y políticas, los niños, las mujeres, los jóvenes, los ancianos, los homosexuales y lesbianas, todos los mexicanos y mexicanas. (27)
Qualche conclusione
- L'Ezln chiapaneco è di fatto, e al di là dunque delle dichiarazioni retoriche in contrario, una forza politica che - indipendentemente dall'essere interessata a una futura gestione del potere - mira a riformare gli assetti e gli equilibri del potere borghese in Messico e che a questo obiettivo deve necessariamente piegare le tattiche contingenti. Le tre "virate" sinora verificatesi e da altri raccontate (28) ne stanno già preparando una quarta, con lo stabilimento di relazioni più strette col potere centrale per isolare e combattere gli estremismi (per esempio dell'ERP) e soprattutto i rischi di una virata classista del movimento proletario in Chiapas e in tutto il Messico. Il Comitato clandestino rivoluzionario, di cui apparentemente l'Ezln è uno strumento, tornerà alla luce o preferirà rimaner nell'ambra a celare i suoi connotati di vecchie scarpe maoiste?
- È dunque prevedibile un progressivo "imborghesimento" degli zapatisti che, se lascerà di nuovo orfani i perenni cercatori di miti da rincorrere (prima erano i sandinisti nicaraguagni, ma prima ancora... i Vietcong), tenderà a rinnovare e rendere più dinamico il quadro politico messicano.
- Si stringeranno i rapporti con la parte "militante" della chiesa cattolica (significativi in questo senso i messaggi di solidarietà nei confronti del personale vescovile di di San Cristóbal de Las Casas, Samuel Ruiz García e di Don Raúl Vera López, che il 4 novembre hanno subito un attentato). Nulla di strano: come abbiamo visto sopra è tradizionale di quella parte dell'ex movimento maoista il praticare la chiesa e i preti.
- Il proletariato messicano resta ancora senza un referente politico sufficientemente radicato, sebbene stia già subendo un processo di ricomposizione sul basso, con la fine tendenziale delle vecchie stratificazioni e graduazioni di "privilegi" e la generalizzazione dello stato di "maquiladores". E quel che è più grave è che alcuni pretesi rivoluzionari là presenti manco si accorgono di quel che sta succedendo.
(17) Per una storia dettagliata di Accion Popular e del suo percorso ideologico politico, v. Ross, John, Rebellion from the roots: Indian uprising in Chiapas Common Courage Press, c1995.
Si leggerà qui dell'uscita del movimento maoista Politica Popular dal grande movimento studentesco del 1968 culminato in Messico con la strage di 300 studenti nella Piazza delle Tre Culture; della sua politica tesa alla costituzione di "basi rosse" impiantate nei quartieri popolari e nei ghetti urbani, delle sue intese "tattiche" con i preti progressisti che lavoravano sullo stesso terreno, talmente caratteristiche da originare un termine - torreonismo - dalla nome della città, Torreon, dove un simile lavoro di massa ebbe strepitosi successi; della successiva repressione feroce da parte dello stato cui segue la conversione di linea verso l'insediamento fra i contadini poveri; della contestuale crisi interna con tanto di scissioni, di rinunce e di regolamenti di conti, e di intrallazzi con settori del PRI (due alti dirigenti di PP di allora sono oggi quadri di rango del PRI, nell'organizzazione contadina). Si leggerà infine della ritirata strategica nel Chiapas, alla fine degli anni 1970 con l'arrivo lì delle prime brigate. E John Ross è simpatizzante dell'EZLN, sebbene lo abbia recentemente criticato per il suo eccessivo "pacifismo", dopo la firma degli accordi di San Andres de los Pobres del 15 febbraio '96.
(18) Subcomandante Marcos - La quarta guerra mondiale è cominciata, Il Manifesto 1997, pag.11.
(19) Ibidem.
(20) Ibidem, pag. 38.
(21) Ibidem pag. 40.
(22) "Comment le barons du pouvoir s'enrichissent en pillant le pays" Le Monde Diplomatique Agosto 1996, pag. 4 e 5.
(23) La quarta guerra mondiale è cominciata, cit. pag. 43.
(24) Citiamo fra le altre, À la conquête de la société mexicaine - Le grand virage des zapatistes - Le Monde Diplomatique, Janvier 1997, Pagg. 11, 12 e 13.
(25) Pronunciamiento sobre la coyuntura de la zona norte de Chiapas - San Cristóbal de las Casas, 29 maggio 1997.
(26) Dal Comunicato dell'Ezln del 17/9/97 a seguito della Marcia su Città del Messico.
(27) Ezln - Secondo comunicato del 17/9/97 sulla marcia.
(28) Vedi nota 24.
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