I riformatori dell'Europa sociale

Socialdemocrazia di lotta al lavoro

Circola un documento firmato da alcuni sindacalisti di Francia, Belgio, Germania, Spagna e Italia (con segretari nazionali del Sin Cobas: Greco, Malinconico, Pasi, Sabatini, Malabarba), il quale viene presentato come una piattaforma comune di misure urgenti per lo sviluppo dell’Europa, capitalista e borghese - sì - ma sociale. (vedi Liberazione, 19 luglio)

Se non fosse per la drammaticità della questione trattata, i contenuti della “riflessione” sarebbero addirittura esilaranti per la loro stupidità politica. Si parte dalla constatazione del degrado della situazione sociale “in quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea”. Non vengono indicati i fortunati esclusi dalla crisi, né le condizioni dei proletari degli altri continenti. Limitiamoci dunque ai 50 milioni di poveri e ai 20 milioni di disoccupati ufficiali che si aggirano per l’Unione Europea, dove i nostri sindacalisti danno per scontata la “politica economica e monetaria” scelta - si fa per dire - dal capitale, e si guardano bene dal metterla in discussione. Cosa fatta capo ha; quindi tutti si adeguano alle dominanti leggi dell’economia capitalista e alle sue implacabili logiche, continuando ad agitare, sottovoce, il fantasma delle “indispensabili riforme strutturali”. Un fantasma ereditato dalla intellighenzia stalinista e al quale, rattoppato qua e là, i neo-antagonisti si aggrappano per affrontare i temi di una “politica realmente sociale”. In pieno e totale regime borghese.

Il primo obbiettivo è “semplice e chiaro: un nuovo (?) pieno impiego e mezzi per vivere dignitosamente”, da bravi e liberi cittadini europei. Quindi si indicano le “direttive quadro europee” consistenti nella riduzione dell’orario settimanale a 35 ore entro il 2.002. Con la lotta dei lavoratori contro i capitalisti? Nossignori: con “interpellanze ai governi nazionali dei ripsettivi Stati membri” e con l’augurio che non si verifichi una riduzione dei salari (ma neppure un aumento!) o “un deterioramento delle condizioni di vita e di lavoro”.

Affinché il “riorientamento sociale” dell’UE sia permanente (qualcuno avrà forse pensato a una possibile presa in giro...), i nostri “caldeggiano delle riforme istituzionali; dibattiti e prese di decisione democratiche; maggioranze qualificate (?); una Banca europea sottomessa a un controllo democratico; adozione di una carta costituente approvata dai popoli”. Mancherebbe solo la benedizione papale, ma con l’Anno Santo alle porte tutto può accadere.

I firmatari del documento, fulgido esempio del più devastante opportunismo ideologico e politico che da oltre 70 anni imperversa nel movimento operaio, si “rifiutano di pensare che mantenere o peggiorare l’attuale stato di disoccupazione e un arretramento della democrazia sia il prezzo da pagare per l’Euro”. A nessuno di costoro viene il benché minimo dubbio che proprio il modo di produzione capitalistico - e non le errate invenzioni economico-politiche delle borghesie europee (e internazionali, vuoi di destra o di ...sinistra) - sia il reale e concreto responsabile della crisi devastante e dei conseguenti attacchi del capitale al proletariato mondiale. Imperturbabili, e sempre a proposito di direttive quadro, i riformatori si trastullano invece col sogno dei vari governi borghesi impegnati nella concessione di un provvidenziale reddito sociale minimo, tale da “assicurare ad ogni persona i mezzi per partecipare alla vita sociale e culturale” del bel mondo capitalistico.

E dopo il salario minimo europeo ecco un ultimo sforzo del pensiero riformatore per aspirare al blocco delle privatizzazioni e dello smantellamento dei servizi sociali: la contesa, al solito, è fra la gestione statale e quella privata del capitale e dello sfruttamento della forza lavoro. La ciliegina finale arriva con la mitica riforma fiscale che dovrebbe liberare le risorse per un riequilibrio sociale e una onesta divisione dei redditi fra borghesi e proletari, e quindi per l’immancabile “sviluppo duraturo” della fetente economia capitalistica.

Non c’è altro. Ma bisogna riconoscere che orientare la politica economica del capitale è veramente una fatica.

dc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.