Dal problema teorico a quello politico

Scrivevamo nel 1987 su Battaglia Comunista...

Il problema teorico generale (natura e funzione del sindacato), una volta correttamente esaminato e dopo averne “elaborato i dati”, si risolve nelle semplici proposizioni:

  • il sindacato non è e non è mai stato organo della lotta rivoluzionaria di emancipazione del proletariato;
  • in quanto organo della contrattazione economica è portato, specie nelle circostanze rivoluzionarie e insurrezionali, a salvaguardare la sua natura “contrattualistica” contro, quindi, la spinta rivoluzionaria che sovverte il terreno stesso della contrattazione;
  • gli organi di massa della rivoluzione proletaria non sono mai stati nè saranno i sindacati;
  • la rivoluzione passerà sui cadaveri dei sindacati.

Altro è il problema politico, che così possiamo riesporre:

  • data quella funzione e natura dei sindacati, come si può realizzare il loro “superamento” rivoluzionario, ovvero, la classe operaia come giungerà all’atto insurrezionale necessariamente fuori e contro il sindacato, per avviare il totale rivoluzionamento della società, ecc.?

Fissiamo subito che l’atto insurrezionale deve essere vittorioso e generalmente orientato alla rivolta sociale, perché questa possa avere qualche speranza di successo (insurrezioni sconfitte la nostra classe ne ha già fatte abbastanza, perché almeno si cerchi di... evitarle).

Lo scontro materiale fra le classi non è una scelta dei rivoluzionari né tanto meno il prodotto delle loro volontà. Dunque a esso si arriva in un crescendo di lotte reali che gli operai sono portati a scatenare sotto la pressione del capitale e della sua crisi.

Al momento dello scontro, dunque, devono essere già presenti nella classe le condizioni soggettive adeguate perché essa si orienti verso l’attacco rivoluzionario con sufficiente determinazione e secondo linee tattiche adeguate.

In cosa consistono, concretamente, queste “condizioni soggettive”? Nella presenza all’interno della classe di una avanguardia debitamente organizzata e capace di costituire il riferimento politico e più precisamente la direzione politica del movimento proletario. Occorre allora che tale “avanguardia organizzata” (che altro non è che il partito con i suoi organismi operativi) abbia già condotto all’interno della classe quel lavoro politico di agitazione, propaganda, organizzazione, che la mettono in grado di battere realmente le influenze borghesi e conservatrici, subite dalla classe stessa.

In caso contrario, quando cioè lo scontro si realizza in assenza o con la insufficienza della “avanguardia organizzata”, e dunque in assenza di una direzione politica rivoluzionaria lungo la quale si possa orientare il movimento proletario, la classe è votata alla sconfitta.

Chi non capisce questa verità, si pone con ciò stesso ai margini della vita politica della e nella classe e al di fuori del marxismo in generale, essendo il marxismo oltre che un metodo di indagine critica della realtà sociale, anche e soprattutto lo strumento di lotta della classe operaia.

Per dimostrare di aver capito questa verità non basta fare propensione di fede sulla necessità in astratto della “organizzazione rivoluzionaria”. Bisogna anche saper argomentare le linee di crescita della organizzazione rivoluzionaria e delle sue possibilità di “presa” sulla classe. A scanso di polemiche già ricorse e per lo meno inutili, precisiamo subito che “presa sulla classe” significa capacità di rappresentare per la classe un punto di riferimento serio e credibile per far circolare il programma e le indicazioni rivoluzionarie al fine che esse vengano assunte dal corpo della classe, organizzato nei suoi organi di massa.

Stiamo procedendo sul terreno di analisi politica di un problema politico, che a questo punto trova questa formulazione: come far “crescere” l’organizzazione rivoluzionaria prima dello scontro generale di classe?

Un’organizzazione politica di classe si rafforza e cresce solo nella battaglia politica permanente contro le forze avversarie di classe.

È una ingenuità intellettuale porsi il problema di cosa dire e come dirlo “quando gli operai sono in lotta”. I rivoluzionari devono porsi quei problemi prima che la lotta operaia più o meno di massa sia avviata. I rivoluzionari non fanno il loro intervento solo quando si trovano sbattuta sotto il naso la realtà dello scontro. Altrimenti sarebbero rivoluzionari della chiacchiera e del bel gesto, che mettono in pace la loro coscienza dicendo “saggiamente” la loro, privi di ogni possibilità di farsi intendere e, ancor più, di veder tradotte le loro “indicazioni” in prassi organizzativa e di lotta della classe.

I compiti dei comunisti in fabbrica e nelle lotte operaie

Il modo corretto per i rivoluzionari di porsi di fronte al problema sindacale è quello di legare le analisi della natura e ruolo del sindacato alla definizione della tattica da seguire.

Punto di partenza e di arrivo di ogni elaborazione politica di classe è per i rivoluzionari una decisa e realistica presa di posizione sia contro ogni forma di immobilismo che di immediatismo avventurista. Se riconosciamo come dato storico obiettivo l’impossibilità per il proletariato di conquistare e piegare ai propri fini il sindacato o di costruirne uno nuovo, il problema è per i comunisti quello di dar vita a organismi di lotta che operino sul piano della agitazione e della difesa di classe.

Fra le tante difficoltà, vi è innanzitutto quella di mantenere il carattere di permanenza a organismi operanti sui vari luoghi di lavoro; organismi nei quali è inoltre impossibile imporre regole di disciplina come quelle in vigore nel partito. Tuttavia, se si intende operare in modo serio e concreto e non occasionale, occorre una organizzazione in grado di assicurare per l’appunto una continuità di presenza, di posizioni e di azione.

I gruppi omogenei di Partito, direttamente operanti in fabbrica e sul territorio, sono in tal senso gli unici validi a giocare un ruolo di iniziativa e di guida nelle lotte; altro discorso è però l’allargamento delle zone di influenza e la polarizzazione delle masse operaie sugli obiettivi di classe. E poiché il sindacato rimane sempre più inserito negli ingranaggi del potere statale borghese e degli interessi capitalistici, molto realisticamente il compito della avanguardia politica comunista è quello:

  1. intensificare quanto più possibile i contatti e il lavoro di formazione dei gruppi operanti nella fabbrica - innanzitutto - e nei comitati e organismi di base;
  2. partire dai problemi di sempre della condizione operaia per costantemente portare la denuncia, il richiamo agli interessi della classe, la loro difesa attraverso la contrapposizione classe contro classe. Si arriva quindi a mostrare la soluzione comunista della crisi che imperversa nella società capitalista, ponendo cioè e in definitiva il problema del socialismo come sola alternativa storicamente all’ordine del giorno.

Esperienze dirette e spontaneismo

Non c’è una “coscienza in vitro” da esibire davanti ai lavoratori; occorre invece abituarli a trarre dalle loro esperienze dirette la consapevolezza della propria condizione e del proprio essere classe antagonista. Ma il programma del comunismo, la teoria marxista, nella sua sostanza concreta, scientifica, non sorge spontaneamente dall’esperienza di fabbrica o dalle forme dell’auto-organizzazione sindacale. Deve essere portato dall’esterno della pura e semplice lotta economica e dei rapporti di produzione capitalistici. Lo può fare - questo è il punto nodale - unicamente il partito di classe, il quale deve vincere all’interno del proletariato su tutte le espressioni politiche di sinistra della ideologia borghese. E questo avviene attraverso la critica, la chiarificazione e le indicazioni politiche inserite nel vivo della attività e delle lotte della classe. Cosa ben diversa dall’accompagnare e dall’assecondare, ovunque e sempre, il movimento spontaneo e gli indirizzi che in esso si manifestano o prevalgono perché più “in linea” con le dominanti “idee” borghesi e piccolo-borghesi.

Una precisazione riguardante l’ultragenerico termine “coscienza”. Esso andrebbe usato il meno possibile per evitare ulteriori confusioni nelle menti troppo influenzate dall’idealismo, e che non sappiano cogliere la differenza sostanziale fra coscienza di classe (consapevolezza di essere classe antagonista) e “coscienza storica e scientifica del comunismo”. Quest’ultima è meglio chiamarla con il suo nome vero, espressione della concreta forma che assume: programma del comunismo. È questo che non nasce spontaneo dall’esperienza di fabbrica, di sfruttamento e di lotta sindacale della classe, ma va portato dall’esterno, dal partito. E il partito deve concretamente vincere, all’interno della classe, sulle espressioni politiche di sinistra della ideologia borghese.

Per una scuola di guerra di classe

Il marxismo non attribuisce alla spontaneità alcuna capacità di aggregare le masse attorno al progetto comunista, magari sorgente dallo stesso movimento di base, e con i rivoluzionari a fungere da semplici acceleratori della spontaneità.

Il movimento in sé non è assolutamente in grado di porsi come punto di riferimento generale, sia perché non può raggiungere gli obiettivi di lotta di tutto il proletariato e sia perché manca di una carica politica rivoluzionaria. Inevitabilmente, senza un orientamento strategico e tattico qualificato ed espresso da una solida avanguardia, il movimento si disperde senza alcun risultato, lasciandosi riassorbire dalle forze dell’opportunismo socialdemocratico.

Il movimento di lotta diventa una “scuola di guerra di classe” quando la presenza di una rete operaia organizzata politicamente riesce a fare da vera cinghia di trasmissione tra Partito e classe, specie di fronte al succedersi e all’ampliarsi delle lotte, ma anche delle parziali e per noi inevitabili sconfitte iniziali.

Il movimento economico di per sé non sviluppa alcuna forza... immanente al suo essere. È soltanto la base delle possibilità di una crescita cosciente di classe; non è e non può essere la condizione sufficiente al suo sviluppo.

Condizioni materiali e volontà rivoluzionaria

Da Battaglia comunista, n. 3 - 1971

Noi sappiamo quanto sia difficile realizzare un’adesione non contingente ma più profonda e duratura, nell’ambito della fabbrica proprio perché essa non è quel luogo ideale di epica tensione rivoluzionaria che spesso si dipinge l’intellettuale, bensì un luogo di smarrimento, di paura anche. Se è vero che è nell’ambito stesso del processo produttivo che si realizza l’antagonismo tra il proletariato e il capitale sul piano della struttura, delle cose, è vero anche che proprio nella fabbrica, in cui proletariato e capitalismo divengono oggettivamente nemici, si riflettono tutte quelle istanze, dal corporativisno all’abbrutimento fisico e intellettuale della fatica, che perpetuano la schiavitù salariata e rallentano la maturazione del proletariato su un piano di classe.

Questo non è un dato universale, una gabbia cui non sfugge nessuno; è invece una realtà oggettiva che non consente oggi, a nessuno e a nessun gruppo perché le condizioni materiali del capitalismo non lo consentono, di spostare sul piano della volontà rivoluzionaria quantità ingenti di operai.

Deve essere ben chiaro che in una situazione come quella attuale si deve e si può lavorare da rivoluzionari, e si può con la continuità e la costanza realizzare anche sul piano dell’accrescimento del Partito e della sua influenza; ma ci sono limiti che sono precisi perché sono quelli tracciati da una fase che è ancora dominata dalle forze dell’imperialismo, dalle idee, dalla psicologia sociale del capitalismo, e non da quelle della rivoluzione.

Ciò non vuol dire nemmeno che in determinate circostanze noi non possiamo realizzare su un piano anche quantitativo, per esempio in uno sciopero, in una particolare rivendicazione; ma sarà sempre, e l’esperienza lo dimostra, un’adesione episodica. Alla fine rimarranno i pochi, i più aderenti a una impostazione dei problemi visti non alla luce di una contingenza, ma in prospettiva. E chi oggi solleva molta polvere, fa e disfa con tutti e in ogni situazione, purtroppo con conseguenze estremamente negative proprio per gli operai, non fa che inseguire le situazioni assumendo la “guida” per la soluzione di problemi, certamente i più sentiti come il posto di lavoro e l’aumento salariale, che non sono però mai inquadrati nella loro vera realtà. Esaurita la mobilitazione non rimane alle spalle alcuna continuità, il che è poi la conseguenza di fare di tutto una questione di tattica senza rendersi conto di scivolare così sul piano dell’interesse proprio di chi si vuole combattere.

Spontaneismo, chiarezza politica e coscienza di classe

Sin tanto che non si enucleerà una rete operaia coscientemente attestata su posizioni rivoluzionarie e attrezzata a condurre le proprie battaglie contro la socialdemocrazia e per il radicamento del programma rivoluzionario nella classe, ogni spinta che la oggettività della crisi capitalista eserciterà sugli operai a muoversi e a lottare, ogni spontaneo tentativo di difesa dalla cappa sindacale, saranno destinati a fallire.

Da Battaglia comunista, n. 13 - 1979

Dalla travagliata e complessivamente negativa esperienza dei coordinamenti operai e dei tanti organismi “spontanei” - ieri - e delle autorganizzazioni - oggi - emerge l’esigenza di non demandare in alcun caso alla spontaneità della lotta operaia sia l’elevazione della coscienza di classe e sia la sua generalizzazione alla classe intera, fino alla fase rivoluzionaria.

Così nel 1977 analizzavamo su Battaglia comunista la questione dei coordinamenti operai:

La situazione di crisi economica e di sfacelo politico genera continuamente queste esperienze che altro non sono che il travaglio della base operaia (nelle sue frange di punta) alla ricerca di una alternativa di lotta sul piano concreto (quando non sono filiazione diretta dei gruppi gauchistes). Ma la stessa situazione generale e la condizione di subalternità della classe impediscono che questo travaglio superi i limiti del rivendicazionismo e della rabbia immediata.

È dunque fatale che in queste condizioni le forze della socialdemocrazia nella sua versione radicale riescano a recuperare anche quanto non era una loro diretta manifestazione, e a giocare ancora un ruolo egemone in assenza di una opposizione organizzata dei rivoluzionari.

Sta esattamente ai rivoluzionari organizzati raccogliere le istanze profonde del momento riorganizzando sul piano politico quel materiale che il ribollire di base fa emergere nelle diverse situazioni. Ciò è possibile alla sola condizione che i rivoluzionari operino sulle loro precise posizioni politiche senza transigere sugli aspetti negativi e di ritardo che queste esperienze prevalentemente esprimono.

Da Battaglia comunista, n. 12 - 1977

Prassi e chiarezza politica

Sono passati i Coordinamenti Operai, e le varie Opposizioni di base hanno seguito la “debacle” di quella che si presentò allora come la “nuova sinistra”. Allo sbando finirono molti protagonisti di quel movimentismo, e le forze che li sostenevano (da Autonomia Operaia a Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, eccetera) sono miseramente scomparse. “Ricordi storici” negativi, coi pochi rimasti sul terreno della militanza attiva riassorbiti prima nel Sindacato, poi al centro o ai margini del baraccone di “Rifondazione”. Nuovamente, in buona o mala fede, a sfruttare proteste, rabbia e disperazione degli operai per i giochi opportunisti del vetero-riformismo e del pansindacalismo democratico, antagonista al verticismo burocratico che non saprebbe... contrattare coi padroni.

Un punto è fondamentale. Qualunque attività all’interno della classe e delle sue avanguardie di base - soprattutto se condotta “in comune” con altre formazioni politiche - non può prescindere dalla chiarezza del programma, della strategia e della tattica necessarie a realizzarlo. Questo lavoro, che per noi ha un senso e un obiettivo preciso: contribuire al processo di formazione del partito, deve aver già risolto da parte di chi lo conduce tutte le questioni fondamentali di carattere teorico, e riguardanti lo sviluppo del processo rivoluzionario in tutte le sue fasi; deve da qui far discendere un appropriato intervento politico nella classe.

Non è dalla prassi che scaturisce la chiarezza politica, ma viceversa. Ogni intervento nella classe che trascuri questo principio, è destinato a portare altra confusione e nuove cadute nell’opportunismo e nelle genericità delle più ibride alleanze.

Le illusioni di un nuovo sindacalismo

Il neo-sindacalismo si presenta come l’espressione ultima del processo di degenerazione del vecchio sindacato, e probabile strumento di un suo rinnovarsi, al di fuori e di fatto contro una possibile ripresa della lotta di classe. Per di più si rende strumento di una operazione politica che, al di là della sua illusorietà e fallimentarità, tende a coinvolgere nella sconfitta strati consistenti di classe operaia.

Assemblea nazionale su “Partito e intervento operaio” - ottobre 1992

Esistono possibilità reali affinché un organismo sindacale possa ottenere dal capitale obiettivi immediati, come: aumenti salariali, riduzioni di orario, assunzioni di personale? Le condizioni di sopravvivenza del capitalismo sono attualmente e drasticamente all’opposto di queste esigenze proletarie. La caduta del saggio di profitto pone al capitale l’esigenza di una riduzione dei salari, di un aumento dello sfruttamento e dell’estorsione di plus-valore relativo. E fà, molto concretamente, piazza pulita di ogni illusoria possibilità di un inserimento nel sindacato con indicazioni di una

alternativa pratica su una strada che lo faccia funzionare meglio, cercando di riadattarlo a centro organizzatore della classe: lotta rivoluzionaria all’interno dei sindacati...per la formulazione di proposte alternative e credibili.

Così farneticano i “leninisti” di Lotta Comunista - settembre 1994

La presunta possibilità di una rinascita di organismi classisti che svolgano il lavoro che i sindacati ufficiali hanno (o meglio, avrebbero) svolto in tempi passati, ebbene, questa possibilità non soltanto non esiste ma sarebbe di grave ostacolo alla crescita di una coscienza politica rivoluzionaria fra gli operai. L’attacco e la distruzione del capitalismo, conseguente allo sviluppo e alla generalizzazione delle lotte operaie, ha sempre trovato e troverà un grosso ostacolo proprio nelle organizzazioni sindacali. Ed è proprio per queste ragioni che nella prospettiva strategica rivoluzionaria si guarda alla trasformazione delle organizzazioni proletarie di lotta in soviet, cioè in organi contemporaneamente di lotta e di potere della classe.

Fra i compiti del partito non c’è la ricostruzione di un impossibile sindacato di classe, rosso, ma quello di preparare e rafforzare una organizzazione di avanguardia politica all’interno della classe operaia. Una rete organizzativa che nella futura fase di generalizzazione delle lotte dovrà guidare il proletariato verso il superamento dei limiti del tradunionismo.

Diventa storicamente assurdo il pensare alla necessità di favorire i tentativi di una riorganizzazione di nuovi strumenti di mediazione sindacale. La classe deve orientarsi - quando è la classe e non l’opportunismo politico che opera al suo interno - verso strumenti diretti di organizzazione e di lotta, sul tipo dei consigli e dei soviet. Strumenti, cioè, che possano trascrescere sotto la direzione comunista in strumenti di lotta rivoluzionaria e del potere proletario e non - ripetiamolo - di intermediazione rivendicativa e contrattualistica, anche se tinteggiata di rosso.

Prime conclusioni

Riassumiamo, a questo punto, le nostre posizioni.

Nella attuale fase imperialistica di massima concentrazione e centralizzazione del capitale, e nella progressiva crisi del ciclo di accumulazione capitalistica, è sbagliato dal punto di vista teorico e impossibile dal punto di vista pratico, mirare alla creazione di organismi permanenti di difesa degli interessi economici immediati della classe.

Nelle presenti condizioni i lavoratori tendono a esprimere, volta per volta, organismi di lotta e di difesa delle proprie condizioni, che finiscono comunque con la lotta stessa. Compito dei rivoluzionari è naturalmente quello di operare “politicamente” in questi organismi, mirando a svolgervi una attività di propaganda, di stimolo e critica rivoluzionaria.

Attraverso una moltiplicazione e generalizzazione di queste esperienze di lotte, con una partecipazione e organizzazione di massa, si renderà possibile spostare il terreno dell’azione dal piano economico a quello direttamente politico. Condizione soggettiva fondamentale diventa il contemporaneo crescere delle capacità di effettivo lavoro politico da parte delle forze rivoluzionarie. Quindi, il radicamento, quanto più sufficientemente concreto, del partito nella classe con i suoi adeguati strumenti operativi.

La stessa ripresa del programma comunista nella classe dipende dal realizzarsi di questi due fattori. Il loro legame e sviluppo, tuttavia, non si presenta meccanicamente scontato, o idealisticamente schematizzabile nel quadro di un progressivo “crescere” della situazione presente. La condizione della presenza, sia pure minoritaria, del partito assume in ogni caso e fin da ora una importanza primaria.

Sui consigli operai

A proposito degli organismi operai sorgenti dalla fabbrica, e in particolare i consigli operai, occorre chiarire la loro differenza di funzionalità. Essi si sono infatti presentati, in varie esperienze storiche, sia come organi di agitazione e di lotta nella fase pre-rivoluzionaria, e sia di organi del potere nella fase dell’assalto rivoluzionario.

L’errore che si commette sta nel considerare i Consigli indistintamente come organi del potere pure nella fase in cui tale problema è ben lontano dalla coscienza del proletariato. I Consigli sono sorti nel clima storico della rivoluzione russa in funzione del potere, nella fase montante della lotta operaia, sotto la guida del partito comunista, e come tali non sono concepibili in una fase ri rinculo o di ristagno di questa lotta. I Consigli non sopportano di essere piegati alla funzione banale di organi di fronte unico e in genere di mobilitazione delle masse senza la prospettiva immediata del potere. Sarebbe avvilirne la funzione riducendoli a semplici organi delle lotte rivendicative, a una sottospecie del sindacato; ma sarebbe forzarne le possibilità attribuendo loro il compito di elaboratori della teoria rivoluzionaria e il ruolo di guida che la storia del movimento operaio ha assegnato al partito di classe.

I Consigli, dunque, non sono organi di amministrazione politico-sindacale. Fermo restando che...

le garanzie contro le forme della degenerazione, anche in questo caso, non risiedono in questa o quella forma di organizzazione, ma nella applicazione, nella integrità e nella difesa della teoria rivoluzionaria.

IV Cogresso del P.C.Internazionalista - 1970

Sempre a proposito di alternativi organismi sindacali di base, il loro muoversi esclusivamente sul terreno economico li condiziona a subire, presto o tardi, la concorrenza del sindacato ufficiale. Quest’ultimo è perfettamente in grado di articolare le rivendicazioni sulla base delle reali compatibilità, in base cioè ai risultati concreti ottenibili negli spazi di mediazione che gli sono più congeniali. È evidente che su questo terreno, quello della organizzazione sindacale contrattualistica, vince chi più vale; chi meglio riesce a portare avanti le operazioni, opportunistiche e mistificatrici, necessarie a uno svolgimento della mediazione stessa. Salvo il caso di accese lotte, di forti tensioni sociali, di rottura delle dighe sindacali e quindi fino a condizioni pre-insurrezionali.

Per i rivoluzionari si tratta di preparare le condizioni perché gli organismi di massa che si formano nelle fasi montanti possano realmente trasformarsi in Soviet, in Consigli operai; in organismi adatti per le battaglie decisive verso la conquista del potere, dietro le indicazioni del partito di classe e sulla base della piattaforma e del programma di cui il partito è il portatore.

Fin da ora la concreta necessità è quella, per gli operai più coscienti, di organizzarsi lungo le linee di una piattaforma di azione comunista; di forgiare l’organizzazione di operai comunisti che costituirà la frazione d’avanguardia e di guida delle lotte future. I rivoluzionari, quindi, vanno agli organismi immediati (dopo il dovuto vaglio politico) con lo sforzo di imprimere loro un carattere politico comunista, organizzarli e coordinatli attorno agli obiettivi rivoluzionari; cercando comunque di estrarre dal movimento le forze idonee a coagularsi in una rete operaia, adatta ai compiti di direzione delle lotte economiche generali della classe e verso la conquista del potere. Molto di più, dunque, del semplice riconoscimento o della esaltazione degli “organismi di lotta” quali momenti transitori di passaggio della classe verso la sua organizzazione generale; oppure limitandosi a fare opera di proselitismo in attesa che maturino tempi migliori.

Così pure, per i comunisti, è sempre stato il sindacato a dover servire, se possibile, alla causa del proletariato e non inversamente. Quando il sindacato si salda alla politica di conservazione del sistema non può che essere predestinato a subire la violenza del proletariato.

Nelle situazioni di alta tensione storica il rapporto sindacato-proletariato si spezza; le strutture e gli apparati sindacali saranno spazzati via assieme alle altre strutture e sovrastrutture del capitalismo, da un proletariato che per forza di cose sarà costretto a forgiare nuovi strumenti più idonei a difendere e portare avanti i propri interessi di classe antagonista e rivoluzionaria.

La stessa esperienza storica ci fornisce questa indicazione e questa prospettiva. In parole povere: i sindacati, che sono manifestamente collocati contro la benché minima difesa dei reali interessi della classe operaia, saranno forse, domani, col proletariato rivoluzionario? Tutti i problemi sarebbero allora risolti. Ma poiché, evidentemente rimarranno dall’altra parte, dalla parte della conservazione e ancor peggio al seguito degli interessi dei centri imperialistici in guerra, il da farsi è scontato. E la storia dell’ultimo secolo insegna.

Il sindacato ha sempre “bastonato”, con ogni pretesto e in ogni occasione, le opposizioni di classe. E queste, se avessero la forza e quindi la possibilità reale di conquistare gli organismi sindacali nel loro complesso, si troverebbero allora nelle condizioni stesse per la conquista rivoluzionaria del potere.1.