Destra e sinistra non sono una questione di viabilità

La sinistra fa il lavoro sporco che ha sempre fatto la destra, ma al contrario della destra ha il compito di tenere la piazza, di far passare le politiche anti-operaie se non come delle conquiste come mali necessari

Volendo attingere al demenziario dei luoghi comuni potremmo dire che, come non esistono più le mezze stagioni, così le differenze politiche tra destra e sinistra si sono annullate. Un tempo sì che la primavera era la primavera e l'autunno era l'autunno, oggi non si capisce più niente. Una volta essere di sinistra o di destra significava collocarsi precisamente all'interno di un ambito ideologico, oggi è molto più difficile trovare una caratterizzazione politica. Da qualche anno a questa parte i distinguo si operano su terreni di secondaria importanza se non addirittura frivoli. È di sinistra ascoltare un certo tipo di musica, è di destra avere un certo rapporto con la cultura. Come la destra e la sinistra si rapportano alla letteratura, è di sinistra chi legge Marquez e di destra chi non lo legge, oppure anche in questo settore le differenze non esistono più. Sin qui è il luogo comune che ha il sopravvento, anche se i luoghi comuni, come le più irritanti banalità, possono contenere delle verità inconfutabili. È certamente vero che nello scenario politico internazionale la linea di demarcazione tra una politica di destra e una di sinistra non solo è diventata così labile da non essere distinguibile, ma addirittura i due contenuti sono diventati tra di loro intercambiabili sino al punto di sostituirsi in qualunque momento senza che il loro contenuto economico e sociale subisca modificazioni significative. Il che genera confusione, disinteresse nella politica, perdita di identità ideologica tra le masse che di questo trasformismo sono le vittime predestinate. In realtà le cose possono essere ricondotte in termini chiari e inconfutabili alla loro essenza, occorre soltanto abbandonare il precario bagaglio dei luoghi comuni e riproporre un solo punto di riferimento che questa società presenta: il rapporto tra capitale e forza lavoro. Ieri come oggi chi è dalla parte del capitale, delle sue necessità di valorizzazione, chi fa propri i suoi valori sociali, oltre che economici, è di destra, chi difende gli interessi della forza lavoro è di sinistra. Semplice? Si, ma con alcune precisazioni, altrimenti i luoghi comuni finirebbero per prendere di nuovo il sopravvento. Una prima precisazione è che occorre non soltanto difendere gli interessi del mondo del lavoro ma essere contemporaneamente contro il capitale, le sue leggi economiche e sociali e i suoi modelli di sviluppo, per il semplice motivo che non si possono difendere gli interessi dei proletari se non si combatte contemporaneamente contro il capitale. Banale e scontato? Non tanto. Quante forze di "sinistra" che amano ancora fregiarsi di comunismo, che si collocano magari sul terreno del radical riformismo, che a parole si schierano sul terreno degli interessi contingenti e storici della forza lavoro, non osano minimamente mettere in discussione le leggi del capitale e le sue necessità di sopravvivenza come sistema economico. Starà a loro tentare di comporre la contraddizione tra la difesa degli interessi di classe che sono una conseguenza del capitalismo e la permanenza, se non il potenziamento, delle categorie economiche del sistema produttivo che ne sono la causa. Ma questo è un discorso che ci porterebbe lontano e che lasciamo alla prossima occasione. C'è chi ritiene che essere di sinistra, ovvero di essere dalla parte dei lavoratori, consista nel difenderne gli interessi salariali e sociali senza pretendere di andare al di là delle compatibilità del sistema. Il che sta semplicemente a significare che si può rivendicare migliori condizioni retributive, uno stato sociale degno di un paese civile, una tenore di vita accettabile e un orario di lavoro in linea con lo sviluppo tecnologico della società, solo a condizione che tutto questo sia compatibile con i saggi di profitto e di sfruttamento del capitale. In caso contrario non solo ogni rivendicazione sarebbe inopportuna, ma tutte le possibili politiche dei sacrifici sarebbero da accettare come un male inevitabile, una condizione necessaria da imporre con la forza qualora i normali canali di condizionamento dimostrassero di non funzionare appieno.

Poi si scade nella millanteria, ovvero nella fraudolenza di chi si dichiara di sinistra ma persegue una politica di destra, conservatrice e reazionaria. Con un po' di fantasia potremmo ipotizzare che un simile reato di criminale ipocrisia politica, con pesantissime ricadute sociali ed economiche sul mondo del lavoro, dovrebbe essere perseguito dallo stesso diritto penale borghese. Ma nonostante la flagranza del reato a nessuno verrebbe in mente di sottolinearne l'esistenza se non fosse così funzionale alla conservazione del sistema. In questo periodo di esempi ne troviamo in tutta Europa, ma quello più evidente riguarda il governo italiano dell'ex stalinista D'Alema. Sottilmente arrogante quanto efficiente esecutore degli interessi di un capitale bisognoso di estorcere quote sempre più consistenti di plus valore al proletariato nostrano, si propone quale paladino di una nuova sinistra in grado di migliorare le condizioni del mondo del lavoro in termini di occupazione e di riforma dello stato sociale. In questo caso la millanteria cede il passo alla più ferrea presa per i fondelli. Il suo teorema è molto semplice. Perché il sistema nel suo complesso possa creare più ricchezza e affinché questa ricchezza possa essere più equamente suddivisa occorre creare le condizioni per uno sviluppo economico che a sua volta sarà la premessa per lo sviluppo sociale con vantaggi anche per la classe lavoratrice. Più sviluppo, più occupazione, più occupazione migliori saranno le condizioni economiche e di vita dei lavoratori. Ma quando dall'esposizione generale del teorema del paladino della nuova sinistra si scende nel dettaglio, appare drammaticamente in tutta la sua evidenza il contenuto reazionario della manovra.

In un quadro economico di bassi saggi del profitto, con una competitività bassa nei confronti degli altri capitali, con un sistema finanziario non sempre all'altezza, il capitalismo italiano non può che intensificare lo sfruttamento nei confronti della forza lavoro per poter reggere la concorrenza internazionale. In questo senso favorire lo sviluppo significa creare tutte le condizioni perché il capitale possa spremere il proletariato sino ai limiti del consentito e non, come vorrebbe far credere la fraudolente menzogna, operare per un miglioramento, anche se minimo, della sicurezza occupazionale, del tenore e della qualità di vita in termini di assistenza e previdenza. In questa fase lo sviluppo capitalistico prevede soltanto vantaggi per il capitale e penalizzazioni per la forza lavoro. Al capitale sono concessi tutti gli sgravi fiscali possibili, l'opportunità sancita per legge di impiegare la forza lavoro per il tempo strettamente necessario a salari inferiori sino al 60%. In prospettiva di licenziare quando e come vuole, di avere a disposizione un mondo salariale a basso costo, il meno garantito possibile, con contratti a termine rinnovabili solo se funzionali allo sviluppo aziendale. In questi termini va letta la promessa del capo del governo di creare un milione di posti di lavoro entro la fine della legislatura. In aggiunta le restrizione nella sanità e la riforma delle pensioni tendono ad azzerare ogni residuo di stato sociale, ovvero di salario indiretto. Il teorema di D'Alema non si ferma qui, oltre al danno propina anche la beffa. L'eufemistica riforma dello stato sociale prevede infatti che, mentre al capitale vanno finanziamenti privilegiati, sgravi fiscali, normative atte a sancire la diminuzione del costo del lavoro, sull'altro fronte si tende a diminuire il salario diretto e indiretto proponendo il tutto come una più equa distribuzione della ricchezza. D'Alema presenta la questione come un mezzo per dare ai meno abbienti qualcosa in più rispetto a prima. Solo che questo qualcosa in più che i disoccupati, i lavoratori saltuari, i non garantiti lo avrebbero a spese dei lavoratori fissi, ovvero dai garantiti. Questa è la scoperta sociale della nuova sinistra di cui il capo del governo si sente patrocinatore. Dare al capitale tutto ciò che è necessario, togliere alla forza lavoro tutto ciò che è possibile, giocare in modo sporco sui garantiti e non, configurando una guerra tra poveri e paludare tutto questo come una operazione di sinistra moderna ed efficiente che pone al primo posto delle priorità la questione sociale. Fraudolenza sì ma criminale. Il perverso teorema tratteggia gli schemi della futura società capitalistica. Lavorare in pochi, lavorare di più, a salari bassi, senza nessuna garanzia occupazionale e senza stato sociale.

Tornando ai luoghi comuni dovremmo concludere che come non esistono più le mezze stagioni non esiste più nemmeno la differenza tra la destra e la sinistra? Si ma con una ulteriore precisazione. La sinistra fa il lavoro sporco che ha sempre fatto la destra, si muove sullo stesso terreno conservatore e reazionario, ma al contrario della destra ha il compito di tenere la piazza, di condizionare le coscienze dei lavoratori, di far passare le politiche più sfacciatamente anti operaie come mali necessari, se non come delle conquiste. Fin che dura...Le bugie anche se hanno i baffetti di D'Alema continuano ad avere la gambe corte.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.