Una vita per la scuola... del capitale

Concorso o non concorso, l'aziendalizzazione della scuola deve andare avanti (se nessuno la ferma)

Per decenni l'organizzazione del lavoro nella scuola italiana è rimasta sostanzialmente immutata, nonostante gli scossoni del '68 e dintorni. Ma la fine del ciclo di espansione capitalistico, che ha provocato e provoca profondissime trasformazioni a livello mondiale, non poteva lasciare indenne il sonnolento mondo dell'istruzione. Infatti, se la fabbrica è stata la prima ad essere investita da questo ciclone - i cui effetti si chiamano precarietà, aumento dei ritmi e degli infortuni, abbassamento del salario, disoccupazione, spesso mascherata da sottoccupazione - anche il vasto settore dei servizi e del lavoro, diciamo intellettuale, sono stati risucchiati da questa radicale opera di ristrutturazione del mondo del lavoro. L'obiettivo? Aumentare il più possibile e non disperdere nemmeno una briciola di quella ricchezza che, prodotta dallo sfruttamento operaio in fabbrica, costituisce la linfa vitale della società del capitale, di questa società. Così si spiegano la compressione dei tempi "morti", l'intensificazione dei ritmi e/o degli straordinari, gli stipendi fermi o in calo anche ne terziario pubblico, non ultima la scuola. "Valorizzazione della professionalità", "riconoscimento del merito", "produttività", sono le droghe ideologiche con cui si vuole addolcire le amarissime pillole che vengono fatte ingoiare ai lavoratori di ogni categoria. E chi meglio di uno stalinista come Berlinguer - pardon, ex (?) - stalinista - poteva svolgere lo sporco lavoro per conto del dio mercato? Mai, infatti, lo stalinismo, usurpando il nome di comunismo, ha fatto venir meno il suo appoggio alle supreme esigenze dell'interesse nazionale del Paese ossia a quelle del profitto, convincendo i lavoratori a sopportare ogni genere di sacrifici. In tal senso, il ministro Berlinguer e la sua guardia pretoriana sindacale, stanno procedendo nella riforma della scuola, affinché questa possa soddisfare sempre più e meglio i bisogni del "mercato".

Dando seguito agli accordi contenuti nell'ultimo contratto nazionale (molto peggio del solito contratto-bidone) stava per partire il concorso detto dei "6 milioni" o dei "superinsegnanti", che, secondo la faccia di bronzo ministeriale, avrebbe dovuto scremare una "aristocrazia culturale" di docenti - il 20% - con cui imprimere una svolta qualitativa all'istituzione scolastica. In realtà, tutto l'impianto del concorso era fondato, a scelta, sull'inganno, la demagogia, il grottesco e l'infame, a cominciare dai criteri di selezione che escludevano tutti coloro con meno di dieci anni "di ruolo", come se chi ha - mettiamo - tre anni di ruolo e dieci di precariato (o è precario da una vita) non avesse sufficiente "professionalità". La selezione, poi, era congegnata espressamente per giustificare l'esistenza (il portafoglio) dei soliti baracconi politici didattico-pedagogici (centri di aggiornamento ecc.) e soddisfare le esigenze di cassa e di potere dei sindacati. Non a caso questi ultimi vendevano "pacchetti" da 200.000 lire per preparare gli aspiranti Nembo Kid dell'istruzione ad affrontare lo scoglio dei quiz valutativi. Infine, i famosi sei milioni (per tre anni), strombazzati dal ministero e dai mass-media, a causa della ritenuta del 40% si ridurrebbero comunque a poco più di tre e mezzo, sui quali, assieme allo stipendio normale, verrebbe calcolata l'IRPEF...

Ma ora, di fronte all'indignazione pressoché unanime degli insegnanti, che rischia di penalizzare notevolmente le forze governative nel prossimo test elettorale, il ministero ha rimandato il concorso a data da destinarsi, per mettere meglio a punto - dice - i criteri di valutazione. Sebbene, però, alcuni sindacati - corresponsabili in pieno del concorso: nota bene! - con la loro solita rivoltante ipocrisia cerchino di cavalcare il malcontento facendosene paladini (!!!), né i sindacati né il governo hanno intenzione di gettare alle ortiche la loro strategia contro i lavoratori così accuratamente concertata: dovrebbero per lo meno annullare lo stesso contratto di lavoro. Infatti, l'obiettivo di fondo del governo è quello di realizzare un altro notevole risparmio di bilancio e, frantumando ulteriormente una categoria già frantumata, accelerare l'introduzione di criteri privatistici nella gestione della scuola, che, già ora parzialmente presenti, troveranno completa attuazione nella Autonomia scolastica. Infatti, la privatizzazione della scuola non significa solamente il finanziamento statale degli istituti d'istruzione religiosi e confindustriali, ma anche la gestione della forza-lavoro "intellettuale" con criteri aziendalistici, come in qualsiasi altra azienda. Ricalcando in pieno la visione strategica della Confindustria (1), anche la scuola dovrà basarsi totalmente su criteri produttivistici, sebbene nessuno finora sia riuscito a spiegarci in maniera convincente in che cosa consista e come si misuri la "produttività" culturale, a meno che la risposta non sia (come è!) più orario e meno stipendio. Fatto sta che i "seimilionisti" (o chi per loro) diventeranno una specie di capi-reparto di istituto, visto che potranno valutare quegli insegnanti che sono degni di innalzarsi nella scala gerarchica. Insomma, se la scuola dell'Autonomia deve interagire da impresa col "territorio" (cioè il padronato e il politicantume locali), è logico che l'organizzazione del lavoro si modelli sulla struttura gerarchica aziendale (stipendio in primis): manager (preside), capi-reparto (3, 6 milioni o che altro) e forza-lavoro semplice (docenti normali), con tanti saluti alla collegialità di facciata dei decreti delegati, a loro volta pietra tombale della contestazione sessantottina.

Se questi sono, come sono, gli obiettivi di governo, Confindustria e sindacati, la strada per opporsi non è quella di rivendicare o, peggio, rimpiangere nostalgicamente una condizione che fa a pugni con le spietate necessità del capitalismo oggi, ma, spogliandosi di ogni sterile presunzione corporativa, quella di collegarsi con tutta la classe del lavoro salariato-dipendente, di organizzare lotte vere, dal basso, fuori e contro le compatibilità del capitale, fuori e contro ogni logica sindacale, a cominciare da quella confederale, che ha imposto limiti di stampo fascista allo sciopero di tutti i lavoratori dei servizi pubblici, scuola compresa. Occorre dunque lottare come, quando e quanto i lavoratori ritengono sia più giusto lottare (per es., durante gli scrutini), per rivendicare, anche nel caso dei sei milioni, aumenti per tutti uguali per tutti. È una strada indubbiamente difficile e impegnativa, che si scontra con i diffusi pregiudizi piccolo-borghesi e le velleità corporative di settori tutt'altro che secondari del personale scolastico, ma non c'è altra scelta. L'alternativa? Rabbia impotente, demoralizzazione, inutili rimpianti di un tempo felice (?!) che non tornerà mai più.

(1) Vedere il nostro documento sulla scuola, di cui uno stralcio è apparso su Prometeo n. 18/'99

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.