L'area internazionalista e la scissione del 1952

La stessa diaspora sviluppatasi nel secondo dopoguerra all'interno dell'area comunista internazionalista ha contribuito a innalzare ulteriori ostacoli nel cammino verso un coagulo delle forze genuinamente rivoluzionarie, e verso l'obiettivo primario della costruzione del partito di classe.

Queste circostanze hanno in molti casi favorito unicamente l'eclettismo, se non il settarismo, di posizioni politiche al limite del personalismo, assieme alle sofisticherie delle dispute accademiche fra circoli intellettualistici.

A farne le spese è stata la costruzione di un concreto, coerente riferimento teorico politico e organizzativo, nonché la corretta elaborazione di un piano strategico e tattico, fondato su una impostazione di metodo in grado di superare paralizzanti equivoci.

Le divergenze, oltre che tattiche, hanno investito fin dall'inizio questioni essenziali di valutazione teorica e di prospettiva strategica: dal problema centrale dell'imperialismo al problema del partito e dei suoi rapporti con la classe. Sulla origine e sul contenuto di queste divergenze abbiamo sempre cercato di fare la massima chiarezza; abbiamo sempre affrontato apertamente quegli argomenti che altri si rifiutavano di discutere e chiarire. A cominciare dal confronto fra le tesi di chi riteneva opportuno, dopo il riflusso operaio del 1948, ritirarsi da un ruolo attivo nella classe (perché giudicato comunque inutile e rischioso di inquinamenti opportunistici) e chi invece - come noi - ha sempre ritenuto che, per quanto isolati e controcorrente, si debba continuare ad agire per essere concretamente in grado di raccogliere le forze di avanguardia che gli svolti improvvisi della situazione possono fare emergere.

In questa ottica, possiamo affermare che la scissione nel 1952 del Partito Comunista Internazionalista è stato un evento cruciale nella dispersione delle forze rivoluzionarie del proletariato. Il determinarsi di due organizzazioni concorrenti e divergenti a partire da un medesimo programma formalmente comune, ha avuto effetti negativi particolarmente in Italia, dove ai potenziali rivoluzionari si è offerto un quadro debole, internamente lacerato, ideologicamente contraddittorio.

Questo ha fatto sì che molti si tenessero lontani in modo prevenuto dalla Sinistra comunista. Non si dimentichi poi che alla prima scissione del 1952, che noi consideriamo l'unica vera scissione ideologica e politica, sono seguite una serie pressoché infinita di microscissioni all'interno di Programma comunista. Scissioni che noi spieghiamo con la debolezza teorica e politica del tardo bordighismo, così come esso si è manifestato negli anni successivi alla fine del secondo conflitto imperialistico.

Una debolezza che ha allevato, sotto le insegne della stessa ortodossia e invarianza bordighista, sia i negatori del partito che i super partitisti, sia gli assertori della riconquista del sindacato e sia i costruttori di nuovi sindacati. Un quadro desolante, paragonabile a quello offertoci dalla Quarta Internazionale dei trotzkisti, con centinaia di antagonisti, ricostruttori/riconquistatori/rigeneratori/rifondatori, eccetera.

Divergenze radicate

Troppe coscienze e possibili avanguardie sono state bruciate in questi ultimi decenni. Fra delusioni e stanchezze lo sfoltimento è stato rilevante anche nel ristretto campo internazionalista.

La verità è che nella Sinistra comunista si sono sedimentate, oltre l'apparente comunanza di un certo apparato concettuale e di linguaggio, divergenze radicali fra linee teoriche e strategiche che hanno caratterizzato e caratterizzano gruppi e correnti diverse e storicamente divise. Più specificatamente: tutti coloro i quali si richiamano alla Sinistra comunista (che ha il suo atto di origine nella Sinistra italiana) non si richiamano in realtà a una esperienza sempre coerente; esprimono infatti non semplici diversità di vedute, ma vere e proprie contrapposizioni di linee politiche e di prospettive, quando non addirittura di metodo.

Queste divergenze, che una approfondita analisi amplificherebbe piuttosto che restringere, non si cancellano né si superano con atti di buona volontà. Incontri, discussioni e confronti nel passato sono falliti perché il terreno e le prospettive entro le quali si muovono alcuni gruppi sono solo apparentemente e superficialmente i medesimi. Tutto questo ha inciso, e a sua volta ne ha subito l'influenza, nella definizione successiva di un compiuto bilancio storico. Ovvero, nell'esame critico del passato, alla luce:

  1. della critica dell'economia politica;
  2. del materialismo storico e dialettico;
  3. del programma strategico per il comunismo.

Né si può considerare un bilancio storico quello che non sappia trarre da esso anche le indicazioni per l'immediato e il futuro, ovvero le conclusioni sul piano strategico e tattico.

La costruzione del partito

Costruire il partito significa costruire quella organizzazione minoritaria che possa, pur nei limiti della situazione presente, operare nella classe come punto di riferimento e di orientamento; che sia capace di delimitarsi politicamente e di raccogliere le esigue forze rimaste sul terreno teorico della rivoluzione; che sappia presentare e far vivere nella classe il programma per il comunismo. Una organizzazione in grado di essere concretamente un centro di analisi, di critica, di indicazioni comprensibili e compiute, e tale da diventare un operante polo di aggregazione contro la persistente frammentazione, l'isolamento e la dispersione. Che sappia battere gli sterili spontaneismi movimentistici e certe idealistiche prospettive di una ripresa della lotta di classe in forma "pura", lineare, omogenea sia nella strategia che nelle soluzioni tattiche.

Il partito non può nascere dalla confusione politica di esperienze parziali e frammentarie. Non sono mancati, e non mancano, i casi di chi, dietro il paravento della propria bottega, nasconde incertezze e insicurezze, quando non addirittura vecchi e nuovi opportunismi. Il partito nasce dall'aggregazione di forze sane con una chiara piattaforma politica. Questa piattaforma esiste o va ancora formulata?

Riteniamo - già è stato detto ma lo ripetiamo:

che la storia della lotta di classe, le antiche e recenti sconfitte del proletariato internazionale hanno sufficientemente mostrato errori e debolezze, ma anche conquiste politiche e punti fermi e inamovibili. Due guerre mondiali, tre internazionali comuniste e settanta anni di controrivoluzione stalinista hanno fornito materiale sufficiente perché in sede teorica, tattica e strategica, non vi sia più niente da inventare, comporre o mediare. Per chi, con sommo stupore, scopre solo oggi l'acqua calda, ci sia il benvenuto. Per chi l'acqua calda l'ha già scoperta e crede di doverla allungare con più fresche sorgenti, faccia pure ma a debita distanza.

F.D. - Battaglia comunista

L'alibi dei dissensi individualistici

Oggi il problema non è quello di contribuire a una piattaforma politica ancora in formazione, ma di sollecitare un confronto politico sulle posizioni esistenti (quando ci sono) in modo che si contribuisca il più celermente possibile all'auspicato processo di aggregazione o al suo contrario: la delimitazione politica. Oggi la questione partito è di primaria importanza.
Le tragiche scadenze che il capitalismo mondiale sta imponendo alla classe operaia dovrebbero accelerare i tempi di questa vitale questione. Ma non si perviene a ciò, non si contribuisce al più importante compito che sta di fronte ai rivoluzionari né quando ci si balocca su posizioni individualistiche, preoccupati più di difendere la propria confusione politica o la mancanza di programmi, sino al punto di rifiutare o di sfuggire a validi confronti politici dai quali dovrebbe uscire una definitiva responsabilizzazione in un senso o nell'altro, - né quando si imposta la questione in modo errato.
Il rischio più grave, in questa situazione, è che le odierne e future espressioni di ripresa possano perdersi di nuovo nei pericolosi atteggiamenti della gruppomania, alla continua ricerca di sottili distinguo, ora basati sulla diversa valutazione di questioni contingenti, 'concrete', ora su bizantine teorizzazioni di alta politica strategica. A questo proposito va rilevato come, nella 'grande' area internazionalista, tra Partiti e partitini, gruppi e gruppetti, nuclei ed elettroni, siano ormai occupate tutte le posizioni possibili.
Solo sul problema partito esiste una gamma vastissima di posizioni. C'è chi è per il partito ma solo in determinate condizioni, chi è per la necessità del partito anche nelle fasi storiche controrivoluzionarie, e chi, pur accettandolo, non lo vede di buon occhio. C'è chi è per il centralismo organico e chi per quello democratico, e chi pensa che nessuna delle due soluzioni sia quella ottimale. C'è chi è per la dittatura del proletariato e chi per la dittatura del partito; e chi naturalmente, pur richiamandosi a Marx, Lenin e Bordiga, non riesce a identificarsi sino in fondo in nessuna delle due. La stessa cosa si ripete per il problema sindacale. Si passa dalla analisi della irrecuperabilità a quella della sua riconquista, con le relative posizioni intermedie.
Nonostante tutto ciò, c'è chi giustifica il proprio individualismo asserendo di non trovare nel calcolo combinatorio delle varie posizioni quella che lo soddisfi su tutti i punti. Può darsi, ma sorge spontaneo il sospetto che dietro a tutto ciò non ci sia la ricerca della chiarezza politica ma l'opportunistico atteggiamento di chi si serve delle divergenze degli altri per avallare la 'sua' divergenza. In questo modo non solo non si opera perché chiarezza sia fatta, e dopo di che o aggregazione od ognuno per la sua strada, ma si diffonde unicamente confusione.

F.D. - Battaglia comunista

Quanto a noi, la strada lungo la quale testardamente ci siamo incamminati è quella che affianca gli sforzi di una chiarificazione critica con la capacità di dar corpo a un lavoro politico esplicitamente rivolto alla affermazione nella classe delle posizioni marxiste e rivoluzionarie. Nei riguardi della crisi e della guerra, oltre che sui relativi compiti del proletariato e delle sue avanguardie.

Comprendere le dinamiche reali del capitalismo, entro le quali si inquadrano i maggiori problemi del mondo, è la condizione di fondamentale importanza per ogni chiarimento. Lo stesso processo politico aperto dalla fase di crisi del ciclo di accumulazione del capitale, può oggettivamente contribuire al superamento delle principali divergenze. Purché sia chiara la sostanza dei problemi sul tappeto (metodi e strategia rivoluzionaria), la concretezza delle risposte e l'impegno dei militanti. Il comune riconoscimento di queste obiettivi sarebbe un altro passo avanti verso la possibilità di una intrapresa di ponderate iniziative.

Non abbiamo mai ritenuto - per concludere - che attorno a questi problemi e a una loro necessaria soluzione, possa bastare una esibizione di formalismi, di estetica rivoluzionaria e di principi astratti. Tutta la questione è squisitamente politica: per i marxisti, creare un polo di riferimento, sufficientemente forte a reggere le bufere che si avvicinano, significa creare il partito, l'organizzazione comunista delle avanguardie di classe sulla base di una omogeneità di metodo e di programma, con compiti, ruoli e responsabilità ben definite. E per le avanguardie che cercano un proprio orientamento si tratta di affrontare un compito non facile: studiare, approfondire, discutere metodo, principi e posizioni per discernere il programma rivoluzionario stesso.

Il tardo bordighismo del secondo dopoguerra e i suoi epigoni

Amadeo Bordiga, prestigioso rappresentante della Sinistra italiana fino alla seconda metà degli anni '20, negli ultimi due decenni della sua vita (1950-1970) divenne il protagonista di alcune deteriori interpretazioni e applicazioni del marxismo rivoluzionario. La tendenza che egli suscitò - dietro la formale dichiarazione di una intransigenza e invarianza teorica - all'interno del comunismo di sinistra in Italia, e in minima parte all'estero, ha provocato una serie di danni anche gravi nell'area rivoluzionaria internazionalista. Danni in seguito moltiplicatisi a opera dei suoi epigoni, e culminati agli inizi degli anni ottanta con una profonda crisi che ha portato alla distruzione di buona parte della rete organizzativa e delle forze presenti nel principale gruppo bordighista, quello di Programma Comunista.

Questa nostra analisi critica non intende rispondere a tutti i problemi suscitati dal pensiero e dagli atteggiamenti assunti da Bordiga, nel periodo ultimo del suo ritorno a una attività teorico-politica. Un'ampia trattazione sui valori e i limiti della esperienza bordighiana è presente nella raccolta di scritti di Onorato Damen, recentemente ripubblicata dalle nostre Edizioni Prometeo. Va inoltre aggiunto che alcune questioni, per anni oggetto di intolleranti interpretazioni, sono state in parte direttamente risolte dalle più recenti esperienze storiche, confermando le posizioni conseguenti della Sinistra italiana e inficiando quelle successivamente sviluppate dal bordighismo.

Il fenomeno degenerativo merita tuttavia la massima chiarezza nella definizione delle posizioni teoriche e nella assunzione delle responsabilità politiche. Questo soprattutto nella fase attuale di una indispensabile riproposizione degli elementi di base della critica marxista e della prospettiva comunista. Perseverare negli errori, nella venerazione e applicazione di alcuni dogmi personali, senza il coraggio di una approfondita autocritica, sarebbe un pericolo troppo grave lungo il già difficile cammino che ci separa dall'obiettivo primario della ricostruzione del partito di classe.

Troppi nel passato, e non mancano al presente nuovi tentativi, sono stati gli abusati richiami a patrimoni e tradizioni di ben altro contenuto, valore e appartenenza. Da ciò la necessità di ristabilire verità e fatti sottoposti a interessate manipolazioni, rivolgendoci in particolare a quelle più giovani generazioni che si stanno avvicinando, fra mille ostacoli, alle questioni di teoria e prassi della rivoluzione comunista. La maggior parte di questi elementi di avanguardia sono all'oscuro dei poco edificanti retroscena dell'ultimo bordighismo e dei vizi d'origine delle sue più o meno "disomogenee" schegge. Lo spettacolo, tragicomico, di chi ancora si contende quel lascito intellettuale lanciandosi reciproche accuse di incoerenza, manovrismo, liquidazionismo, eccetera, rischierebbe altrimenti di proseguire in una ulteriore serie di "cicli e bilanci", irresponsabilmente vissuti e gestiti.

Infatti, con poche eccezioni, la regola generale che ha caratterizzato l'avvicendarsi delle tante divisioni registratesi fra i discepoli, è stata quella di una ripetuta e degenerante esaltazione del mito Bordiga, culminante nel reciproco rinfacciarsi di un tradimento dei precetti del caposcuola. In qualche caso personale, la concessione critica più spinta è stata quella di alcune marginali correzioni, giustificate col ricordo di precedenti silenziosi dissensi o di prudenti riserve mentali.

Dietro l'anonimato

È nel frattempo caduta la foglia di fico di un anonimato in odore di funambolismo personale, e dietro il quale Bordiga e il suo circolo di fedelissimi dell'ultima ora ostentavano una equivoca originalità rivoluzionaria.

L'esibizione di un puritanesimo rifiuto di quella che veniva definita "la peggiore forma di proprietà privata, la proprietà intellettuale", aveva in realtà trasformato l'applicazione della teoria marxista in schematiche elaborazioni, senza alcuna paternità e proprietà se non quelle della...Storia. Una storia senza nomi e con un operare teorico e pratico di ignoti, i cui risultati si presentavano alla merc‚ del primo furbo di passaggio, in grado di appropriarsene secondo il personale piacere e interesse. Un anonimato che - nella lotta contro il revisionismo e le sue falsificazioni, contro l'opportunismo e i suoi trasformismi - serviva soltanto a riparare da ogni possibile e pubblica "cantonata" proprio il genio e l'invarianza del personaggio, il demiurgo in carica, esaltando ogni sua opinione privata al pari di un superiore canone chiesastico.

Affermare, al contrario, che quella della teoria marxista e della sua applicazione è l'unica "proprietà" che il partito di classe rivendica e difende come propria e inalienabile, attraverso analisi, tesi, dichiarazioni e documenti responsabilmente firmati dai suoi membri - affermare tutto ciò significava sfidare le ire e le maledizioni, prima di Bordiga e poi di Programma. Il quale ultimo, e ancora sul n. 5 del marzo 1975, si scagliava contro "gli avvoltoi delle edizioni pirata e le prostituzioni editorial-pubblicitarie: Verrà giorno che anche questo sconcio mercato sia fatto duramente pagare"...

A infrangere la consegna bordighista furono, l'anno successivo, gli stessi epigoni che aggirarono l'ostacolo con l'uscita di alcune pubblicazioni, Iskra Edizioni, dedicate a scritti del maestro: l'accordo con la redazione di Programma Comunista consentiva ufficiosamente di svelare al pubblico l'identità dell'autore (nel 1966, l'edizione "non autorizzata" di alcuni testi sulla Russia, curata dai soliti fuoriusciti da Programma, aveva reso furioso l'ancora presente Bordiga). Si tentò comunque di coprire la deroga di principio cominciando a ridimensionare la concezione di una regola che in fondo - così spiegarono gli adepti - si prefiggeva solo di "uniformare" l'apporto individuale dei singoli secondo le posizioni, e persino lo stile letterario, dell'ex-anonimo. Quando nel partito esiste - bontà sua - un uomo dotato di eccezionali capacità teoriche, ovvero Bordiga, deve essere seguito ciecamente e imitato nelle forme stesse dei suoi ragionamenti e delle sue esposizioni scritte.

In secondo luogo, e ammettendo una delle ragioni della nostra critica a simili sotterfugi politici, si rendeva improvvisamente necessario "difendere le posizioni e l'operato politico di Bordiga", riscoperto dagli storici borghesi, ma soprattutto al centro di una concorrenziale appropriazione privata del suo lascito da parte dei gruppetti di "detriti" periodicamente eruttati dal vulcano programmista.

Ed ecco infine, espulsa dalla porta, rientrare dalla finestra sotto forma di "riferimento mnemonico" l'etichetta di un "filone storico" e di una personale "applicazione di un metodo d'analisi". Fra il mitico richiamo a blocchi inscindibili, linee rigorose, e la riproposizione meccanica delle connessioni del presente col passato, i programmisti - per esempio - fanno risalire all'autunno del 1952 l'inizio, in esclusiva a Bordiga, del lavoro di analisi teorica attorno ai "fatti di Russia". Ai giovanissimi, alle nuove leve di militanti, viene così rivelato l'autore di oltre 15 anni di "eccelse analisi e ineguagliabili tesi", nonché‚ estensore di tutti i testi di quel "partito mondiale" che tra variazioni di attributi e di tattiche lo ebbe come unico Capo, dal 1952 fino alla morte nel luglio 1970.

Ma pur tralasciando l'appunto di una denominazione formale, quella di "partito comunista internazionale", che variò il nome della organizzazione bordighista nel 1966 (e non nel 1952, come si racconta oggi) in seguito a una proliferazione di gruppi concorrenti, a questo punto un'altra domanda sorge spontanea: dove si trovava e cosa faceva Bordiga negli anni - e quali anni - che vanno dal 1930, data della sua espulsione dal Pci, al fatidico 1952?

Un ritiro a vita privata

Poiché la scomparsa politica di Bordiga si può arretrare addirittura al 1926, qualcuno ha tentato di assimilare il suo volontario isolamento, durato quasi vent'anni, alla corrispettiva separazione avvenuta nel rapporto tra comunismo rivoluzionario (teoria) e movimento operaio (politica). I due fattori della scissione diventano: la linea politica bordighiana da una parte, e quella gramsciana-togliattiana dall'altra parte. Con la seconda inevitabilmente favorita dallo sviluppo storico capitalista dell'Urss. Ma la realtà vuole che la fantomatica linea politica bordighiana dal 1926 al 1946 non sia semplicemente esistita. Si deve unicamente a tutti gli altri compagni della Sinistra italiana, operanti in Italia e specialmente all'estero, la permanenza storica di una corrente comunista rivoluzionaria - certamente richiamantesi al fondamentale apporto di Bordiga fino al '26. Al loro impegno e al loro sacrificio si deve la continuazione e lo sviluppo di una elaborazione teorica e di una attività pratica: sempre viva, sia pure nei limiti oggettivamente imposti, in termini di indirizzi e di azione politica diretta, e con la quale Bordiga si troverà a disagio o addirittura in contrasto al momento della sua ricomparsa nel 1945.

Nel particolare clima del crollo della Terza Internazionale quale centro di direzione rivoluzionaria, scriverà O.Damen:

va considerata la condotta politica di Bordiga, il rifiuto costante ad assumere politicamente un atteggiamento che potesse qualificarlo responsabilmente. Si sono così susseguiti avvenimenti politici a volte di importanza storica, che sono passati accanto a questa sdegnosa estraneità senza eco alcuna: il conflitto Trotzky-Stalin; lo stalinismo; la nostra Frazione che all'estero, in Francia e Belgio, continuava storicamente la ideologia e la politica del partito di Livorno; (la guerra civile in Spagna), la seconda guerra mondiale e, infine, lo schieramento della Russia sul fronte della guerra dell'imperialismo. Non una parola non un rigo proprio nello stesso spazio storico, su un piano più allargato e complesso di quello della prima guerra mondiale, che aveva offerto a Lenin i dati obiettivi per una analisi marxista condensata nell'Imperialismo come fase suprema del capitalismo e in Stato e Rivoluzione, i pilastri della dottrina rivoluzionaria e presupposto teorico della Rivoluzione d'Ottobre.

Questo rimane il punto focale della questione, al di là di quanto indubbiamente Bordiga ha saputo ancora dare di interessante e rilevante alla causa del comunismo negli ultimi venticinque anni della sua vita. In particolare, quando il suo contributo si è mantenuto sul piano dei ricordi storici e del commento critico alla storia del movimento proletario, e della riproposizione di alcune importanti opere di Marx e di Lenin.

Detto questo, nella valutazione dell'ultimo Bordiga ci sentiamo del tutto liberi sia dalla adulazione dei meriti, con la quale si pretenderebbe di nascondere e negare i possibili errori, e sia da ogni oltraggioso attacco alla sua figura e a quel suo primo fondamentale contributo, che rimangono in primissimo piano nella storia del comunismo rivoluzionario.

Possiamo perciò correttamente informare i giovani e i meno giovani su quello che altri tacciono o mistificano nelle opportunistiche esaltazioni del loro idolo, fornendo con il proprio atteggiamento spazio e alimento per i bassi voli degli interessati avvoltoi della controrivoluzione.

Fra le macerie della terza internazionale

L'attività della "macchina umana" Bordiga ha avuto un lungo periodo di fermo; un lungo ritiro a vita privata che non è purtroppo attribuile a una "storiografia interessata o male informata", come scrivono gli epigoni.

L'importante discorso di Bordiga al VI Plenum dell'Esecutivo Allargato della Terza Internazionale (febbraio 1926) costituisce, assieme alla denuncia della degenerazione politica in atto nella Internazionale, l'ultimo appello alla continuità e coerenza mondiale della rivoluzione proletaria:

La nostra organizzazione è simile a una piramide ed essa deve esserlo perch‚ da tutte le parti si deve confluire a una cima comune. Ma questa piramide riposa sulla sua cima e il suo equilibrio è troppo instabile. Bisogna capovolgerla.

Dal "sunto autorizzato" in Prometeo, n. 4 - 1928

Bordiga non solo confermava la linea d'opposizione della Sinistra ai risultati del Congresso di Lione del PCd'Italia (col trionfo del centrismo gramsciano), ma poneva direttamente sul tappeto il problema centrale del momento: "Dove va la Russia? Quali sono i caratteri e gli sviluppi della sua economia?". E dopo il durissimo scontro con Stalin sulla subordinazione della Internazionale al partito russo, Bordiga presenta, sempre a nome della Sinistra, l'unica dichiarazione di voto contrario alla risoluzione finale del Plenum. Nella successiva relazione di R. Grieco (passato tra le file del centro gramsciano) al C.C. del PCd'I., si legge: "Bordiga si è messo spiritualmente fuori della Internazionale comunista. La sua posizione è compromessa per sempre".

Bordiga si ritira a Napoli. L'unico suo documento politico in quei mesi del 1926 è la lettera a Korsch del 28 ottobre, dove si giustifica "il senso della realtà" presente nella tattica dell'opposizione russa di Zinoviev e Trotzky. Quindi, "bisogna ancora incassare colpi senza passare all'offensiva aperta", con l'invito alla cautela politica nei riguardi del Komintern.

A questo punto storico, Bordiga viene arrestato e confinato prima a Ustica e poi a Ponza, che lascerà alla fine del '29. Nel marzo del 1930 viene espulso dal PCd'I. Vani furono i tentativi dei compagni della Frazione di Sinistra, costituitasi all'estero nel 1927, e l'interessamento dello stesso Trotzky per convincerlo a espatriare: il suo rifiuto fu netto.

Appartarsi e attendere" diventerà la sua posizione politica personale; un completo disimpegno e una superiore estraniazione da quanto accadeva in Italia e in campo internazionale.
Bordiga venne naturalmente sottoposto a una stretta sorveglianza dalla polizia fascista fino al giugno del 1934. In seguito questo controllo si farà sempre più discreto man mano che lo stesso Bordiga, dopo aver ripreso l'esercizio della professione di ingegnere edile (spostandosi per lavoro da Napoli a Ponza, Formia e Roma) dimostrerà col proprio comportamento di essersi ritirato politicamente nell'ombra totale.
Con l'avanzare dei liberatori anglo-americani dopo il loro sbarco in Sicilia e poi nella penisola, e di fronte a un certo fermento di contestazione delle posizioni e delle parole d'ordine portate avanti da Togliatti e dai suoi accoliti, Bordiga persisterà nel suo personale isolamento. A chi, nei primi mesi del 1944, tenta di convincerlo ad assumere la direzione della dissidenza di sinistra, Bordiga risponde di pazientare, rimanendo se possibile ancora all'interno del partito di Togliatti. In questo stesso periodo la direzione del Pci si scaglia contro i "seguaci" di quello che fu il principale fondatore del "vecchio" partito: "La posizione di questi compagni non ha nulla in comune col marxismo-leninismo. Nella posizione di questi compagni vi sono anzi dei punti di contatto con le posizioni anti-leniniste del traditore Bordiga cacciato dal Partito nel 1930, il quale a furia di fraseologia sinistroide ha finito col diventare aiuto e alleato del fascismo.
-- Da un opuscolo del Pci: Ai Comitati Federali (1)

Nel 1938, a Parigi, Togliatti aveva scritto: "Bordiga vive oggi tranquillo in Italia come una canaglia trotzkista, protetto dalla polizia e dai fascisti, odiato dagli operai come deve essere odiato un traditore". E su Rinascita dell'aprile 1945 lo stalinista F.Platone scriveva:

Attorno all'ingegner Bordiga si è formata, soprattutto dopo il 1926, un'accolta di avventurieri che, fatto dell'anticomunismo il proprio cavallo di battaglia, non ha tardato a esprimere dalle sue file ogni sorta di sabotatori del movimento proletario, provocatori e agenti stipendiati dall'Ovra, manigoldi, ecc..

Intanto Bordiga si limitava a brevi scambi di idee con qualche vecchio amico e compagno, tenendosi alla larga da ogni contatto - anche se richiesto - coi primi gruppi di operai e intellettuali che si andavano qua e là formando in una confusa opposizione al nuovo Pci, e a seguito di qualche locale scissione su posizioni di richiamo a tradizioni anarchiche, social-massimaliste o addirittura e vagamente bordighiane.

È il caso della Frazione di Sinistra dei comunisti e socialisti italiani a Napoli, con i suoi riferimenti alla tradizione della Frazione comunista astensionista del 1919. La Frazione di Sinistra nel Meridione si costituì agli inizi del 1944 con punti di riferimento ideologici e politici richiamantisi alla Sinistra italiana, ma con molte ombre, quali per esempio quelle sui rapporti col Pci e sulla costruzione del nuovo partito. Dai suoi organi di stampa nel Centro e nel Meridione (Il Proletario, La Sinistra Proletaria, L'Avanguardia) traspariva un atteggiamento attendista e si palesava, prima, l'intenzione di un raddrizzamento dei partiti operai esistenti o addirittura di un lavoro della Frazione al loro interno; poi, si finiva con l'inneggiare al Partito Comunista Internazionalista, dal 1943 già operante al Nord.

Bordiga non fu del tutto estraneo alla Frazione meridionale; nei primi mesi del '45 viene pubblicato un opuscolo, Per la costituzione del vero Partito Comunista, redatto da R.M.Pistone e da L.Villone (quest'ultimo passato in seguito al movimento trotzkista), e con un contributo dello stesso Bordiga. Anche in questo documento, risalente al marzo-aprile del 1945, si tendeva "a sviluppare all'interno dei partiti socialisti e comunisti un lavoro continuo di chiarificazione ideologica", in vista dell'inizio di una situazione rivoluzionaria tale da rendere possibile la trasformazione della Frazione in partito. E ai compagni del Sud che gli chiedevano indicazioni pratiche, Bordiga aveva già risposto consigliando loro di intervenire al Convegno di Bari del Pci (gennaio 1944).

L'incontro con il P.C.Internazionalista

Una vita politica più attiva da parte di Bordiga, ma sempre entro i limiti di un parziale impegno e senza alcuna diretta responsabilità, si comincerà a manifestare solo quando il Partito Comunista Internazionalista, costituitosi al Nord nel 1943, riuscì ad allacciare con lui i primi contatti che consentirono finalmente ai compagni della Sinistra una diretta conoscenza del suo pensiero. Fra qualche dubbio e qualche indecisione, nel giugno del 1945 era intanto avvenuto lo scioglimento della Frazione meridionale, e una parte dei suoi militanti aveva aderito al P.C.Internazionalista.

Bordiga, dalla seconda metà del '45 in poi, non va comunque oltre una partecipazione e una collaborazione quasi anonima all'attività del partito, limitandosi cioè a un ruolo di consigliere politico, di collaboratore alla stampa e a un primo riordino teorico delle fondamentali posizioni marxiste. In queste sue prese di posizione, successive al lungo silenzio di più di tre lustri, in Bordiga trasparivano alcune incertezze e fragilità di impostazione politica.

Scriverà ancora O.Damen:

Il suo discorso divergeva dal nostro (quando si faceva ispiratore di un indirizzo di politica generale non sempre coincidente con quella del partito) anche se, grosso modo, il metodo di analisi fosse quello di sempre. Sosteneva che non si dovesse parlare dell'economia russa in termini di Capitalismo di Stato ma di Industrialismo di Stato; non di rivoluzione socialista, quella di Ottobre, ma di rivoluzione anti-feudale e quindi di una economia che tendeva al capitalismo. Ma non sembrava molto convinto di quello che affermava e le rettifiche che ha dovuto apportare poco tempo dopo al suo pensiero ne sono la conferma.

Il primo documento politico inviato da Bordiga al C.C. del P.C.Internazionalista risale al 1945. Il progetto di una Piattaforma politica fu presentato con gli abituali termini "ultimativi" per la sua accettazione; non fu però ritenuto compatibile con le posizioni adottate dal partito e quindi modificato dallo stesso Bordiga. Pur nella sua seconda stesura, quella Piattaforma venne considerata solo come un contributo al dibattito. (Per una approfondita analisi del documento, vedi la Introduzione a Documenti della Sinistra Italiana, Edizioni Prometeo - 1974)

Vi apparivano fra le righe qualche debole puntualizzazione e qualche errore di prospettiva politica, come per esempio una sottovalutazione del ruolo reazionario della socialdemocrazia. E non solo per ciò che riguardava il futuro, ma anche nella valutazione del ruolo esercitato prima e durante la guerra, con l'antifascismo e il partigianesimo. Quanto all'atteggiamento verso la realtà russa, va detto che Bordiga sfuggiva a una definizione precisa e complessiva, evitando di trarre le debite conclusioni politiche (ruolo chiaramente imperialistico giocato dall'Urss). La questione sindacale veniva poi liquidata col semplice richiamo alla necessità di un cambio della guardia ai vertici Confederali, e attraverso la conquista maggioritaria delle direzioni. Una posizione che il successivo Congresso di Firenze (1948) non approvò, indicando invece i punti qualificanti di quella che da sempre è stata ed è la posizione dei comunisti internazionalisti sul sindacato (vedi Strumenti di Battaglia comunista, n. 3: Lotte economiche e intervento del partito di classe).

Le nostre divergenze, in apparenza marginali, con alcune delle posizioni esternate da Bordiga in quel periodo, si trasformeranno purtroppo e ben presto in uno scontro diretto con lo stesso compagno e con i suoi più ossequienti fiancheggiatori, Questi ultimi erano intanto passati dalla fase dei sottintesi, delle allusioni velate e delle perifrasi a quella di un dichiarato disfattismo politico e organizzativo.

Va ricordato che Bordiga non era neppure iscritto al partito: non partecipò mai direttamente all'organizzazione e alle attività del partito; fu volutamente assente al Convegno di Torino (1945) e al Primo Congresso di Firenze (1948), nonostante le fraterne sollecitazioni e i telegrammi inviatigli dai compagni. Quel medesimo atteggiamento di rifiuto e di condanna di ogni attività, allora clandestina, e che aveva caratterizzato tutto il periodo del suo ritiro privato, riaffiorerà per buona parte in Bordiga dopo la caduta del fascismo e fino al 1951. A questa data esplode apertamente il dissenso sulle vitali questioni del partito, della analisi della Russia e dei centri dell'imperialismo, delle direttive sindacali, delle lotte di indipendenza nazionale. Attraverso la voce dei suoi fedelissimi, Bordiga aveva più volte manifestata l'opinione di una liquidazione di "quel" partito, per lui eccessivamente "attivista". Troppi, sempre a suo dire, erano gli "scarponi" presenti; troppa "la faciloneria, la fregola del fare, l'attivismo che svaluta la teoria". Meglio ritornare a un più limitato ruolo di frazione e a un disinteressamento verso l'azione politica (roba da "rinnegati") e la lotta sindacale. La partecipazione dei militanti internazionalisti alle lotte operaie era, per Bordiga, "un problema personale" e, nella attesa della rinascita del sindacato classista, rimandava a una graduatoria di "tipi di sindacato" la soluzione del "problema contingente di partecipare al lavoro in essi ovvero di tenersene fuori da parte del partito comunista rivoluzionario" (Tesi del 1951 sul Partito e azione economica. Vedi in proposito la Introduzione alla raccolta dei Documenti del Convegno di Torino - 1945 e del Congresso di Firenze - 1948, e il n. 3 dei Quaderni di Battaglia comunista, dedicato alla scissione internazionalista del 1952).