Conservatori - D'Amato e Cofferati a confronto sulla pelle dei proletari

A prima vista la polemica tra il segretario della Confindustria che accusa il segretario della Cgil di conservatorismo e viceversa ha del grottesco. In realtà di grottesco non c'è assolutamente nulla se non che i due fronti della conservazione, diseguali per ruolo ma non per funzione, ritengono di essere i più conseguenti interpreti della vita economica nell'interesse comune, cioè della "azienda Italia", che arranca nella sempre più esasperata conflittualità capitalistica internazionale.

Conservatore è chi, accettando i rapporti di produzione vigenti, ne interpreta in senso economico e politico le conseguenze, assecondandone le istanze sul terreno operativo. In questo senso non c'è differenza tra le due parti in causa se non nelle forme e nelle giustificazioni che cambiano a seconda del ruolo sociale e del referente politico, ma veniamo al contenzioso.

L'arrembante neo presidente della Confindustria, che nel suo discorso di insediamento ha suscitato tanto clamore, in realtà non ha detto nulla di nuovo. Da buon borghese, con grinta e determinazione, ha chiesto allo stato più soldi sotto forma di incentivi e di sgravi fiscali, si è lamentato del governo che, a suo dire, non ha fatto abbastanza per consentire agli industriali di essere competitivi sul mercato internazionale né di creare le condizioni per favorire gli investimenti esteri. Ha sottolineato come la ripresa in Italia sia più lenta del resto dell'Europa, imputandone la responsabilità ai fattori precedentemente esposti, con l'aggiunta, e qui ha introdotto il tema centrale delle sue richieste, dell'inderogabile maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Flessibilità in entrata ma soprattutto flessibilità in uscita, ovvero libertà di assumere a tempo determinato e a salari inferiori rispetto a prima, e libertà di licenziamento senza vincoli normativi di sorta che, sempre a suo dire, renderebbero l'economia italiana meno competitiva rispetto al resto dell'Europa. In coda al problema della flessibilità D'Amato sferra un duro attacco ai sindacati, Cgil in testa, colpevoli di non essere adeguati ai tempi, di navigare su vecchie rotte, di essere cioè dei conservatori di un modo di analizzare le dinamiche economiche contemporanee, e quindi di essere conservatori in tema di politiche contrattuali.

Al di là delle strumentalizzazioni e delle falsità, non è vero che il costo del lavoro in Italia sia alto, anzi è tra i più bassi d'Europa; non è vero che governo e sindacati non si siano dati da fare sul terreno della flessibilità del mercato del lavoro: i dati recitano che la flessibilità in Italia è superiore alla Francia e alla Germania e seconda solo all'Inghilterra e agli Usa, quello che preme sottolineare è la risposta che Cofferati ha ritenuto di dover dare al presidente della Confindustria.

Il segretario della Cgil ha reagito rimandando al mittente l'accusa di conservatorismo come se il rapporto tra capitale - forza lavoro e sindacati si esaurisse in una mera questione terminologica. "Non siamo noi i conservatori" dichiara Cofferati, bensì gli imprenditori che pur realizzando un fiume di profitti " questi non vengono reinvestiti, ma prendono la via della rendita...I profitti vanno reinvestiti nell'impresa, perché altrimenti non c'è lavoro né innovazione. È esattamente quello che sta accadendo nell'impresa italiana". Ovviamente per Cofferati in discussione non sono i profitti né le condizioni infami per realizzarli, ma il rapporto tra investimenti e rendita. Del rapporto tra capitale e lavoro solo un accenno quando rintuzza le irriconoscenti accuse di D'Amato sulla flessibilità. "Anche qui siamo alle solite. Di flessibilità regolata ne abbiamo introdotta tanta, e con risultati importanti. Ci siamo dotati di istituti e di strumenti contrattuali nuovi. La controparte che cosa ha fatto nel frattempo? C'è un diritto societario riformato? Ci sono nuove regole di trasparenza sul mercato dei capitali? Parlano di flessibilità e pensano sempre e solo agli altri. Si riempiono la bocca con il termine mercato, privatizzazioni, liberalizzazioni. E poi D'Amato in 46 pagine non trova il modo di dedicare un rigo al problema della benzina". In questa dichiarazione c'è tutto il senso del sindacalismo contemporaneo. Non un riferimento alla barbarie contrattuale che pesa sulle spalle dei lavoratori. Non un cenno alla precarietà del lavoro, allo smantellamento dello stato sociale e alla riforma del sistema pensionistico che penalizza i vecchi lavoratori ed esclude completamente quelli giovani. Anzi, a proposito di flessibilità Cofferati gioca al contrattacco sul termine di conservatore. Mentre voi imprenditori non avete fatto la vostra parte sul terreno degli investimenti e della riforma del diritto societario, noi sindacati ci siamo dati da fare, " di flessibilità regolata ne abbiamo introdotta tanta". Solo il pudore, ammesso che ne abbia ancora, non gli ha consentito di recitare il rosario delle misure anti operaie prese con il consenso del sindacato; lo facciamo noi per lui. In poco più di cinque anni sono passati i patti territoriali, i contratti d'area, il lavoro interinale, i contratti a termine. Il tutto a salari mediamente inferiori del 30%, con una mobilità in uscita, leggi licenziamenti, che nonostante l'insuccesso dei referendum e la formale non accettazione da parte dei sindacati, vede già pronto un disegno di legge in Parlamento, che come tutte le altre leggi anti operaie, finirà per passare con meno clamore e con il solito mugugno della triade confederale. Il pudore di Cofferati non cancella il servizio puntuale e "responsabile" che ha soccorso e sostenuto il capitale italiano. Né attenua le conseguenze dell'attacco borghese alle condizioni contrattuali, salariali e sociali del proletariato. Se il capitale ha potuto fare questo è perché il sindacato ha gestito nel cuore del mondo del lavoro ogni singolo passo, ha previsto ogni possibile risposta, facendo in modo che ad ogni pesante colpo inferto agli interessi proletari non corrispondesse una reazione uguale e contraria. Al capitale il compito di dettare i termini dell'attacco, al sindacato la responsabilità di farli digerire alla classe operaia senza disordini, in nome della pace sociale tanto cara al mondo della borghesia.

Se le cose sono andate in questi termini, perché tanta polemica tra D'Amato e Cofferati? L'unica lettura possibile è che nel quadro della conservazione le due parti devono giocare fino in fondo i rispettivi ruoli. La Confindustria spinge l'acceleratore sino ai limiti massimi dell'ottenibile, il mondo del sindacato, se vuole mantenere ancora un ruolo politico all'interno dei lavoratori, deve fingere un atteggiamento di contrapposizione che, sul piano formale gli consenta di salvare quella parte di faccia che ancora gli rimane nei confronti dei lavoratori, e su quello concreto di continuare a svolgere la funzione di esecutore delle politiche di conservazione del capitale. Che le cose stiano in questi termini lo testimoniano le dichiarazioni di Amato, Berlusconi e dello stesso D'Amato in interventi successivi al suo discorso di insediamento ai vertici della Confindustria. Solo la concertazione, ovvero l'accordo con i sindacati, potrà portare a compimento la riforma sulle pensioni, la flessibilità in uscita, lo smantellamento pressoché completo dello stato sociale. Solo attraverso il ruolo dei sindacati sarà possibile tentare di avere a disposizione una forza lavoro, mobile, flessibile, assumibile quando occorre, licenziabile quando è necessario e ad un costo basso da rendere interessanti gli investimenti. Questo lo sa la borghesia, perché è di questo che vive e prospera, lo sanno i sindacati che su questo hanno costruito il loro ruolo politico nelle vesti di contenitori della rabbia proletaria. Chi sembra non aver ancora chiari i termini della recita conservatrice è proprio il proletariato.

Se la ripresa della lotta di classe stenta, se la coscienza di classe è stata quasi azzerata, se a fronte dell'attacco borghese alle condizioni del lavoro tentenna e subisce senza reattività politica, è anche colpa di decenni di impunito sindacalismo che è riuscito a convincere i lavoratori che sottostare alla richieste del capitale non è una sconfitta ma una necessità di sopravvivenza. Che accettare le politiche dei sempre più pesanti sacrifici è il prezzo da pagare per tempi migliori, anche se questi non arriveranno mai.

Perché si esca da questo circolo vizioso, dove il rapporto tra capitale e forza lavoro non solo è considerato eterno, e mutabile solo a favore del capitale, ma sancito e benedetto dalle stesse forze sindacali, occorre che il primo obiettivo a cui deve tendere la classe lavoratrice è quello di riproporsi quale classe antagonista. Antagonista sì contro il capitale, sì contro la borghesia che ne è l'espressione politica, ma anche contro il sindacalismo che ne rappresenta la gestione nel cuore del mondo del lavoro. Se non si compie questo primo atto, se non si abbatte il primo diaframma tra gli interessi del capitale e quelli proletari, la coscienza di classe, così come la ripresa delle lotte avranno ancora da attendere. Ci saranno nuovi D'Amato, dei rinnovati Cofferati, altri governi di centro sinistra che tesseranno le loro ragnatele in nome dello sviluppo e della pace sociale, si riproporranno i due termini della conservazione senza che un sussulto proletario li metta in discussione.

fabio damen

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.