Ecuador: tra dollarizzazione e utopie riformiste, chi paga è sempre il proletariato

Recentemente il paese sudamericano dell'Ecuador è diventato la "cavia" per gli esperimenti del capitalismo internazionale e, allo stesso tempo, è stato l'epicentro di un terremoto sociale che ha attirato l'attenzione del mondo.

In Ecuador, gli equilibri politico-sociali su cui poggiava il regime si sono rotti.

Un'era di globalizzazione economica e di conflitto sociale è subentrata al lungo sogno della protezione statale e dell'apparentemente inamovibile mondo semi rurale rinchiuso in sé stesso e piccolo borghese.

Il maggior agente corrosivo della governabilità della borghesia ecuadoriana è stata la recessione e i suoi effetti rovinosi, insieme al processo di dollarizzazione dell'economia del paese cominciato in gennaio. Con questo provvedimento il governo di Jamil Mahuad intendeva liberare l'Ecuador dalla crisi monetaria. Dopo aver adottato un tipo di cambio flessibile, nel febbraio dell'anno passato fino all'inizio del 2000, il sucre perse più del 70% del suo valore rispetto al dollaro. La malattia della moneta nazionale arrivò all'acme al principio del mese di gennaio, quando subì una svalutazione senza precedenti: infatti, in meno di una settimana la quotazione del dollaro passò da 7.000 a 25.000 sucres.

Già dai tempi dell'amministrazione dello spodestato Abdalà Bucaràm, era notorio che la crisi mondiale avrebbe provocato un crollo economico. L'Ecuador è un piccolo paese che esporta materie prime, ha il maggior debito estero del continente, rispetto al PIL del paese, e possiede un patrimonio statale in beni privatizzabili di pochissimo valore. Nell'anno precedente la bilancia dei conti correnti e del deficit fiscale passarono il loro peggior momento in seguito alla caduta del prezzo internazionale del petrolio e alla crisi brasiliana. Tra dicembre 1999 e gennaio/febbraio 2000 uscirono dall'Ecuador circa 17 miliardi di dollari. Già da tempo si sapeva che attraverso le banche "Off shore" (succursali di banche nazionali all'estero) si effettuavano massicci trasferimenti di capitali e si praticava l'evasione fiscale. In generale, i conti in queste banche hanno sempre operato come potenziali meccanismi di sub-fatturazione delle esportazioni: gli esportatori starebbero dichiarando valori inferiori a quelli realmente esportati e, dunque, non venderebbero tutti i dollari in possesso come la legge prescrive.

Così, quindi, l'esaurimento delle riserve, le pratiche in uso nel settore esportatore e il fatto che il pubblico non ama conservare i propri risparmi in questa moneta, hanno condotto l'Ecuador a un forte squilibrio monetario. Il paese sprofondò nell'impossibilità di pagare il suo debito pubblico estero, il cui ammontare ascendeva a 16 miliardi di dollari. I recenti rialzi del prezzo internazionale del petrolio hanno avuto appena un effetto palliativo, non avendo ancora contribuito alla ripresa. Inoltre, bisogna tener conto dell'azione speculativa contro la moneta. La principale è venuta proprio dalle banche ecuadoriane. Senza prospettive di investimenti sufficientemente redditizi nei settori produttivi, i grandi capitalisti hanno preferito, durante l'anno passato e al principio del presente, contrarre debiti in sucres, persino a tassi usurari, per comprare dollari che in seguito migreranno all'estero o saranno rivenduti. Questo procedimento ha procurato guadagni milionari a banchieri ed esportatori, senza fare altro che comprare dollari all'inizio dello scorso mese di dicembre e guadagnare in gennaio diecimila sucres per ogni dollaro. Però il mezzo ha in sé stesso il proprio limite. Infatti, questo modo di agire ha provocato durante l'ultimo anno ondate svalutative senza precedenti.

Le azioni contrastanti del Banco Central (vendita di riserve valutarie), aventi lo scopo di preservare la quotazione della moneta, non hanno frenato l'erosione della stessa e, per contro, hanno accentuato la perdita di divise. A sua volta, il crollo della quotazione della moneta ha accelerato l'inflazione e approfondito la recessione. Per difendersi dalle continue e brutali perdite del potere d'acquisto, le catene di grandi magazzini e il commercio all'ingrosso già dall'anno scorso hanno cominciato a fissare i loro prezzi in dollari e, in alcuni casi, a esigere il pagamento con questa moneta.

Immediatamente, se consideriamo che una frazione considerevole dei beni di consumo di massa e degli investimenti in beni industriali sono importati, se pensiamo che molti dei servizi pubblici (telefoni, fax, Internet) dipendono dai prezzi internazionali fissati in dollari, dobbiamo dedurre che l'inflazione cresce in modo esponenziale e, pertanto, che la produzione e il consumo ricevono ogni giorno stimoli negativi. La causa di ciò risiede nella simmetria dei fenomeni di svalutazione della moneta nazionale e di rivalutazione della divisa principale.

D'altra parte, le misure adottate dal governo per salvare il suo sistema finanziario, precipitato nella crisi, come il congelamento fino al 50% dei conti correnti e dei risparmi nel lasso di un anno, sono state controproducenti. Mahuad avrebbe consegnato 1.5 miliardi di dollari delle riserve dello stato a una banca i cui proprietari rubarono i fondi dei depositanti. Secondo calcoli del Banco Central dell'Ecuador, per l'anno 2000 occorreranno 1687 milioni di dollari addizionali per una grande operazione di salvataggio bancario, sempre che le circostanze non obblighino a darli in garanzia a banche ubicate nella categoria "A" (1).

Considerando l'elevato deficit fiscale, un simile passivo significherà nuove eccessive emissioni monetarie che ascenderebbero, secondo stime dello stesso Banco, quasi al 400%, il che garantisce l'entrata in un processo iperinflazionistico anche se i portavoce del governo dicono di voler evitare. Tutto ciò ha accentuato la recessione, la più profonda degli ultimi anni. Nello scorso anno l'inflazione ha raggiunto il 67%, la disoccupazione il 17% e il PIL è caduto del 7.5%. Questi indici obbligarono a dichiarare una moratoria del debito estero del paese. Alla disoccupazione si somma un indice crescente di povertà, che interessa il 62.5% della popolazione. Inoltre, alcune misure deflazionistiche adottate dal governo come la restrizione del credito o fenomeni puramente reattivi come l'innalzamento dei tassi di interesse a livelli inimmaginabili, hanno contribuito ad accentuare il circolo vizioso della depressione. Con queste condizioni e con l'impatto delle misure d'austerità adottate, le quali trasferivano il costo della crisi e del recupero economico sui lavoratori, si scatenò la rivolta delle masse.

La dollarizzazione e i nodi della contesa interborghese: la borghesia si divide

Durante l'amministrazione Mahuad la borghesia ecuadoriana si è divisa. Nessun altra cosa come questa divisione ha messo in evidenza l'attuale stato del proletariato come vittima della sua propria incapacità storica di elaborare un progetto sociale autonomo e di costruire il suo proprio strumento strategico di lotta. La massa lavoratrice è diventata un oggetto dello scontro delle differenti bande capitaliste che premono per conquistare una posizione egemonica nella determinazione delle politiche pubbliche.

Dove stanno le basi delle attuali rivalità? Gli sforzi del governo Mahuad per negoziare un nuovo "aggiustamento economico" con il FMI destinato a "recuperare la fiducia dei mercati internazionali" non solo hanno implicato la continuazione della brutale offensiva contro i salariati - che hanno reagito scendendo nelle piazze - ma anche praticamente il sacrificio di settori importanti della borghesia locale alle richieste del capitale finanziario, i creditori esterni e un insieme di imposizioni insopportabili. I tentativi di aumentare del 50% l'IVA, la triplicazione del prezzo del combustibile durante l'anno precedente e, soprattutto, l'inizio del processo di dollarizzazione, hanno suscitato un movimento borghese di opposizione alle conseguenze recessive delle misure ufficiali. Questi settori hanno indossato la casacca del nazionalismo e si esprimono tanto nel mondo delle istituzioni (in particolare nel parlamento, dove hanno bloccato molte iniziative dell'esecutivo), quanto nei movimenti della piazza. La loro esigenza centrale è imporre una moratoria del debito estero, respingere la dollarizzazione e conservare la sovranità nei confronti del FMI, di fronte al timore che il suo intervento sia così catastrofico come quella prodottosi nel Sud-Est asiatico..

Sebbene la ribellione delle masse esiga misure unitarie da parte del blocco dominante, la borghesia non ha potuto mettere da parte le sue differenze; ciò è comprensibile: non esistono le irresistibili seduzioni di un futuro pieno di imminenti guadagni. Certamente, i grandi partiti parlamentari - rappresentanti del capitale monopolistico - rinnovano le alleanze politiche in un già indocile Congresso e unanimemente condannano la protesta popolare come "sovversiva, antidemocratica e destabilizzatrice del regime"; ma le loro dichiarazioni di concordia hanno scarso effetto per quanto attiene alla difesa degli interessi della "classe media" ecuadoriana, che si raggruppa nelle organizzazioni della democrazia radicale. Per alcuni le differenze di impostazione intorno ai meccanismi che conviene imporre per assicurare uno sfruttamento redditizio della popolazione lavoratrice e sopra al maneggio dell'apparato statale non sono per niente superficiali: sono una questione di vita o di morte. La causa profonda del conflitto borghese risiede nei parametri macroeconomici che segneranno la direzione del paese nei prossimi anni. Mentre la borghesia finanziaria e i suoi partiti uniscono le loro forze per dar corso alle politiche e alle leggi orientate dal Fondo Monetario Internazionale, i gruppi dissidenti si raccolgono intorno all'illusione di eternare lo stato sociale e protezionista.

Le divergenze nel fronte borghese sono già state poste in modo palese dalla polemica scatenata l'anno scorso tra il Banco Central dell'Ecuador - che presentò la sua Proposta di Politica Economica di fronte alla Crisi, Appunti di economia n. 7 - e il governo della Democracia Popular. In tutta evidenza, il BCE non aveva interessi né proposte riguardo la dollarizzazione. Nel documento citato non si segnalano né la convertibilità né la dollarizzazione come alternative attuali o future, al contrario, tra le proposte si menziona la necessità di premiare le transazioni in sucres. Il Banco si oppose all'innalzamento dei tassi di interesse rappresentando questo un guadagno poco apprezzabile rispetto al circuito economico complessivo e una ripercussione positiva solo per un segmento specifico del settore bancario.

A ragione il governo di Mahuad (il cui partito, Democrazia Popolare, curiosamente si fregia del nome che serve da bandiera ai suoi oppositori) è stato giudicato una Bancocrazia. I suoi oppositori, i membri del BCE, furono licenziati. La sua dichiarazione che:

iniziative come quella della Superintendencia de Bancos, della Companias e Corporaciòn Financiera Nacional, basate su processi di riciclaggio finanziario, titolarizzazione e capitalizzazione avrebbero come ultima risorsa il deficit fiscale o quasi-fiscale, senza che necessariamente rianimino l'apparato produttivo...

costituì un vero "casus belli" tra le componenti statali e liberali del capitale monopolistico e tra la media-piccola industria e la speculazione finanziaria. In questo stesso ordine di idee, la giunta del BCE riteneva gravi le conseguenze derivate dall'innalzamento dei tassi di interesse, come molto costose le proposte di riprogrammazione del debito privato. Inoltre, segnalava le sue scarse possibilità di stimolare la ripresa dell'apparato produttivo, visto che gli imprenditori di fronte all'alternativa di comprare dollari o investire le loro riserve nella produzione, dato il calcolo di profittabilità, preferivano la prima alternativa.

Pro e contro della dollarizzazione: la Sinistra e la Destra come espressioni politiche della borghesia

La sinistra, raggruppata nel cosiddetto "Frente Patriotico", pretende di spiegare alla borghesia che la dollarizzazione non può essere applicata perché:

  1. Implica una riduzione del campo di manovra, eliminando il meccanismo della svalutazione monetaria come alternativa all'intervento economico per compensare perdite o aumentare il tasso di profitto.
  2. Significa la rinuncia alla sovranità, dunque, che il paese dipenda da ciò che gli USA fanno con il dollaro, mentre si dovrà consultare o chiedere autorizzazione al governo e alla banca centrale degli Stati Uniti, come unico emittente dei dollari nordamericani, per tutto ciò che ha a che fare col movimento monetario in Ecuador.
  3. Scomparendo il Banco Central, come istituto emittente, la AGD (2) perde il fornitore di banconote da devolvere ai depositanti, il che spiega perché i governi propongano una riprogrammazione dello scongelamento dei depositi e la restituzione di quelli che raggiungono un ammontare massimo di cento milioni di sucres (quattromila dollari), mentre quelli che stanno al di sotto di questa cifra saranno restituiti entro sette e dieci anni. In altri termini, con ciò si consuma un nuovo furto per favorire i banchieri.
  4. I piccoli produttori e la piccola impresa, che coprono la domanda del consumo interno, saranno severamente colpiti dalla caduta del potere d'acquisto della popolazione e dalla fatto di dover affrontare una concorrenza impari coi prodotti d'importazione.
  5. Oltre a ciò, l'economia ecuadoriana rivolta alle esportazioni, si trova più vulnerabile di fronte al cambio nel mercato internazionale, il che sarà contrastato con una maggiore austerità salariale, imposte, aumento del prezzo dei combustibili ecc.
  6. I prezzi dei prodotti e dei servizi si adegueranno ai livelli internazionali. Dall'altro lato, per attrarre gli investimenti, si ricorrerà alla flessibilità della forza-lavoro, che, tra le altre cose, impone il salario a cottimo e l'unificazione salariale.
  7. Com'è ovvio, per ritirare dalla circolazione il sucre e sostenerlo con le riserve monetarie, riprogrammare i passivi delle imprese ed eseguirlo secondo le nuove modalità di scongelamento dei depositi (senza una banca centrale che stampi banconote), il governo conterà sulle divise provenienti dalle esportazioni, sulla maggiore apertura e sulle facilitazioni per gli investimenti stranieri e sull'indebitamento estero e, siccome tutto questo sarà insufficiente e insicuro, la dollarizzazione si accompagnerà alla privatizzazione delle imprese di stato, con il che, le risorse provenienti dalla stessa serviranno da cassa per il minuto mantenimento del governo e per fomentare la corruzione.

Secondo la destra, a causa delle sue scarse riserve finanziarie, l'Ecuador dovrebbe seguire l'esempio del Montenegro e introdurre gradualmente la dollarizzazione, cominciando con un sistema monetario parallelo. L'obiettivo potrebbe essere raggiunto permettendo che il sucre mantenga il suo stato attuale di moneta legale e congelando la sua offerta ai livelli attuali. Questo richiederebbe una nuova legge che proibisse al Banco Central di emettere nuovi obbligazioni in sucres. Inoltre, la nuove legge renderebbe legale il dollaro e permetterebbe che insieme al sucre tutte e due le monete possano fluttuare liberamente senza interferenza del governo. Il sucre, in questo contesto, tende a scomparire e si stima che sarà utilizzato per piccole transazioni, interessando appena il 15% del circolante. Utilizzando la riserva monetaria liquida, il Banco Central deve ritirare tutti i sucres e cambiarli con dollari in base alla quotazione stabilita di 25.000 sucres per dollaro. Da parte sua, la destra pensa che con questo aggiustamento in Ecuador si imporrebbe automaticamente l'obbligo di rispettare un bilancio rigoroso.

Infatti, il Banco Central sarà liquidato: non solo non ci sarà più emissione di nuove obbligazioni, ma nemmeno si potrà estendere il credito alle autorità fiscali, alle imprese statali e alle banche. In questo modo, si porrebbe fine alle emissioni eccessive e alle altre forme di creazione di moneta di credito che con l'aumento dell'offerta monetaria in un'economia strutturalmente dipendente - la cui dinamica è soggetta ai movimenti del centro del circuito economico internazionale - non determinano una aumento della produzione - espandendo la domanda aggregata - ma fanno ricadere i loro effetti sui prezzi.

Il fatto che perda il monopolio sopra la moneta e la sua facoltà esclusiva di emettere sucres, farà sì che il BCE scompaia o diventi un semplice cassiere del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, riducendo le sue funzioni a transazioni interbancarie o a essere agente pagatore del fisco. Di conseguenza, la crisi monetaria dell'Ecuador si interromperebbe immediatamente e i suoi politici irresponsabili si vedrebbero costretti ad attuare seriamente le riforme economiche che avrebbero dovuto essere realizzate molto tempo prima. La dollarizzazione attraverso un sistema di moneta parallela per l'Ecuador sarebbe tecnicamente fattibile. Resta da vedere se è politicamente praticabile.

Un esempio concreto del carattere reazionario della contesa: la condizione proletaria di fronte ai meccanismi economici prima e dopo la dollarizzazione

Certamente, utilizzando il meccanismo della svalutazione monetaria, la borghesia conserverebbe la competitività dei prodotti di esportazione, riducendo o mantenendo stabili i prezzi dei suoi prodotti e svalutando la moneta; in questo modo sarebbero gli operai e i fornitori nazionali che assorbirebbero l'impatto di quelle misure. Che succede ora?

I capitalisti cercheranno di rendere più efficienti le loro imprese. La fine del vecchio sistema monetario li obbliga a dare più importanza ai costi. Come si sa, costoro si dividono in costo dei mezzi di produzione e costo della manodopera. Se non si ottiene una riduzione dei primi, acquistandoli a minor prezzo (e nel contesto attuale è ben più previsto un aumento dei medesimi), nuovamente il bersaglio da colpire dalla politica economica sarà la classe operaia.

In questo campo ci sono le alternative offerte dalla cosiddetta "flessibilizzazione" della forza-lavoro. Le principali già vennero adottate durante l'amministrazione di Rodrigo Borja della Sinistra Democratica. Già in quel periodo furono eliminate o riformate le leggi che facilitavano l'organizzazione operaia, si introdusse l'instabilità del posto di lavoro, fu reso possibile un calcolo ridotto delle liquidazioni, il lavoro part-time e altre misure. Con queste e, specificamente, con l'instaurazione del pagamento a ora, il grado di sfruttamento e di potere dei capitalisti sopra gli operai è stato incrementato. Quest'ultima misura risulta particolarmente profittevole per il capitale, grazie al fatto che sopprime i tempi morti, il pagamento dei salari indiretti e differiti come la sicurezza sociale, fondi di riserva, tredicesime, ore straordinarie e altri diritti. Come se non bastasse, il tempo di lavoro accumulato renderà impossibile l'esercizio di certi diritti come la pensione, mutui, l'attenzione alla salute ecc.

Ricordiamo, anche, che la dollarizzazione ecuadoriana è una risposta estrema alla crisi articolata in una politica monetaria restrittiva. L'obiettivo è ridurre l'inflazione (sopprimendo le emissioni eccessive e diminuendo al massimo la spesa pubblica) ottenere un'eccedenza della bilancia dei pagamenti e fare in modo che la moneta si apprezzi. Come il livello dei prezzi si relaziona funzionalmente con la quantità di denaro in circolazione, così la politica economica del governo favorirà quelle situazioni che implicano un aumento della domanda di moneta e una riduzione dell'offerta. Dunque, imposizione di un sistema salariale severo, taglio delle spese sociali dello stato, flessibilizzazione della forza-lavoro.

L'inevitabile dileguarsi delle illusioni politiche

Curiosamente, tanto la sinistra quanto la destra hanno ragione. Ognuna di esse rinfaccia all'altra i limiti critici delle sue proprie proposte, nel quadro di una comune apologia del capitalismo inteso come l'unico e il migliore dei mondi possibili. Mentre la destra si limita ad adattare le sue mire allo stato attuale del capitalismo, la sinistra risponde rivivendo il sogno impossibile dello Stato sociale e dell'utopia reazionaria del capitalismo umano. Il danno che questa illusione infligge al proletariato è immenso. Si può mettere in pratica, in una società capitalista, la ridistribuzione del reddito destinata a concretizzare una politica economica diretta più ai consumi e alle necessità dei lavoratori che agli investimenti finanziari?

In questo modo, così come la sinistra pone il problema, si aggioga il movimento proletario alla lotta per un governo "popolare" capace di mettere in atto una politica fiscale "sociale". Se giudichiamo la questione in termini puramente economici, il carattere ciarlatanesco di detta proposta appare evidente. Nel capitalismo, la distribuzione del reddito da cui si consegue lo scambio e il consumo individuale e della classe, non può essere altro che conforme alle necessità di valorizzazione del capitale. Organizzare una diversa distribuzione del reddito e, dunque, dei consumi, significherebbe intervenire nei meccanismi di accumulazione del capitale, distruggere la relazione che lo lega allo sfruttamento della forza-lavoro.

In generale, la sinistra, benché ci azzecchi in molte delle sue critiche, riguardo questo aspetto soffre di un eccesso di irrealismo, cade in una specie di utopismo economico dimenticando che il capitalismo ha trasformato l'economia in un sistema sovranazionale di relazioni sociali alienate che sfugge alla volontà e impone le sue ferree leggi per mezzo di forze e necessità cieche. Dimentica, soprattutto, che il comportamento degli agenti economici obbedisce a leggi coattive analoghe alle leggi di natura e di frequente opposte agli impulsi personali o alle necessità umane.

È dunque logico che il padronato non diriga l'economia tenendo conto degli interessi della forza lavoro, ma solamente delle opportunità di fare profitto sulle quali poggiano le uniche possibilità sostenibili di riproduzione economica. Oggigiorno, la situazione di un paese nell'economia internazionale dipende dalle sue relazioni coi mercati finanziari e non dalla volontà del governo. E nemmeno si può ignorare che uno dei principali effetti della mondializzazione capitalista è la maggiore specializzazione della produzione e, dunque, una maggiore concentrazione-centralizzazione del capitale industriale e commerciale tanto "all'interno" quanto "all'esterno" delle nazioni - ovviamente favorevole ai centri imperialisti da cui tutte le forze sociali ed economiche sono riunite dal pugno d'acciaio del capitale finanziario.

Ma la sinistra scorda anche una delle più conosciute leggi del movimento capitalista: la contraddizione tra la produzione sociale del profitto e l'appropriazione individuale dello stesso, a cui si accompagna la concentrazione della ricchezza e del potere sociale da un lato e della miseria e dell'impotenza dall'altro. In generale, lo stato a direzione socialdemocratica ha fallito fragorosamente nel cercare di porre rimedio a ciò con politiche ridistributive del reddito. Oggi, questa "alternativa" venduta dalla sinistra latinoamericana suona ancor più assurda nell'ambito di una economia altamente indebitata e industrialmente oscurata dalla concorrenza mondiale e dalla necessità di dedicare tutti i suoi sforzi alla ripresa economica.

Per ultimo, dobbiamo segnalare una delle sue omissioni fondamentali: data la struttura monopolistica, finanziaria e parassitaria del capitalismo decadente, l'accumulazione produttiva, nella fase critica del ciclo economico non è più l'assunto fondamentale, ma la speculazione sopra la ricchezza medesima, che si riappropria del reddito nel circuito commerciale e finanziario. Di più, lo stato oggi non può assumersi lo sviluppo di una industria nazionale, sussidiata quasi completamente da elevati dazi doganali o da trasferimenti diretti dallo stato, che gravano sulla società per ottenere solamente beni o servizi che si possono avere a miglior prezzo sul mercato internazionale e che, dunque, sono diretti solo a creare posti di lavoro, senza lasciare nulla all'accumulazione e alla modernizzazione. Allo stesso tempo, il risultato di tutto ciò è tanto una maggiore concentrazione della ricchezza suddetta in un minor numero di mani quanto un maggiore inserimento dell'economia locale nel concerto mondiale.

La tendenza mondiale verso il trionfo della figura del redditiere parassitario sul produttore capitalista si accentua anche in America Latina in virtù del fatto che, ai costi attuali, non ha senso investire secondo la logica del beneficio economico; i capitalisti e gli amministratori degli stati preferiscono estrarre profitti rapidi e sicuri dai settori di base (petrolio, miniere) o attraverso le privatizzazioni piuttosto che operando investimenti di esito incerto.

Così, come lo confermano i casi di Argentina, Cile, Venezuela ecc., l'apertura del mercato dei capitali non ha condotto allo sperato massiccio ingresso di capitale "straniero", ma a una rapina della ricchezza esistente. Quegli stessi casi sottolineano la decadenza del ciclo economico. Il capitale internazionale investe solamente in quei settori che assicurano un ritorno immediato nei quali lo stato ha creato l'infrastruttura per uno sfruttamento redditizio (petrolio, comunicazioni).

Dato il collasso dei vari tipi di capitalismo caratterizzati dall'intervento strategico dello stato che permetteva la crescita grazie al trasferimento finanziario dai settori redditizi a quelli non redditizi e la sua sostituzione storica con un sistema "liberale" nel quale la distribuzione del capitale avviene direttamente attraverso l'adeguamento dei settori economici gestiti privatamente alla grandezza reale del mercato, la prima conseguenza della "globalizzazione" consiste in una sensibile contrazione dell'apparato industriale. Pertanto, le privatizzazioni non hanno significato una estensione del sistema industriale, ma un chiaro regresso. Quasi tutte le politiche attuali del capitale hanno questo carattere e non sono altro che risposte in adattamento a una crisi che nondimeno si presenta insolubile.

Il capitalismo attuale e la risposta internazionalista

Resta il sonoro fallimento dei movimenti di liberazione nazionale. Gli affari e gli interessi del capitale non stanno rinchiusi in piccole province. La parrocchiale borghesia cittadina ha lasciato il posto a una borghesia internazionale e cosmopolita: la piccola industria e quella artigianale sono state sopravanzate dalla grande industria che produce per il mondo intero; i sistemi economici nazionali, in virtù delle connessioni e dei legami di tutti i paesi con il mercato mondiale, son venuti formando una complicata rete di interdipendenza che al fondo ha la divisione internazionale del lavoro e come centro direttivo le grandi multinazionali dell'industria e della finanza; il mercato, al tempo in cui tende una corda che unisce l'attività individuale con il principio generale della presente società mondiale, lega la sorte di ogni individuo, di ogni capitale, di ogni classe, di ogni nazione alla sorte generale dell'economia capitalista.

Sulla base dell'interazione centri metropolitani-periferia, i circuiti economici creati durante questi decenni si trasformano in mega strutture di potere imperialista che inglobano i piccoli e deboli stati e capitali in unici blocchi economici continentali. In questo contesto si spiega la dollarizzazione o, in generale, la tendenza a unificare i diversi sistemi monetari nazionali. Tecnicamente la dollarizzazione avviene quando gli abitanti di un paese usano intensamente il dollaro USA o un'altra moneta straniera insieme o al posto di quella locale. Infatti, tra le conseguenze dell'alta concentrazione e centralizzazione del capitale monopolistico e dell'aumento del commercio e dei pagamenti, si ha l'emergere di una gran domanda per una maggiore disponibilità di segni monetari universalmente accettati. In accordo con il rapporto del Comitato degli Affari Economici del congresso USA (Joint Economic Committee), realizzato dal senatore Connie Mack, ci sono due tipi di dollarizzazione:

La dollarizzazione extra ufficiale appare quando gli individui detengono depositi bancari o banconote in moneta straniera per proteggersi contro l'alta inflazione della loro moneta locale. La dollarizzazione è ufficiale quando un governo adotta la moneta straniera come corso legale esclusivo e predominante.

Come avviene in Europa, la dollarizzazione si inscrive nel proposito di creare un'area commerciale unica, sprovvista di barriere, al cui interno potranno circolare liberamente mercanzie e capitali. L'unione economica è inseparabile dalla egemonia indiscussa esercitata dalla più forte economia regionale e, senza dubbio, dalla sfida competitiva che pone l'imminente emergere del mega-stato europeo.

Il movimento di liberazione nazionale non solo non comprende la natura mondiale dell'attuale società capitalistica, ma pone la determinazione del soggetto rivoluzionario sulla base della distinzione tra nazionalità o entità oppressore e oppresse. Questa posizione non mette in discussione le fondamenta dell'ordine esistente, l'attuale distribuzione dei mezzi di produzione e di potere nella società cristallizzata nella divisione tra capitale e proletariato; in pratica non ha altro effetto che provocare l'allineamento delle classi dominate della società a uno dei settori borghesi nella lotta mondiale dei capitali per la rendita finanziaria e le sue fonti, ma è assolutamente inetta per l'attacco alle dinamiche capitaliste che ovunque portano all'impoverimento, al supersfruttamento, all'inasprimento dell'oppressione.

Infatti, non esiste un interesse comune tra i movimenti nazionali "antimperialisti" e il movimento di classe del proletariato. In un movimento popolare interclassista si lascia inevitabilmente la direzione del processo alle classi superiori, i lavoratori rimangono senza autonomia, diluiti in una organizzazione plurale indirizzata alla costruzione di un governo di coalizione che finisce per rispettare tutte le compatibilità del capitale applicando il programma uniforme del liberalismo economico.

Solo un movimento di classe, basato sugli interessi e le contraddizioni antagonistiche della struttura materiale del capitalismo, può unire gli oppressi di tutti i paesi in una lotta vittoriosa contro l'oppressione. Giustamente, uno dei primi e più elementari insegnamenti che si possono trarre dagli avvenimenti dell'Ecuador è che, nelle circostanze del capitalismo contemporaneo, la semplice ribellione di una nazionalità o di un gruppo sociale nazionale contro il governo è completamente impotente di fronte all'organizzazione economica mondiale nella quale si inseriscono e operano i differenti stati e capitali. Le volontà politiche dei governi - così come le scelte sociali ed economiche - non sono autonome, sono determinate, ben più, dalla trama delle relazioni economiche internazionali tessuta dal capitale finanziario. In questo quadro non esistono "soluzioni nazionali", tutto rientra nel sistema mondiale e solo con esso può morire. Solamente l'organizzazione internazionale del proletariato, unificato dall'evoluzione stessa del capitale, può sovvertire le dinamiche attuali e aprire una nuova era sociale.

JA

(1) In Ecuador sono classificate nella categoria "A" le banche più grandi, il cui capitale sorpassa svariati centinaia di milioni di dollari. Se l'operazione di salvataggio intrapresa dal governo ecuadoriano coprirà solo le piccole imprese, cooperative e determinati istituti finanziari (di risparmio e credito, di intermediazione ecc.), ci sono molte possibilità di riuscita; se, invece, sarà esteso anche ai grandi organismi finanziari, l fallimento generale della politica economica sarebbe garantita a spese della stabilità monetaria.

(2) La AGD (Agencia de Garantìa de Depositos) è un ente teoricamente autonomo, ma in pratica subordinato alla Superintendencia Bancaria e al Banco Central dell'Ecuador che ha la funzione di garantire e pagare i possessori di conti bancari secondo quanto stabilito dalla Superintendencia. Ha però anche la funzione di supervisore del sistema bancario con la possibilità di mettere sotto il proprio controllo gli enti bancari dichiarati insolventi dal Banco Central o dalle autorità.

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Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.