Il ministato palestinese non cambierà le cose

In viaggio verso la pax americana per la Palestina, fra tensioni crescenti interborghesi e nella urgenza di una ripresa di classe

Il viaggio verso il ministato palestinese, procede fra mille ostacoli frapposti da molte delle diverse forze in lizza, e non sappiamo, al momento di chiudere il giornale, se si concluderà alla sua meta o se verrà interrotto da più gravi e minacciosi avvenimenti.

Quel che conta qui è riassumere ciò che abbiamo scritto in modo più argomentato su Prometeo 2 (1) ed è stato ampiamente confermato dagli eventi fino ad oggi.

Clinton, alla fine del suo mandato, confermando il ruolo di "grande protettore" dell'area, insiste per far passare il suo piano "di pace" indipendentemente dai bombardamenti, attentati, scontri che si verificano sul terreno in Palestina e dai morti che a decine su quel terreno restano - nella stragrande maggioranza palestinesi (centinaia contro unità). I due grandi ospiti (l'israeliano Barak e il palestinese Arafat) fanno anch'essi finta di nulla e fanno avanti e indietro a discutere/litigare sui punti del piano.

Il piano della "pax americana" al momento è così sintetizzabile:

  • lo stato palestinese coprirebbe il 95 per cento della Cisgiordania e tutta la striscia di Gaza;
  • i palestinesi si sistemeranno nel nuovo stato ma abbandoneranno ogni rivendicazione sulle terre di Israele;
  • i palestinesi avrebbero la sovranità su Haram al-Sharif (il monte del Tempio degli ebrei) e sui quartieri arabi di Gerusalemme;
  • gli israeliani controllerebbero il Muro Occidentale alla base del Monte del Tempio e i quartieri israeliani a Gerusalemme;
  • Gerusalemme sarebbe la capitale dei entrambi gli stati, israeliano e palestinese.

Barak deve fare i conti con l'ala destra della borghesia e soprattutto piccola borghesia israeliana e con la torma dei parassiti delle comunità ortodosse sefardite prevalentemente organizzati nel partito religioso Shas ostili a qualunque rinuncia rispetto a ciò che Israele ha conquistato finora con la forza, e con i coloni che avendo di molto esteso con in governo Barak i propri insediamenti nelle terre palestinesi, non hanno nessuna intenzione di vederli rientrare sotto sovranità palestinese con il rischio reale di essere cacciati a calci dagli originari occupanti di quelle terre.

Arafat, a sua volta, deve fronteggiare l'opposizione dura di una grande parte della sua stessa popolazione, politicamente condotta da quelle forze radicali (Tanzim, Hamas, Hezbollah, ma anche FPLP) che per nulla interessate al mini-stato così come si va profilando, mantengono il programma originario dell'OLP, ricostruire lo stato palestinese su tutto il suo territorio, distruggendo la "entità" israeliana. Al di là della assoluta irrealizzabilità di un simile programma, in un Medio Oriente, in cui ormai domina incontrastata la strapotenza americana, resta il fascino della sua radicalità, che si può esercitare sulla piccola borghesia e su estese fasce proletarie che nulla hanno da sperare - e lo sanno - dal mini-stato in costruzione.

I due punti ancora controversi del piano sono il rientro dei profughi palestinesi e il controllo di Gerusalemme. Israele vorrebbe che si imponesse allo stato palestinese una politica di forte restrizione sul rientro dei profughi dagli altri paesi in cui sono ammassati nei campi (Libano, Giordania, Siria). La cosa non può certo piacere ad Arafat né tantomeno ai suoi oppositori interni. Circa il controllo su Gerusalemme, la sovranità palestinese sul Monte del Tempio non va giù a nessuno dei partiti israeliani.

Nel momento di concludere, sentiamo che Arafat è rientrato ma spera, spera proprio di concludere l'accordo di pace entro il 20 gennaio.

Non è certo ma è possibile. In ogni caso due sono i dati certi, che inevitabilmente condizioneranno gli sviluppi degli eventi in tutta la regione.

Il primo è che nulla cambierà nella condizione oggettiva delle masse proletarie e semi-proletarie palestinesi in Palestina, e ancor meno per quelle fuori di Palestina. Rimarranno dunque invariate le ragioni di una tensione sociale permanente e di possibili soprassalti di rabbia e di lotta, tanto nei due stati di Palestina quanto negli altri stati della regione in cui i palestinesi sono presenti come sensibili minoranze.

Il secondo è che il controllo statunitense sulla regione, sebbene accetto a quasi tutti i governi (in futuro anche a quello palestinese di Arafat), lo è molto meno alle popolazioni, ovvero a masse considerevoli di piccola borghesia che, estranea ai giochi della finanza globale, cava di che vivere dalle piccole produzioni e piccoli commerci locali che il gigante Usa, visto come il demonio, può solo soffocare. Questa piccola borghesia trascina - per ora inevitabilmente - dietro di sé strati considerevoli di proletariato in una politica di panarabismo a contenuti con venature fortemente reazionarie, che la conclusione della pax americana non farebbe che alimentare. Ne risulta una condizione di instabilità di fondo dei governi e di tutta l'area che le portaerei e le basi militari americane non bastano a risolvere.

Tanto sull'uno quanto sull'altro elemento certo della situazione che si prospetta, potrebbe svolgere un ruolo determinanate e risolutore il proletariato, quando si muovesse sul suo autonomo terreno di classe.

Il proletariato palestinese e arabo (e israeliano) non è sul suo terreno di classe. Alcune, troppe, forze politiche che si ostinano a dirsi rivoluzionarie, traggono da questo dato la conclusione che allora tanto vale sdraiarsi sul nazionalismo palestinese. Con questo si mettono fuori gioco, dal punto di vista classista e rivoluzionario e si pongono tuttalpiù a fianco delle forze reazionarie che da sempre guidano il proletariato al macello delle guerre borghesi.

Noi traiamo la conclusione che, anche lì, occorre ripartire da zero, con le poche avanguardie che non sappiamo ancora se disponibili, per la ricostruzione di una avanguardia di classe che inizi a far circolare posizioni e programma rivoluzionari, quale condizione per un futuro ritorno della classe proletaria sulla scena della storia, della Palestina come del mondo.

(1) Vedi "Il proletariato palestinese versa il suo sangue per uno stato borghese", su Prometeo 2 VI Serie, dicembre 2000.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.