D'Amato Cofferati un falso duello - Confindustria all'attacco, Cgil in difesa, ma non della classe operaia

La borghesia imprenditoriale ha tenuto il suo convegno in quel di Parma riproponendo la linea aggressiva del suo neo segretario. L'aggressività non deriva dalle caratteristiche politiche o personali di D'Amato ma dalla situazione economica internazionale. L'entrata dell'Italia nell'area dell'Euro ha comportato per l'economia italiana l'impossibilità di giuocare sulla svalutazione della lira in chiave di maggiore competitività dei prezzi con gli altri partner europei. I larghi profitti ottenuti nel decennio precedente, per scelta strategica o per stupidità politica, non sono stati reinvestiti, non si è puntato sulla ricerca ma si è corso verso la speculazione. In aggiunta, la crisi strisciante e la diminuita competitività in termini di produttività hanno spinto il mondo imprenditoriale verso una ulteriore aggressione nei confronti della forza lavoro. Non sazia di quanto il governo di "sinistra" e i sindacati le hanno offerto su di un piatto d'argento in termini di contratti e di riduzione dei salari, la borghesia imprenditoriale ha elencato una serie di punti/rivendicazione pesantissima con la minaccia di rompere il patto sociale e di trasferire la produzione e gli investimenti su altri lidi dove le garanzie per gli investimenti e il costo del lavoro sono più favorevoli.

In primo luogo ha chiesto che lo stato continui il suo disimpegno dall'economia in nome del libero mercato e della libera imprenditorialità, salvo ricorrere allo stato stesso per gli sgravi fiscali, per un costo del denaro il più basso possibile, per sovvenzioni e protezioni-smi occulti in grado di far galleggiare l'asfittica economia italiana nel gran mare della competizione internazionale. Si è scagliata contro il monopolio statale e in favore del suo smantellamento quale condizione per creare dei monopoli privati a basso costo mediante accorpamenti e fusioni, ridicolizzando quello stesso principio di liberismo al quale continua ad appellarsi.

In secondo luogo ha progettato un ulteriore terribile attacco alla forza lavoro. Ha chiesto la riforma delle pensioni, mano libera sui contratti e produrre sostanziali modifiche sullo statuto dei lavoratori. Sulle pensioni il progetto, peraltro ampiamente condiviso da governo e sindacati, è quello di passare completamente dal sistema contributivo a quello retributivo, il che comporta una riduzione del 35% dell'assegno pen-sionistico, con gran risparmio per l'Inps ma un impoverimento dei pensionati. L'allungamento della vita lavorativa che porterebbe di fatto tutti a lavorare almeno fino a sessant'anni con tanti saluti alle prospettive di impiego delle giovani generazioni che si devono accontentare di lavori saltuari, flessibili, mal pagati e che non garantiscono loro nemmeno la pensione minima. Sul fronte dei contratti l'attacco è duplice. Da un lato si chiede di trasformare tutti i contratti a tempo indeterminato in contratti a termine; il che non soltanto consentirebbe all'impresa di avere a disposizione la forza lavoro solo nel periodo richiesto, ma risolverebbe anche il problema dei licenziamenti. Dall'altro si richiede a gran voce di trasformare progressivamente i contratti collettivi in individuali, indebolendo così il fronte del lavoro e quel minimo di garanzie sindacali che i contratti collettivi ancora assicurano. L'idea forte è quella di andare a ridefinire una volta per tutte il rapporto tra capitale e lavoro in modo tale che per il capitale ci sia l'opportunità di avere a disposizione una forza lavoro debole, non garantita, da utilizzare solo quando fa comodo e da espellere dalla produzione senza vincoli e ostacoli, ovvero disfarsene senza che questo comporti il passare attraverso il " vetusto istituto" del licenziamento per giusta causa.

Il moderno capitalismo, che deve fare i conti con saggi del profitto sempre più bassi che esasperano la concorrenza, che spingono i capitali alla rincorsa tecnologica e alla maggiore produttività, non può che attaccare su tutti i fronti la forza lavoro. D'Amato non fa altro che chiedere ciò che i rapporti di produzione impongono: più sfruttamento e meno salari, più produttività e meno garanzie per chi lavora. L'obiettivo ultimo è quello da agganciare salari e contratti non più e non solo al ciclo economico della impresa, ma al decrescente saggio medio del profitto, ovvero alla reale red-ditività del capitale investito.

Cosa risponde la Cgil per bocca del suo carismatico segretario? No! È troppo, il mondo imprenditoriale giuoca sporco! La Confindustria è anti europea e va contro i dettami dell'Ue per quanto riguarda i contratti, le relazioni sociali e, con il suo comportamento, rischia di mandare all'aria quella pace sociale che fino ad ora ha retto e ha consentito alla stessa Confindustria di godere dell'acquiescenza della classe operaia. Non male per chi dovrebbe difendere gli interessi dei lavoratori! C'è persino chi, nonostante le batoste subite, è disposto a credergli e a dargli fiducia. Nei fatti lo sfogo di Cofferati contro la linea D'Amato è tutto interno al rapporto Sindacato - Confindustria, e soltanto di striscio tocca la difesa dei lavoratori, anzi la loro difesa è funzionale alla difesa del suo potere contrattuale. Il succo della replica sta in una dichiarazione apparsa su tutta la stampa nazionale con la quale, in sintesi, si attacca la Confindustria di essere irriconoscente, di voler andare avanti nel suo progetto mettendo in un angolo proprio quel sindacato a cui deve tanto, se è vero, come è vero, che in questi ultimi anni è passato di tutto, dalla cancellazione della scala mobile ai contratti di solidarietà, dalla riforma delle pensioni al lavoro interinale, dalla flessibilità ai contratti a termine, grazie proprio al senso di "responsabilità" del sindacato, beninteso non nei confronti della classe operaia ma a favore delle necessità del capitale. " Senza questo sindacato, buona parte delle imprese italiane oggi forse non esisterebbe più. La riorganizzazione industriale degli anni settanta, risolta senza conflitti di-rompenti, è stata possibile grazie all'assunzione di responsabilità da parte del sindacato. L'idea che gli industriali possano fare da soli è già stata sconfitta dalla storia. Li invito a non ripetere quell'errore". La dichiarazione è esplicita e senza possibilità di frainten-dimenti. Cofferati non entra nel merito delle necessità del capitalismo moderno, non pone una strategia di difesa degli interessi di classe contro l'arroganza dell'attacco capitalistico, ma rivendica un ruolo del sindacato nella gestione della pace sociale. Nelle pieghe del suo risibile riformismo si evin-cono tre atteggiamenti che concorrono al perseguimento di un unico scopo. L'attacco formale alle posizioni della Confindustria serve ad avere credito all'interno di una base sempre più lontana e disillusa. L'accreditamento presso i lavoratori è la carta da giocare nei confronti degli imprenditori per assicurarsi peso politico ed autorevolezza nel confronto sociale. L'obiettivo è quello di non essere messo in un angolo e di far capire, a chi di dovere, che senza la collaborazione del sindacato, gli attacchi alla classe operaia potrebbero essere forieri di crisi politiche, di scontri sui posti di lavoro, di rottura di quella pace sociale cui tutti pensano quale migliore scenario all'interno del quale far passare le politiche dei sacrifici. In altri termini Cofferati ammonisce D'Amato non tanto sui contenuti dell'attacco ai lavoratori, se non per aspetti marginali, ma sulla cogestione di questo, pena il fallimento di tutta la manovra.

Su di un punto è prevedibile che il sindacato punterà i piedi. Non sulla riforma delle pensioni che ormai è nell'agenda di questo governo, come del prossimo a seconda di come vadano le elezioni. Non sulla maggiore libera-lizzazione dei contratti a termine, che troverà l'opposizione che a suo tempo hanno trovato i contratti d'area e il lavoro interinale, ma sulla richiesta con-findustriale di incentivare i contratti individuali a scapito di quelli collettivi. Questa sarà la vera trincea del sindacato, e ancora una volta non perché una simile richiesta possa danneggiare i lavoratori nei loro rapporti con l'impresa, ma perché metterebbe il sindacato in una posizione di estrema debolezza. Non gli consentirebbe cioè d'essere parte importante nelle decisioni di politica sociale, di avere un ruolo nella cogestione della forza lavoro, di essere una componente della moderna società capitalistica che ancora tanto sangue ha da succhiare al proletariato italiano.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.