Afghanistan, perché? Il ruolo del petrolio e della droga nella guerra

Ancora cioè a circa un mese dall'inizio dei bombardamenti sull'Afganistan, la propaganda della borghesia internazionale e di quella statunitense in particolare insiste nel sostenere contro ogni evidenza che la guerra in corso è una guerra contro il terrorismo.

Ma se così fosse c'è da chiedersi che senso ha scagliare missili che costano un milione di dollari l'uno e sganciare qualcosa come trecento bombe al giorno ognuna del valore di 80/100 mila dollari, quando, come ha ammesso lo stesso segretario della difesa statunitense Rumsfeld, colui che è indicato come il principale obbiettivo della guerra al terrorismo, Bin Laden, difficilmente potrà essere colpito. In verità, da un esame più attento dello stato delle cose, emerge con sempre più nettezza che a fare dell'Afghanistan un territorio di scontro di tutti contro tutti sono non la presenza di Bin Laden ma un inestricato nodo di interessi che coinvolge mezzo mondo e sicuramente tutte le maggiori potenze. Innanzitutto il petrolio. Pur essendo irrilevante il suo peso come produttore di petrolio e gas naturale, l'Afghanistan riveste, invece, una rilevante importanza strategica nella lotta per il controllo del mercato petrolifero. È almeno dal 1991, cioè da quando da quando le prospezioni attorno alle rive e nei fondali del Mar Caspio e nel Caucaso, hanno fatto emergere la presenze di riserve di petrolio e di gas seconde solo a quelle dell'Arabia Saudita, che si è scatenata una lotta al coltello fra le maggiori compagnie petrolifere mondiali per assicurarsene il controllo. I primi sono stati - scrive G. Chiesa in un suo recente libro:

...quelli della Chevron che, fortemente sostenuti dal governo americano... erano riusciti ad aggiudicarsi, in joint venture con altri, il grande giacimento di Tenghiz (nel Kazakistan ndr). (1)

Poi è stata la volta della Bridas una società di proprietà dell'italo-argentino Carlos Bulgheroni che per primo comprende l'importanza strategica del Turkemenistan quale "chiave di volta per aprire il rubinetto del Caspio e far fluire tutto quel ben di dio verso il Golfo Persico" (2) e riesce a ottenere dal presidente turkmeno Nijazov i diritti di estrazione del giacimento di Yashalar al confine con l'Afghanistan.

In un primo momento si fa strada un progetto di pipeline che avrebbe dovuto congiungere Yashalar, attraverso l'Afghanistan, con Sui, il più importante centro di stoccaggio di petrolio e gas del Pakistan, per essere smistato mediante una rete di trasporti verso la costa e verso l'interno.

Dopo aver raggiunto un accordo con le diverse fazioni della guerriglia che in quegli anni infuriava in Afghanistan affinché la nuova pipeline non diventasse oggetto di scontro interno, Bulgheroni allo scopo di trovare finanziatori per la realizzazione del costoso progetto, si accordò con altre compagnie petrolifere cedendo loro il futuro accesso alla pipeline.

Tra queste - scrive ancora G. Chiesa - si fa largo la Unocal... Il cui consulente principale è nientemeno che Henry Kissinger. (3)

L'entrata in scena della Unocal, però, determina un radicale mutamento delle alleanze. Nell'ottobre del 1995, infatti, con una spettacolare capriola, il presidente turkmeno Nijazov abbandona la Bridas di Bulgheroni e firma con la Unocal, che nel frattempo si è associata con la Delta Oil della famiglia reale saudita, due contratti per un gasdotto da Daulatabad (Turkemenistan) a Multan (Pakistan) e un oleodotto lungo 1500 miglia che avrebbe dovuto trasportare il petrolio di tutta l'Asia Centrale da Chardzhou, sempre in Turkmenistan, alla costa pakistana del Golfo Persico. Si tratta di un progetto di circa 5 miliardi di dollari che però presenta un neo: avrebbe dovuto attraversare l'Afghanistan devastato dalla guerra fra i Taleban, appoggiati da Pakistan e Usa e i mujahedin dell'Alleanza del Nord, una guerra che si trascinava fra piccole scaramucce e alterne fortune a favore ora dell'uno ora dell'altro contendente.

Dopo la firma dei contratti fra il Turkmenistan e la cordata guidata dall'Unical, la guerra afghana subì una forte accelerazione grazie ai più consistenti aiuti che Pakistan e Usa decisero di fornire ai talebani nella convinzione che questi sarebbero riusciti a stabilizzare la situazione e a rendere possibile la realizzazione dell'oleodotto e del gasdotto progettati. E infatti nel volgere di poco tempo, i talebani, forti del rinnovato appoggio Usa-pakistano, riuscirono a conquistare oltre alla capitale Kabul, l'80 per cento circa del territorio nazionale. Sarebbe bastato che fossero riusciti a conquistare anche le aree confinanti con il Turkmenistan, e il progetto sarebbe stato avviato a realizzazione. Ma il regime talebano ben presto si mostrò incapace di assolvere al compito che gli era stato assegnato. Quel fanatismo religioso, determinante per consentire a un esercito di uomini scalzi e non meno affamati dei loro avversari di battersi sempre fino all'ultimo sangue, risultò disastroso ai fini di un duraturo progetto di modernizzazione e di stabilizzazione interna, tanto più che nel frattempo altri attori spaventati proprio dall'avanzata dei taleban si fecero avanti. In primo luogo, la Russia. Fino a quel momento, a causa della grave situazione interna, essa aveva di fatto lasciato mano libera agli Usa. Quando Kabul cadde, però, rendendosi conto che correva il rischio di rimanere esclusa dal controllo del petrolio caspico e da un'area che solo fino a pochi anni prima era stata parte integrante del suo territorio, si svegliò dal suo lungo sonno e, insieme agli altri paesi della Cis e l'Uzbekistan spaventati dalla guerriglia diretta dal Movimento Islamico che premeva dentro e alle porte delle loro case, decise di appoggiare più decisamente l'Allenza del Nord del generale Massud. Alla cordata si unirono anche l'Iran che con la nascita di una via del petrolio Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-Golfo Persico rischiava di rimare emarginato nonostante confinasse con il Mar Caspio e fosse uno dei maggiori produttori petroliferi del mondo e la Cina a sua volta preoccupata dal rafforzamento della presenza Usa nell'Asia Centrale. Né meno preoccupata dalla piega presa dal corso degli eventi in quell'area era l'UE conscia che il nuovo oleodotto avrebbe consegnato agli Usa il monopolio mondiale del mercato del petrolio con tutto quel che ciò avrebbe significato sia sul piano del controllo della rendita finanziaria che della sua spartizione cosa di vitale importanza soprattutto in vista dell'entrata in circolazione dell'Euro. Nonostante gli aiuti siano stati elargiti con il contagocce, l'Alleanza del Nord riuscva a contrastare l'avanzata dei taleban tanto che il progetto di fare dell'Afghanistan la più importante via del petrolio dell'Asia Centrale verso il Golfo Persico non ha mai visto la luce. Peraltro, accecati dal loro fanatismo religioso oltre che per la loro assoluta incapacità a governare, i talebani sono stati in grado di stabilizzare neppure le zone da loro controllate tanto da diventare ben presto anche per i loro protettori americani un fastidioso ostacolo. E, nel corso del tempo, è rimasto ad appoggiarli solo il Pakistan legato a filo doppio al traffico della droga che aveva nell'Afghanistan la sua più importante base del mondo. Ma come per il petrolio, anche per la droga il ruolo dell'Afghanistan è stato sempre e solo quello di pedina di un gioco condotto da altri. Secondo i dati dell'UNDCP (programma dell'Onu per il controllo della droga), infatti:

... il contadino coltivatore ricavava meno dell'1% del profitto totale. Un altro 2,5% restava - in Afghanistan e Pakistan - nelle mani dei primi intermediari-gestori - raccoglitori della produzione. Un altro 5% veniva distribuito lungo il percorso attraversato dall'eroina verso i mercati occidentali. Il resto cioè, il 91,5% andava ai venditori su questi mercati, cioè ai grandi centri della criminalità organizzata nel mondo civilizzato. (4)

Tradotto in soldoni significa che a fronte di qualche briciola che rimaneva al contadino afghano, la criminalità organizzata internazionale ne ricavava qualcosa come 91,5 miliardi di dollari all'anno di profitti netti e al solo Pakistan restavano ben 850 milioni di dollari all'anno. Circa l'importanza di questo traffico per il Pakistan, scrive Ahemed Rashid, autore del libro Taliban: Islam, Oil and the neww great game in Central Asia: "Un immenso commercio di narcotici si sviluppò sotto l'ombrello legittimante della linea di forniture di armi organizzata dalla Cia e dall'Isi (Il servizio segreto pakistano n.d.r.)". (5) Il risultato è stato che l'intera debole economia pakistana è diventata un'economia essenzialmente criminale dipendente in tutto e per tutto dal debito estero e dal flusso dei narcodollari necessario per finanziarlo e che l'Afghanistan è diventato il campo di battaglia di una guerra che proprio perché ha come protagonisti veri interessi che coinvolgono l'intera economia mondiale è destinato ad allargarsi e durare nel tempo.

GP

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.