Bombe sull'Afghanistan, ma contro un Europa che ancora non c'è

Problemi al momento aperti negli schieramenti imperialisti che aprono problemi enormi alle avanguardie proletarie

La rivoltante campagna ideologica è tanto serrata quanto univoca sui pretesi due fronti di guerra: l'Occidente da una parte, l'Islam dall'altra (o le sue "deviazioni" integraliste) si scontrerebbero in quanto sistemi religiosi e civiltà. Nulla di più falso. La guerra nell'immediato appare essere quella degli Usa contro il regime dei Talibani, mandati al potere proprio dagli Usa (attraverso i servizi del Pakistan) ma resisi infidi fin dal 1997, ma in realtà punta ad affermare la presenza militare americana anche in quell'area strategica per il petrolio e in diretta funzione anti-europea.

Non ci si lasci ingannare dall'apparente solidarietà degli stati europei nella "lotta al terrorismo".. L'Europa che ancora non c'è popola gli incubi dei capitalisti americani e dei loro ceti politici e militari. La concreta operatività dell'Euro è il primo passo - e qui siamo in presenza certamente di una novità nella storia che nulla toglie alla sua oggettività - verso la aggregazione di quell'entità statuale sovranazionale che oggi viene chiamata Eurolandia. E questa Europa dell'Euro è o sarà quel polo di aggregazione di interessi imperialistici contrapposto a quello americano, che sostituirà la vecchia Unione Sovietica, implosa undici anno or sono. C'era chi diceva - ed erano tanti allora - che si chiudeva un epoca di pericolosi e precari equilibri di un mondo bipolare e si aprivano nuovi scenari di stabilità, di pace e di prosperità. Stabilità, pace e prosperità nel decennio trascorso si sono via via dimostrate illusorie e contrarie alla realtà. Ora anche il bipolarismo, come è naturale che sia in epoca imperialista, si sta riproponendo.

L'Europa non poteva impedire il colpaccio che gli Usa stanno facendo in Asia centrale, semplicemente perché ancora non c'è. Ma gli stati europei sanno tutti perfettamente come stanno le cose e a chi in realtà è diretto il colpo. Sanno perfettamente che nella guerra del Golfo, "contro Saddam", figurava l'Onu; nei Balcani gli Usa intervennero snobbando l'Onu (nel Consiglio di Sicurezza c'erano Russia e Francia che avrebbero detto no) e usarono la Nato, dove la Russia non c'e' e la Francia ha da sempre un ruolo defilato; ora in Afghanistan fanno da soli, con gli amici di sempre targati GB. Gli Usa chiedono a tutti gli altri e a ciascuno la solidarietà. Gli stati Europei - Francia, Germania Italia, ecc. - fanno allora quello che da sempre è iscritto nel comportamento dello Stato che non potendo opporsi a un conflitto tenta di trarne il massimo beneficio: manda truppe a sostegno del più forte e sicuro vincitore.

Appaiono semplicemente imbecilli quei giornalisti che su paludati giornali cianciano di rincorsa europeistica alla solidarietà militante con gli Usa e che presentano la partecipazione italiana allo sforzo bellico americano come un positivo allinearsi ai comportamenti degli altri europei, in funzione della unità d'Europa. Più onesti sarebbero se dicessero chiaramente che la partecipazione italiana o comunque la collaborazione alla gloriosa impresa di bombardare l'Afghanistan risponde alla necessità di salvaguardare gli interessi dell'italianissima Eni in quelle regioni e di assicurare all'Eni e all'Italia, una qualche cointeressenza nella costruzione e gestione della pipeline che deve dragare il gas e petrolio dalle regioni transcaucasiche passando dall'Afghanistan verso il Pakistan e il Mare Arabico. L'altra opzione, di appoggiare le mire mitomaniacali dell'islamismo in salsa bin Laden di una gestione islamica, anti-americana, del petrolio sia centroasiatico sia mediorientale, è evidentemente da scartare. Oltre all'improponibilità di un sostegno al mega-terrorista bin Laden, non è con le risorse di Al Queda che si costruiscono gli oleodotti, né gli estremisti islamici hanno possibilità superiori a quelle - però reali - di impedire la costruzione e la gestione dell'oleodotto. "Se gli Americani vincono la guerra, fanno fuori tutti gli anti-americani della regione e lo stesso anti-americanismo e manu militari impongono il loro monopolio sul petrolio transcaucasico, allora è meglio essere con loro per trarne qualche benefica briciola." - questo è certamente il pensiero dei "nostri" strateghi, come di quelli Francesi e tedeschi.

Anche stavolta gli americani potrebbero vincere a mano bassa e impedire ancora agli Europei di far valere il loro Euro e i loro comuni grandi interessi nella gestione del petrolio e della rendita da petrolio.

Ma se le cose si prolungassero e le diverse tensioni nell'area dovessero sfociare in cambiamenti di portata imprevedibile, allora il quadro già complicato si complicherebbe ancor di più rimettendo tutto in gioco: alleanze "strategiche" comprese che già oggi sappiamo non essere affatto strategiche.

Esiste la concreta possibilità che, per esempio, un sovvertimento degli equilibri politici nelle repubbliche ex-sovietiche direttamente interessate all'oil-rush (la corsa al petrolio) di quelle regioni rimetta in questione le concessioni sinora acquisite dai vari Europei oltre che dalle major americane e i già instabili e poco chiari rapporti con la Russia. Ciò imprimerebbe certamente una ulteriore potente accelerazione al processo unitario europeo da una parte e alla definizione dei rapporti fra... la Russia e gli altri. Ma esiste anche la possibilità, forse più concreta, di ribaltamenti politici nell'area mediorientale, finora solidamente alleata agli Usa. Di qui la preoccupazione Usa di risolvere la antica questione palestinese di cui diciamo in altro articolo; ma di qui anche il "rischio" che paesi Opec si affranchino dalla tutela americana e si affidino a quella ancora in fieri europea.

In questi - e in altri casi - è possibile che prenda fiato un neo-nazionalismo europeo che troverebbe subito anche su molti altri temi le ragioni della propria alterità rispetto agli Usa.

È in questa prospettiva che noi comunisti lanciamo l'allarme: attenzione a non cadere nella trappola del facile anti-americanismo, che getta nelle braccia dell'europeismo.

Non si combatte l'imperialismo americano appoggiando quello europeo; non si dimostra solidarietà con le masse proletarie, semiproletarie e sottoproletarie oppresse della periferia più o meno islamica, appoggiando le loro borghesie e le loro velleità sul controllo imperialistico del petrolio, in funzione anti-americana e oggettivamente pro-europea. Sono politiche quelle, che conducono direttamente sui fronti della guerra imperialista, luogo del massacro fisico di proletari e della loro ulteriore sconfitta politica.

E sono purtroppo politiche seguite anche da forze che si dicono proletarie e internazionaliste.

Ciò dice molto della arretratezza delle prospettive rivoluzionarie e dell'enorme spazio politico che ci separa dalla esistenza di un centro di direzione politica del proletariato. La possibilità di coprire questo spazio è strettamente legata ai tempi di maturazione del nuovo "bipolarismo". Sono questi i tempi in cui le avanguardie devono raccogliersi, tutte, sul terreno della battaglia internazionalista per il partito.

mj

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.