O fame... o fame - In Argentina, ma non solo, il capitalismo offre questa sola alternativa

Partoriranno le montagne e nascerà un ridicolo topolino! Così gli antichi romani usavano esprimere la delusione per delle aspettative tradite o per promesse non mantenute. E questo deve aver pensato anche la stragrande maggioranza degli argentini quando il presidente Duhalde e il ministro dell'economia Lenicov hanno presentato il piano economico e finanziario che secondo loro dovrebbe portare l'Argentina fuori da quella che ormai appare la più devastante crisi che questo paese abbia conosciuto in tutta la sua pur travagliata storia. Il piano consiste essenzialmente in un escamotage per riconfermare con qualche lieve ritocco il corralito, il decreto con cui lo scorso dicembre l'ex presidente De la Rua bloccò tutti i depositi bancari recentemente dichiarato incostituzionale dalla Corte Suprema, e l'ufficializzazione del ritorno a un sistema di cambio libero. Le uniche misure che in qualche modo vanno incontro ad alcune delle richieste della popolazione, soprattutto della piccola e media borghesia, sono la possibilità di ritirare lo stipendio del mese in una sola volta e non più a piccole rate come era finora e lo scongelamento delle liquidazioni di chi ha perso il posto di lavoro negli ultimi tre mesi. Il resto dei fondi rimarrà bloccato e potrà essere ritirato forse solo l'anno prossimo ma in pesos e non in dollari come erano stati costituiti e al cambio ufficiale di 1,40 pesos per un dollaro contro quello reale che è di 2 a 1.

Vi è poi, come contentino demagogico per addolcire l'amaro boccone, la decisione di ridurre il numero dei deputati, dei senatori e dei loro portaborse.

Il piano è tutto qui e sostanzialmente serve solo affinché il FMI conceda il prestito di 15 miliardi di dollari con cui rifinanziare il sistema bancario giusto quel tanto che dovrebbe bastare per evitarne il definitivo fallimento.

Davvero poca cosa, dunque, ma sarebbe un grave errore ritenere che l'assoluta mancanza anche solo di indicazioni credibili mirate a riattivare il circuito economico siano da addebitare alla incapacità di Duhalde e del suo ministro dell'economia. Il fatto è che nell'ambito dei rapporti di produzione capitalistici, la crisi argentina non ha altra soluzione che l'affamamento totale della stragran-de maggioranza della popolazione. Il piano ne prende semplicemente atto e lo sancisce con provvedimenti che di fatto corrispondono a un vero esproprio di salari, stipendi, pensioni dei lavoratori e risparmi, questi ultimi soprattutto della piccola e media borghesia in via di progressiva e rapida proletarizzazione. Questa crisi, in realtà, è solo la punta dell'iceberg della più generale crisi di ciclo in cui sin dai primi anni '70 si dimena il sistema capitalistico su scala mondiale determinata da una sempre più accentuata tendenza a realizzare mediante la produzione di merci adeguati saggi di profitto. Gli errori, la corruzione, l'insipienza e la criminalità della classe dirigente locale l'hanno drammaticamente accentuata ma non determinata. E la dollarizzazione, che ora viene indicata come la madre di tutti i mali, è stata la risposta al processo iperinflattivo scaturito da essa e che per tutti gli anni '80 ha letteralmente devastato l'economia argentina. In questo contesto è evidente che il semplice riaggiustamento monetario, per quanto efficace nel favorire la riduzione del valore della forza-lavoro e quindi dei salari reali, alla lunga non poteva produrre risultati apprezzabili poiché non incideva in alcun modo sulle cause profonde della crisi; anzi, favorendo i processi di appropriazione parassitaria di plusvalore, ha vieppiù ridotto le capacita del sistema di generare plusvalore mediante la reale produzione di merci.

Siamo in presenza di una crisi sistemica così netta e chiara nelle sue dinamiche da sembrare la rappresentazione di un modello teorico; sembra che la critica dell'economia capitalista sia uscita dalle pagine del Capitale per farsi nuda e cruda realtà, tanto i suoi meccanismi sono riconducibili alle contraddizioni che caratterizzano il sistema capitalistico descritte nella opera di Karl Marx.

Da questo punto di vista si tratta di un evento di straordinaria importanza: un paese tutt'altro che povero, non certo arretrato è messo talmente in ginocchio che alla popolazione affamata che scende per strada non le si può offrire che altra fame.

Il re ora è rimasto nudo come nessuno più osava neppure immaginare tanta era stata fin qui la sua abilità nel camuffarsi, nel trovare sempre una foglia di fico dietro cui nascondere le sue vergogne. Le sue vere sembianze sono talmente sotto gli occhi di tutti che per la prima volta non gli è stato possibile canalizzare la rabbia delle sue vittime sul falso terreno del corporativismo, del riformismo, del nazionalismo, del conflitto religioso o tribale o dell'altrettanto mistificante scontro tra democrazia e dittatura che qui più che altrove ha alimentato l'inganno. E infatti il proletariato ha rialzato la testa e non pare proprio che possa bastare il piano Duhalde a fargliela abbassare. Siamo, infatti, in presenza della prima grande risposta di classe che il proletariato dà alla crisi e probabilmente la prima di una lunga serie.

C'è chi, per il fatto che nelle lotte in corso in Argentina sono presenti anche consistenti strati di piccola e media borghesia storce, il naso ed esita a riconoscere il loro carattere di classe e la loro valenza anticapitalista. Ma negare ciò significa in ultima istanza non aver compreso neppure la reale portata e la gravità della crisi economica su scala internazionale e le sue prospettive e che proprio la risposta del proletariato argentino fa apparire meno terrificanti.

Contrariamente a quanto i mass media sostengono e quelli televisivi in modo particolare, le manifestazioni di piazza che hanno portato alla dimissioni di ben due presidenti nel giro di una settimana non hanno preso l'avvio dalle mobilitazioni della piccola e media borghesia scaraventate nel baratro della miseria dal blocco dei depositi bancari, ma sono state queste, le ormai famose c_aceroladas_ che si sono incanalate, e in molte situazioni perfino fuse, con le lotte che già da mesi il proletariato autorganizzato nelle commissioni interne e nei comitati di sciopero, costituiti da lavoratori occupati e disoccupati (piqueteros), andava conducendo in opposizione sia ai sindacati sia ai partiti politici tradizionali compresi quelli sedicenti di sinistra. Certo, allo stato delle cose e sulla base delle informazioni in nostro possesso, il movimento appare ancora lontano dall'acquisizione di una chiara coscienza comunista e ciò rende altamente probabile la sua sconfitta. Ma questo, come già abbiamo avuto modo di sottolineare nello scorso numero di Bc, è il prezzo che il proletariato paga alla mancanza del partito rivoluzionario. Da un lato le lotte che il proletariato sta esprimendo si caratterizzano fortemente sul terreno dell'anticapitalismo e, dall'altro, l'assenza di una coscienza comunista diffusa le priva, almeno a breve termine, dell'unico vero sbocco cui dovrebbero tendere perché possano risultare risolutive: l'abbattimento del capitalismo, l'instaurazione della dittatura del proletariato e di rapporti di produzione di tipo socialista, ovvero alla rivoluzione comunista. Nondimeno l'esperienza argentina rappresenta una grande svolta sia perché sta confermando che la spontaneità proletaria può pervenire perfino all'assalto dello stato borghese, ma mai al compimento della rivoluzione comunista, sia perché, quando ormai era convinzione diffusa che il capitalismo non avesse alternative, sta dando conferma della grande attualità storica della rivoluzione stessa.

gp

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.