Europei e americani di fronte alla guerra in Iraq

Lo scontro d'interessi va ben oltre gli allineamenti di facciata

La giustificazione ufficiale addotta dal governo americano per il nuovo attacco contro l'Iraq è nota e viene mediaticamente reiterata con ritmo ossessionante. Saddam sarebbe in possesso delle famigerate armi di distruzione di massa e sarebbe in condizione di preparare ordigni nucleari. In quattro anni, dall'allontanamento, nel '98, degli osservatori Onu, avrebbe ricostituito il suo arsenale militare moltiplicandolo per quantità e potenza. Una guerra preventiva nei suoi confronti sarebbe dunque non soltanto un imperativo categorico finalizzato a scongiurare nuovi disastri nell'area, ma un dovere morale che gli Usa si assumerebbero in nome della lotta al terrorismo per la salvezza dell'umanità intera. Nell'intera storia delle bugie giustificazioniste delle guerre d'aggressione e di rapina, mai si erano raccontate balle di questo livello o, almeno, mai con tanta enfasi. La ragione è una sola: lo spessore della mistificazione è direttamente proporzionale all'interesse che bisogna nascondere. Non importa se si sfiora il ridicolo, se le analisi proposte non stanno né in cielo né in terra e sono rozze e volgari, l'importante è che l'opinione pubblica mondiale faccia propria la falsa informazione, punto e basta. Ciò che deve essere occultato, mistificato, cancellato dal lessico politico quotidiano è la parola petrolio. Gli usa da dieci anni a questa parte, dalla guerra del Golfo a quella dell'Afga-nistan, hanno come obiettivo quello di creare una sorta di controllo monopolistico della materia prima energetica per eccellenza, di decidere a chi darla, a che prezzo venderla, a chi non darla nel momento in cui il rifiuto rientrasse nelle loro strategie economiche e politiche. In aggiunta, continuando ad imporre il dollaro come l'unica divisa delle transazioni petrolifere, si avvantaggiano di una rendita paras sitaria importante, tanto più rilevante se si tengono in debita considerazione le scarse entrate in termini di profitto che " l'azienda America" introita a ritmi decrescenti. Che ciò sia in cima ai progetti americani non è la solita dietrologia che si potrebbe ricavare, per esempio, tenendo in debita considerazione il fatto che Bush è stato eletto dalla lobby petrolifera e da quella militare, per cui l'equazione petrolio e guerra verrebbe da sé. Nelle stesse stanze del potere, di tanto in tanto, filtra la luce della verità, un caso su tutti, non perché sia il più importante o l'unico, me perché è il più recente. Nello scorso luglio, quando la questione irachena era già abbondantemente all'ordine del giorno con il suo carico di menzogne, Laurent Murawiek della Rand Corporation, alla sezione del Defense Policy Board del Pentagano, così si è espresso concludendo una sezione dei lavori riguardo alle strategie da tenere nell'area del Golfo Persico: " Eliminando Saddam Hussein avremo a Baghdad un governo amico, svilupperemo le sue grandi risorse petrolifere e ridurremo la nostra dipendenza dai Sauditi". Nessun accenno, dunque, alle armi di distruzione di massa né ai supposti collegamenti con Al Qaeda, ma solo la verità nuda e cruda, come si conviene a chi parla credendo di non essere ascoltato da interlocutori estranei.

Ma di queste falsità o di verità occultate si nutrono anche i governi dei paesi concorrenti come ad esempio l'Europa e la Russia? La risposta non può essere che negativa, nonostante il fatto che alcuni paesi europei siano stati costretti a scegliere un atteggiamento d'allineamento a favore della politica imperiale Usa. Tradotto in termini semplici, ciò che accade attorno alla questione petrolio, prima quello persico, poi quello caspico e oggi di nuovo quello iracheno, attiene allo scontro Usa - Europa in primo luogo, Usa - Russia in seconda battuta, e infine, Usa-Cina. Rimanendo all'interno dell'attuale scenario imperilaistico, l'Europa può accedere al petrolio solo attraverso il filtro americano, ai prezzi e alle quantità che vengono concordate tra i paesi produttori e gli Usa. Lo ricevono solo se pagano in dollari garantendo così la rendita petrolifera parassitaria al governo di Washington, e se il loro allineamento non è conforme alla regola imposta, possono correre il rischio di rimanere a secco. Tra Usa, Europa e Russia sul petrolio iracheno si è combattuta una guerra nella guerra che aveva come sfondo l'embargo nei confronti di Baghdad. Europei e Russi lo volevano togliere per avere accesso al petrolio iracheno sulla base di contratti già firmati con il governo di Saddam, gli Usa si sono sempre opposti per impedirne il libero accesso. In aggiunta, Saddam aveva dichiarato di accettare come forma di pagamento le vecchie divise europee, oggi l'Euro, ma anche rubli o yen, creando così una breccia sulla egemonia monetaria americana. Breccia che poteva diventare un varco attraverso il quale si sarebbero potuti infilare altri paesi petroliferi come l'Iran, Libia e lo Yemen. Da qui la necessità di eliminare il regime di Saddam, di sostituirlo con uno allineato, di ricondurre quindi nell'alveo del controllo americano quello che potenzialmente sarebbe il secondo produttore di petrolio al mondo dopo l'Arabia Saudita. Paese quest'ultimo, che, da alleato principe degli Usa, per le sue contrastate vicende politiche interne, è diventato meno affidabile e fonte di preoccupazione dal momento che il governo americano importa per il ben 30% del suo fabbisogno energetico proprio dalla penisola arabica. Non meravigli quindi il pronunciamento di Laurent Mutrawiek prima riportato. Di tutto questo i governi europei sono ben coscienti, sanno benissimo che il prossimo attacco all'Iraq avrà conseguenze negative per l'economia europea, ma la questione è riposta nei rapporti di forza. Troppo debole e diviso il polo imperialistico europeo. Non solidale sul terreno politico, ancora in fasce il progetto di un'armata comune. In queste condizioni lo scontro con il gigante americano è improponibile, quindi ognuno per la sua strada, anche se comune è la coscienza di subire l'ennesimo affronto.

L'assenso inglese è stato contrasto. L'alleato di sempre in prima battuta aveva detto di no, poi ha corretto la rotta e oggi è di nuovo a fianco degli Usa. La ragione del primo rifiuto risiede nel fatto che il governo Blair deve fare i conti con una parte della sua borghesia, quella imprenditoriale e commerciale che vede con favore l'ingresso dell'Inghilterra nella unione europea e che il petrolio del mare del Nord sta esaurendosi ponendo a breve termine lo stesso problema di approvvigionamento energetico che hanno gli altri paesi europei. Ma alla fine è prevalsa la paura di rimanere da soli in mezzo al guado, non più con gli Usa e non ancora in Europa, e si è fatta strada la speranza di ottenere dal grande alleato le briciole di questa ennesima operazione di rapina internazionale, come già è successo in passato.

L'Italia e la Spagna, fanalini di coda nel consesso europeo, con seri problemi di consenso interno, hanno ritenuto che il codismo nei confronti delle decisioni americane fosse il mezzo migliore per la loro legittimazione internazionale e, soprattutto, perchè consapevoli di non essere in grado di sopportare gli inevitabili ricatti americani in termini commerciali e finanziari. L'asse Parigi-Berlino, vero perno di quello che sarà il processo d'aggregazione imperialistico europeo, ha risposto no e in toni pesanti. Già le questioni pregresse sui dazi negli interscambi commerciali avevano fatto salire la tensione. Le due ultime guerre del petrolio l'hanno esasperata, quella del Golfo e quella non ancora conclusa dell'Afganistan, hanno ulteriormente allontanato l'Europa intera dal controllo delle fonti energetiche, con una aggravante non indifferente: Francia e Germania, pur essendo tra le maggiori potenze industriali al mondo, in grado di contribuire considerevolmente al buco di quasi 500 miliardi di dollari nella bilancia dai pagamenti con l'estero americana, non hanno nel loro sottosuolo una sola goccia di petrolio. Ne consegue che la futura guerra contro l'Iraq sarebbe un ulteriore rafforzamento americano nel settore energetico e un indebolimento dei patners europei, Francia e Germania incluse. L'antiamericanismo che si respira in Asia come in Russia, nel Medio Oriente come in Cina, aleggia anche nella vecchia Europa. Gli interessi che le dividono dagli Usa sono enormi, ma per il momento ampio è anche il divario militare e il relativo peso politico. L'imperialismo Usa mostra i muscoli, chiede l'impunità per i suoi soldati, inventa giustificazioni risibili alle sue guerre preventive e di prospettiva. L'Europa arranca, è costretta ad abbozzare, in attesa di costruire un suo impianto imperialistico degno di questo nome, con tanto di braccio armato. Nulla di nuovo se non i tempi della ridefinizione delle centrali imperialistiche dopo il crollo del capitalismo di stato sovietico. Nulla di nuovo sino a quando non irromperà sulla scena internazionale il proletariato moderno, figlio della globalizzazione, modellato secondo le attuali necessità di sopravvivenza del capitalismo, il solo in grado di rispondere agli attuali contenziosi interimperialistici e al fenomeno della guerra che, da momento episodico di "soluzione" delle controversie del capitale, si sta trasformando in condizione permanente, in modo di essere quotidiano della perpetrazione dello sfruttamento intensivo della forza lavoro e dell'appropriazione parassitaria del plusvalore internazionalmente prodotto.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.