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Home ›La guerra del petrolio passa per la Cecenia - E a Mosca riaprono le camere a gas
Forse fra qualche tempo si scoprirà che l'Fsb russo, l'ex Kgb di cui Putin era stato un ufficiale, qualcosa sapeva; che gli oltre cinquanta guerriglieri ceceni, armati di tutto punto, non erano arrivati in quel teatro di Mosca del tutto inosservati o che ciò è potuto accadere soltanto perché qualcuno li ha opportunamente coperti. È anche probabile che fra qualche tempo si saprà che dietro tutti quei morti non vi è stato solo un calcolo cinico, ma anche errori e circostanze impreviste come, per esempio, che il gas adoperato non ha funzionato come era nelle aspettative e ha fatto più vittime del previsto. Il dramma del teatro di Mosca per molti aspetti sembra essere la replica di quello già visto lo scorso anno alle Twin Towers e chissà che fra qualche tempo perfino la regia non risulterà essere stata la stessa. È certo invece che la trama è la stessa, che la sua ispirazione provenga, cioè, da quelle stesse viscere della terra dove è racchiuso il petrolio. La questione della Cecenia è, infatti, almeno dalla prima metà dell'800 - per l'esattezza: dal 1833 - una questione di petrolio.
Grozny, la sua capitale, è un importante centro di raffinazione dove si produce tuttora la maggior parte del carburante per aerei consumato in Russia. Già questo, insieme a un potenziale di oltre 80 mila barili di petrolio giornalieri (84 mila, nel 1990) e al fatto che da qui si snodano gli oleodotti e i gasdotti che collegano l'Asia centrale con la Russia, è un valido motivo che spiega la ragione per cui la Russia non abbia mai riconosciuto l'indipendenza della Cecenia autoproclamata nel 1991. Negli anni '90, poi, man mano che venivano scoperti i nuovi giacimenti del Caspio e aperti nuovi corridoi energetici l'importanza della Cecenia si è notevolmente accresciuta. Non è un caso che la prima guerra cecena scoppia nel 1994 quando cioè gli Usa dichiarano che la regione del Caspio rientrava nella loro sfera di interessi e le compagnie petrolifere statunitensi cominciarono a sfruttarne le immense riserve. In gioco c'erano gli interessi dell'ex borghesia di stato russa, i cui diversi gruppi di potere, si scannavano fra loro per spartirsi la preda dell'ex Urss, e di quelli ceceni che fremevano per sedersi al banchetto dei proventi petroliferi, sostenuti, tramite i servizi segreti turchi, dagli Usa. Nel 1997, però, la partita sembrava chiusa. La Russia e i ribelli ceceni stipularono un accordo con cui la compagnia russa che avrebbe dovuto gestirlo si impegnava a versare ai ribelli 43 centesimi di dollaro per ogni tonnellata di petrolio che sarebbe passata nell'oleodotto che doveva collegare il porto di Baku sul Caspio con il porto russo di Novorossiisk sul Mar Nero. L'oleodotto che venne inaugurato nel 1999, subito dopo essere stato aperto, venne, però, sabotato dai ribelli ceceni e la stessa sorte toccò al by-pass che i russi decisero di costruire attraverso il Daghestan. Nell'agosto del '99, infatti, i ribelli ceceni entrarono in Daghestan e fecero saltare il nuovo tratto dell'oleodotto. Contemporaneamente, con la benedizione degli Usa, viene inaugurato un nuovo oleodotto che collegando Baku al porto georgiano di Supsa apre la prima crepa nel monopolio russo sul petrolio del Caspio. Inoltre, sempre nel '99, e sempre su iniziativa degli Usa, Turchia, Azerbaigian, Georgia e Kazakistan firmano un accordo per la costruzione di un nuovo oleodotto che, una volta finto, trasporterà, da Baku al porto turco di Ceyhan, nel Mediterraneo, qualcosa come un milione di barili di greggio al giorno. Un oleodotto che se si dovesse sommare a una Cecenia indipendente, di fatto, metterebbe la Russia definitivamente fuori dal gioco del petrolio del Caspio e il petrolio del Caspio è troppo importante perché vi si possa rinunciare a cuor leggero. Dal suo controllo dipendono i flussi della rendita petrolifera e di quella finanziaria a livello mondiale e dunque anche gli assetti imperialistici dell'immediato futuro.
Per gli Usa è in gioco il loro primato, per la Russia perfino il suo ruolo di potenza regionale e per l'Europa la possibilità di affermarsi come una potenza imperialista con un peso corrispondente alla forza della sua economia. Si tratta di un insieme di interessi che intersecandosi con quelli delle varie borghesie locali costituisce un groviglio difficile da dipanare per via diplomatica e destinato quindi ad alimentare conflitti di ogni genere in un continuo rimescolamento di alleanze. Si tratta di una guerra che nessuno può permettersi di perdere tanto che Putin, affinché le sue intenzioni fossero chiare sia alla guerriglia cecena che agli altri concorrenti, non ha esitato a trasformare un teatro in una camera a gas così come Bush non esitò a fare dell'attentato alle Twin Towers il passe-partout per la guerra contro l'Afghanistan e anche per quelle future contro il nemico di turno.
Nel teatro di Mosca hanno perso la vita circa 200 persone. Alcune di loro nella convinzione che stavano sacrificando la loro vita per Allah, altre perché si trovavano per caso nel posto sbagliato, ma in realtà, come abbiamo visto, nella loro tragedia non c'entra né Allah né il caso. Quel che è accaduto è accaduto solo per il petrolio. Quella per il petrolio è una guerra che ormai non ha più confini né limiti. È destinata a estendersi e a farsi sempre più feroce. Ha senso, infatti, annientare la Cecenia se poi gli oleodotti passano dalla Georgia? E ha senso distruggere l'Iraq se poi il petrolio sfugge lo stesso al proprio controllo continuando a scorrere attraverso l'Iran? E se per vincere è necessario ricorrere alle armi di distruzione di massa perché rinunciarvi? Anche per questo è necessaria fermarla prima che dai gas nervini si passi alle atomiche.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #11
Novembre 2002
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