Documento di Ottorino Perrone – Febbraio 1950

Nel febbraio del 1950 sarà il seguente documento di Ottorino Perrone che darà la linea d’azione - o meglio, di non azione - al C.E. del Partito.

Cari compagni,

spiacente di non potere interrompere le mie occupazioni professionali, sono costretto a riassumere nei seguenti punti le considerazioni che mi proponevo di sottomettere alla discussione.

  1. Lungi dal preoccuparci di aggettivizzare la situazione (se reazionaria o rivoluzionaria), dobbiamo innanzitutto salutare il carattere incendiario delle conclusioni che dilaniano l'attuale mondo capitalistico e, basandoci sugli insegnamenti della storia, dobbiamo non escludere l'ipotesi di un repentino capovolgersi degli attuali rapporti di forza fra le classi.
  2. Coscienti della impossibilità di una compiuta elaborazione teorica delle situazioni attuali prima del determinarsi dello scoppio rivoluzionario (il Manifesto precede di qualche giorno la Rivoluzione del 1848; lo stesso dicasi per "Stato e Rivoluzione") respingiamo in principio l'accademismo e persistiamo nel coerente sforzo di inventariazione compiuto da PROMETEO. Nel campo politico procediamo dai dati incontrovertibili presentati dalla situazione malgrado essi non possano ancora essere chiariti sul piano teorico.
  3. Il passaggio dal fascismo al totalitarismo democratico ha aperto una trappola nella quale il proletariato ha potuto cadere perché le condizioni provvisorie esistevano nella struttura della economia capitalista internazionale. L'esistenza di queste condizioni (che l'analisi teorica stabilirà quando l'evoluzione storica ne avrà permesso la comprensione) toglie ancora oggi la possibilità alla personalizzazione del proletariato nel suo partito di classe. Cosa questa che solo Amadeo ha visto sin dal 1944. In queste condizioni il vincolo organizzativo non favorisce, ma impedisce la difficile ed indispensabile opera di chiarificazione che devono compiere i gruppi falsamente etichettati in quanto partito. La conferma ne è nel fatto che il principale sforzo teorico - PROMETEO e FILI DEL TEMPO - sfuggono alle maglie dell'organizzazione.
  4. La trappola in cui è caduto il proletariato trascina ancora oggi parte dei nostri gruppi. La possibilità di parlare e di agitarsi è fattore della democrazia post-fascista, non è conquista proletaria, è occasione di espressione proletaria. Le agitazioni di operai restano nel congegno di funzionamento del capitalismo internazionale fino a quando l'evoluzione economica permetterà che alla testa di queste agitazioni si trovino forze spiccatamente capitaliste che controllano poderosi e mostruosi apparati statali, siano essi pure oltre frontiera.
  5. I nostri gruppi devono svelare questa indiscutibile realtà e non partecipare a dei movimenti che alla condizione che questi si dispongano sulla linea del duplice e simultaneo attacco contro padronato e stato da una parte, contro stalinismo e satelliti dall'altra. Partecipare o no ad una agitazione di operai è problema d'ordine individuale come lo è quello del soldato che si pone il quesito se deve o no sparare dalla trincea nella quale egli è stato posto. Il problema non individuale ma politico consiste a rivelare la funzione capitalista dei dirigenti dei movimenti di operai e comporta la non partecipazione dei nostri gruppi alle attività che l'evoluzione attuale permette ancora al capitalismo internazionale di controllare e di dirigere.
  6. La confusione esistente ancora oggi fra i nostri gruppi è causa che, nel campo nazionale ed internazionale, il poco possibile sia o mal fatto o non fatto. Nei quadri dell’unità dei superstiti alle catastrofi dell'Internazionale, questa confusione va dissipata.
Ottorino Perrone, Bruxelles, 14 febbraio 1950