Jeremy Rifkin: economia all'idrogeno, una tesi della potente lobby energetica

Nel settembre 2002 è uscito nelle librerie l'ennesimo best seller di Rifkin. Il libro, come i suoi precedenti, ha fatto immediatamente discutere suscitando grande interesse per i problemi che pone. L'autore, brillante opinionista americano, attento osservatore dei fenomeni economici e sociali, studioso dell'evoluzione della società nei molteplici suoi aspetti, affronta con il suo scritto e un tema cruciale per le prospettive dell'intera umanità: la questione energetica.

Il tema dell'approvvigionamento dell'energia è affrontato in modo radicale facendone una questione vitale, di vera e propria sopravvivenza, per quella che egli chiama la nostra civiltà. Avvedutamente Rifkin dimostra che i tempi per affrontarlo, data la caratteristica energivora delle odierne società e l'esaurimento crescente delle risorse petrolifere, sono brevissimi e che è urgente avviare un processo di riconversione della produzione e della distribuzione di energia che attualmente si fonda quasi esclusivamente sullo sfruttamento dei combustibili fossili. L'alternativa alla soluzione del problema è il declino stesso, se non la scomparsa, dell'intera civiltà in cui viviamo.

Si tratta del grido di allarme di un pensatore borghese che si rende conto del grave pericolo che corre la società occidentale e che si sforza di intravedere nel futuro immediato la soluzione al problema: la costituzione di una nuova economia fondata sullo sfruttamento dell'idrogeno. L'attualità del libro è evidente anche alla luce delle ultime vicende militari che hanno mostrato, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che per ogni goccia di petrolio i vari contendenti sono disposti a scatenare guerre e massacri senza battere ciglio. È il segno che intorno al petrolio si giocano interessi assolutamente vitali per le potenze che se lo contendono. Per tutti questi motivi abbiamo deciso di recensire il libro esprimendo il nostro punto di vista su questo delicato problema.

Il libro in sintesi

Il primo capitolo serve all'autore per presentare tutta l'opera. Lo riassumiamo brevemente con l'intento poi di affrontare criticamente il cuore del problema: la sostenibilità del modello proposto di economia all'idrogeno.

Rifkin parte dalla constatazione che gli Usa hanno raggiunto il cosiddetto picco della produzione petrolifera nazionale già nel 1970 dove per picco della produzione s'intende l'aver estratto la metà delle riserve stimate disponibili. Anche la produzione mondiale di petrolio si avvia velocemente a raggiungerlo e da questo fatto discenderebbero due importanti problemi: prima di tutto...

anche se gli esperti non concordano sul momento in cui la produzione mondiale raggiungerà il picco, sono tuttavia unanimi nel ritenere che, quando ciò accadrà, la quasi totalità delle riserve petrolifere mondiali ancora sfruttabili sarà nelle mani di alcuni paesi musulmani, con un conseguente potenziale pericolo per l'attuale equilibrio di potere nel mondo. (1)

Poi accanto a questo:

se la produzione mondiale di petrolio e di gas naturale raggiungesse il picco cogliendo il mondo impreparato, gli Stati e le aziende energetiche deciderebbero di sfruttare, come sostituti del petrolio, anche idrocarburi meno “puliti”, come carbone, olio combustibile e sabbie bituminose. Il ricorso a questi combustibili comporterebbe un incremento delle emissioni di CO2 nell'atmosfera, e, di conseguenza, un surriscaldamento della terra addirittura superiore alla già preoccupante stima di un valore oscillante tra 1,5 e 5,8 °C da qui alla fine del ventiduesimo secolo, con ricadute sulla biosfera ancora più devastanti di quelle già previste. (2)

Qui si evidenza l'angolatura dalla quale l'autore analizza le vicende. Egli vede come potenzialmente pericoloso e destabilizzante il fatto che le risorse energetiche residue siano localizzate soprattutto nei paesi del Golfo Persico; inoltre si preoccupa dell'impatto ambientale ancora più devastante che l'uso incontrollato dei combustibili fossili più tradizionali avrebbe sul pianeta se questi fossero impiegati accanto al petrolio. È la premessa dalla quale Rifkin parte per dare alla questione energetica una risposta alternativa all'uso del petrolio, risposta che illustrerà nel seguito del libro. In questo noi individuiamo il lucido punto di vista di un pensatore borghese che si preoccupa della conservazione del sistema economico capitalistico e che si pone quindi il problema della sostenibilità ambientale dell'attuale processo di accumulazione fondato su una produzione complessivamente crescente di merci che richiede ovviamente un consumo di energia altrettanto crescente.

Egli si rende conto, superando gli interessi specifici di questo o quel settore economico, che tutta la società capitalistica sta giungendo a una fase critica data dal rapido esaurimento delle risorse petrolifere e che diviene necessario e urgente cercare, con indirizzi di politica economica e con adeguati investimenti, strade alternative di approvvigionamento energetico svincolate dagli attuali limiti quantitativi e geografici dei pozzi petroliferi. Perciò Rifkin suona l'allarme!

Continua poi mostrando che ogni precedente civiltà, ad esempio quella di Roma antica, quando non ha saputo risolvere la propria crisi energetica ha dovuto subire un inesorabile e tragico declino. Per brevità non critichiamo questo punto in cui l'autore, rovesciando i termini del problema, fa discendere dalla crisi energetica, cioè da un particolare aspetto dei rapporti economici tra le classi, la decadenza di un modo di produzione e quindi di quella che lui chiama una civiltà. In ogni caso, per Rifkin il problema si sta riproponendo. Egli lo evidenzia facendo vedere come l'odierna globalizzazione è potuta avvenire per la possibilità di consumare a basso costo crescenti quantità di energia ricavata dal petrolio. Anzi tutta la storia del capitalismo dell'ultimo secolo, prima la lotta per il carbone, poi per il petrolio, è la storia della lotta per il controllo delle fonti energetiche. Chi le ha governate si è assicurato delle ricchezze incommensurabili, chi invece non ha potuto disporne, i paesi arretrati ad esempio, ha dovuto subire un progressivo indebitamento e depauperamento. Detto questo egli pone una questione:

la nostra vulnerabilità è particolarmente elevata a causa di un'infrastruttura energetica molto centralizzata e gerarchizzata, e alla struttura economica che ne deriva, creata per gestire un regime energetico fondato sui combustibili fossili... Gli enormi costi associati alla lavorazione del carbone, del petrolio e del gas naturale richiedono ingenti investimenti di capitale e portano alla formazione di colossali imprese energetiche. Attualmente, otto mega-aziende - pubbliche e private - dettano i termini del flusso dell'energia attraverso il mondo. (3)

In questa situazione Rifkin scorge i punti critici del sistema:

oggi, però, l'infrastruttura creata per sfruttare i combustibili fossili e gestire l'attività industriale comincia a invecchiare e a mostrare segni di cedimento. Si aprono crepe ovunque... Alcuni geologi stanno già ipotizzando scenari di crollo del sistema. Non essere preparati a ciò che potrebbe accadere - affermano i più catastrofisti - sarebbe un'imperdonabile follia. (4)

Ecco che si giunge al cuore del problema cioè il trapasso dall'era del petrolio a un'era nuova fondata sull'uso dell'idrogeno come fonte di energia. Si tratta, afferma l'autore, di una vera e propria nuova rivoluzione perché l'idrogeno è praticamente inesauribile ed è una fonte energetica pulita in quanto, non contenendo un solo atomo di carbonio, non porta ad alcuna emissione di anidride carbonica:

le fondamenta dell'economia dell'idrogeno sono già gettate. Nei prossimi anni la rivoluzione informatica e delle telecomunicazioni, associata a quella imminente dell'energia dell'idrogeno, costituirà un mix di tale potenza da riconfigurare radicalmente le relazioni umane nel corso del ventunesimo e ventiduesimo secolo. (5)

Dopo l'inquietante allarme, la soluzione per questo inguaribile ottimista (ma si tratta solo di ottimismo?) già si intravede. La cella a combustibile alimentata a idrogeno, la macchina non inquinante per la produzione di energia elettrica, sarebbe la panacea di tutti i mali. Dato che si tratta di un microimpianto installabile presso l'utente finale, essa rovescerebbe il modello energetico gerarchico e centralizzato controllato da pochi grandi potentati economici per dare luogo ad una rete fittissima, una nuova rete distribuita in tutto il mondo simile a quella del World Wide Web, di produttori-consumatori-scambiatori di energia:

la rete energetica mondiale dell'idrogeno (HEW, Hydrogen Energy Web) sarà la prossima grande rivoluzione economica, tecnologica e sociale della storia. Si innesterà nello sviluppo della rete globale di comunicazione, avviata negli anni Novanta, e - come questo - stimolerà la nascita di una nuova cultura della partecipazione. (6)

Quest'ultima sarà la...

base del primo regime energetico realmente democratico nella storia dell'umanità. (7)

Naturalmente Rifkin non è così sprovveduto da delineare questo processo senza pericoli e possibilità di fallimento. Egli avverte che bisogna, perché trionfi la democrazia, che:

le istituzioni pubbliche e quelle no-profit - soprattutto le società energetiche pubbliche che forniscono energia a milioni di utenti e le migliaia di cooperative senza scopo di lucro... - si facciano avanti fin dai primi stadi di sviluppo di questa rivoluzione energetica e contribuiscano a costituire in tutti i paesi le associazioni per la generazione distribuita. (8)

In questo modo...

un regime energetico decentralizzato, fondato sull'idrogeno, offre la speranza di connettere chi non lo è e di abilitare chi è privo di ogni potere. Se questo accadesse, potremo davvero pensare a una reale possibilità di “riglobalizzazione”, questa volta partendo dal basso e con la partecipazione di tutti. (9)

A questo punto, per completare il percorso storico umano con un superamento delle attuali contraddizioni e con l'affermazione di una società felicemente liberata dall'oppressione, Rifkin, con un crescendo di fiducioso ottimismo, conclude che:

la rete energetica dell'idrogeno, come la rete globale delle telecomunicazioni, permetterà di connettere ogni uomo a ogni suo simile in una matrice sociale ed economica indivisibile e interdipendente, cosicché la specie umana potrà trasformarsi in una comunità perfettamente integrata nell'ecosistema terrestre... La geopolitica disgregante, che tanto ha permeato l'era dei combustibili fossili, cederà il passo, nell'era dell'idrogeno, a un nuovo concetto di politica della biosfera. (10)

Con questo trionfante finale il nostro autore ci promette un futuro radioso e ci invita a non lasciarci sfuggire l'occasione storica per risolvere tutti i nostri problemi.

Il picco della produzione di petrolio, poi il disastro

Il petrolio disponibile è ancora molto? Per dipanare questa questione Rifkin spende un intero capitolo, il secondo, fornendo una quantità di informazioni davvero notevole. È interessante analizzarlo per comprendere l'imminenza dei problemi che vengono evidenziati. Tutta la diatriba tra i vari organismi e studiosi che si occupano di energia ruota intorno al periodo necessario al raggiungimento del picco della produzione mondiale. L'autore, sottolinea che il momento del picco è importante perché avvierà il processo di aumento del prezzo del petrolio (quello del gas naturale seguirà immediatamente dopo) e di conseguenza l'inasprirsi della lotta tra gli stati (come se oggi non fosse già aspra) per accaparrarsi le residue risorse energetiche giacché, da quel momento, la disponibilità sul pianeta di energia subirà un rapido deterioramento:

una volta che la produzione avrà raggiunto il picco, i prezzi del petrolio cominceranno a crescere inarrestabilmente, mentre nazioni, aziende e consumatori faranno a gara per procurarsi la rimanente metà delle riserve. Diversamente dalle prime crisi petrolifere degli anni Settanta e Ottanta, indotte da decisioni politiche, questa sarà provocata da una carenza reale... la diminuzione della disponibilità di greggio a buon mercato e la crescita della popolazione, soprattutto nel Terzo Mondo, creeranno nuove, pericolose tensioni. (11)

Fondamentalmente, si legge, esistono due correnti di pensiero: quella ottimista, capeggiata dall'Eia (12), che colloca il picco tra 35 anni (quindi nel 2037) e quella pessimista che invece lo colloca già tra il 2010 e il 2020. Appartengono a quest'ultima gli studi più recenti di Campbell e Laherrère (13), pubblicati nel 1998 e sempre più confermati da nuove pubblicazioni (tra queste lo studio dell'International Energy Agency dell'OCSE) che ridimensionano enormemente le riserve di petrolio dichiarate ufficialmente dagli stati anticipando il momento di picco, in alcuni casi, addirittura prima del 2010.

La questione è piuttosto complessa e, per ragioni di spazio, non possiamo illustrarla dettagliatamente. Però è importante evidenziare che in ogni caso il tracollo dell'attuale sistema energetico è, anche nell'ipotesi più ottimista (alquanto improbabile), un nodo che riguarda la vita delle attuali generazioni più giovani. Il libro di Rifkin, da questo punto di vista, ha un indubbio valore quando svela che il mito delle riserve quasi illimitate di idrocarburi, tanto propagandato negli scorsi decenni, ha vita breve e che gli studi più accreditati, quelli non legati agli interessi specifici della lobby petrolifera, anticipano al prossimo decennio il punto critico del sistema e il suo tracollo. Il monito conclusivo non lascia dubbi sulle prospettive:

a livello globale, la lotta per accaparrarsi il greggio e il gas naturale comincerà a intensificarsi nella seconda decade del ventunesimo secolo. E questa volta i paesi in via di sviluppo - come la Cina e l'India - saranno dipendenti dai combustibili fossili quanto lo sono le nazioni più industrializzate. Probabilmente, la crescita costante dei prezzi getterà lo scompiglio nell'economia mondiale, aumentando le prospettive di iperinflazione, recessione e depressione...potremmo assistere al potenziale crollo dell'intera infrastruttura che supporta la complessità di un'economia e una società globali. E se ciò dovesse accadere, il futuro potrebbe essere molto diverso non solo dalla realtà che ci è familiare, ma anche da qualunque cosa possiamo prefigurare o ipotizzare. (14)

Dopo questa previsione da incubo, l'autore evidenzia anche, sensibile com'è agli interessi strategici della potenza statunitense, i pericoli insiti nell'attuale crisi economica dei paesi arabi, in primo luogo dell'Arabia Saudita, che hanno fondato la propria ricchezza economica esclusivamente sull'estrazione dal loro sottosuolo del petrolio. Essi ora sono in serie difficoltà finanziarie e quindi esposti ad una instabilità politica che potrebbe avere degli effetti dirompenti sul delicato meccanismo mondiale di estrazione-trasporto-distribuzione del petrolio e del gas. Rifkin paventa, dopo il raggiungimento del picco petrolifero, una impennata dei prezzi del petrolio con conseguenti benefici sulle economie dei paesi produttori, innanzi tutto i paesi mediorientali, che beneficeranno di un trasferimento di ricchezza dalle potenze industriali, con l'aggravante di una possibile ascesa al potere dell'integralismo islamico. Tutto ciò per l'autore avrà come conseguenza un più acuto conflitto fra i paesi musulmani e l'Occidente. In realtà le cose stanno diversamente come le vicende militari dell'ultimo decennio stanno a dimostrare: gli Usa stanno affrontando questo problema con il progressivo intervento militare nei punti geografici strategici in cui si produce il petrolio, innanzi tutto in Medio Oriente. Che la situazione vada verso una più accentuata instabilità è vero ma l'imperialismo americano, questo viene taciuto da Rifkin, sta già dando le proprie risposte a danno dei paesi produttori.

La catastrofe ambientale

L'autore del libro esplora anche le devastanti conseguenze che le attuali emissioni di anidride carbonica potrebbero avere sull'ecosistema della terra per effetto del suo surriscaldamento. Innanzi tutto mostra che il crescente consumo di gas naturale non mitiga il problema dato che:

la produzione globale di gas naturale raggiungerà probabilmente il picco subito dopo quella del petrolio; alcuni analisti indicano come data il 2020.

Poi evidenzia le terribili conseguenze sul clima che si avrebbero con lo sfruttamento del greggio pesante, delle sabbie bituminose o del carbone che potrebbero diventare energie economicamente competitive con il progressivo aumento del prezzo del petrolio (i 45 dollari al barile potrebbero essere in futuro una soglia facilmente superabile). Egli evidenzia che già oggi alcuni stati, con gli Usa in testa, stanno intensificando il ritorno all'impiego del carbone e questo spiega, aggiungiamo noi, il rifiuto americano del protocollo di Kyoto. È molto interessante (e inquietante) leggere le devastanti conseguenze che si avrebbero sul clima, sulle riserve di acqua per usi domestici, agricoli e industriali e sui terreni contaminati dai fanghi derivanti dai processi di estrazione del petrolio dalle fonti non convenzionali sopra indicate. Nei paragrafi Il bilancio entropico dell'era industriale e Lo scenario più pessimista del capitolo intitolato significativamente Un collasso globale, Rifkin avverte, sulla base dei più recenti studi scientifici, che è alle porte, senza che nessuno possa prevedere il momento preciso, il punto in cui il clima sulla Terra potrebbe cambiare repentinamente provocando degli sconvolgimenti simili a quelli che in altre epoche hanno portato all'estinzione, in un tempo brevissimo, di intere specie viventi. Tutti i modelli previsionali di aumento della temperatura terrestre infatti ipotizzano dei cambiamenti qualitativi sul clima progressivi; nel 2002 un accreditato studio scientifico ha messo in discussione questa ipotesi affermando che:

un brusco cambiamento si verifica quando il sistema climatico è spinto a superare certe soglie, innescando una transizione verso un nuovo stato... (15)

E che:

le attuali tendenze, e le previsioni per il prossimo secolo, indicano che le medie e le variabilità climatiche raggiungeranno probabilmente livelli mai registrati con rilevamenti strumentali nella storia geologica recente. Queste tendenze sono potenzialmente in grado di spingere il sistema climatico oltre la soglia di un nuovo stato.

Nessuno è in grado attualmente di prevedere quando ciò si potrà verificare e quali sconvolgimenti comporterà la transizione rapida della Terra ad un nuovo stato climatico ma è terrificante solo immaginare i rischi che l'attuale classe dominante sta facendo correre all'intera umanità. Tra i fenomeni più gravi che potrebbero manifestarsi ci sarebbero il crollo della produzione agricola in molte aree del pianeta che renderebbe ancora più insufficienti le risorse alimentari per intere popolazioni; la migrazione di alcune malattie in aree del pianeta ora immuni (malaria e dengue ad esempio); l'ulteriore riduzione della foresta pluviale; il progressivo scioglimento dei ghiacci della terra con un conseguente innalzamento del livello del mare che porterebbe alla perdita di grandi regioni costiere dove vivono moltitudini di uomini; l'aumento delle precipitazioni piovose a forte intensità. Così Rifkin conclude:

tre forze dominanti stanno convergendo rapidamente... l'interazione tra l'imminente picco della produzione petrolifera globale, la conseguente concentrazione delle rimanenti riserve petrolifere in Medio Oriente... e il progressivo riscaldamento dell'atmosfera terrestre... [stanno - ndr] creando una situazione critica e pericolosa per il mondo... siamo sempre più esposti a minacce e distruzioni, dall'interno e dall'esterno, il che rende la fase industriale che stiamo vivendo un momento storico caratterizzato dalla massima precarietà. (16)

Rifkin si rende ben conto che la società capitalistica sta galoppando verso situazioni che potrebbero minacciare la sua stessa esistenza e lancia con urgenza il grido d'allarme alla borghesia: egli ritiene improcrastinabile il cambiamento radicale del regime energetico pena il potenziale crollo di tutto il sistema. Pertanto, da buon riformista preoccupato per le sorti della società capitalistica, invita la classe dominante ad agire, a prendere coscienza della necessità di accelerare il processo di sostituzione del petrolio con l'idrogeno.

Idrogeno: è una vera soluzione?

L'ottavo capitolo del libro è dedicato a presentare la futura economia all'idrogeno. Se fino a questo punto al libro di Rifkin si deve il merito di portare alla luce la drammaticità della situazione con il supporto di una considerevole mole di dati e di citazioni di studi scientifici, quando si arriva al dunque, quando ci si aspetta una altrettanta robusta descrizione del percorso per sostituire il petrolio con l'idrogeno, si ha invece la netta sensazione della caduta di tono dello studio che a questo punto perde decisamente spessore e assume quasi il tono di mera propaganda a favore di soluzioni tecnologiche che con una reale soluzione dei problemi precedentemente descritti hanno ben poco a che vedere.

Rifkin, dopo aver affermato che l'idrogeno è presente sulla terra in quantità praticamente inesauribili, che è la fonte energetica più efficiente, che rappresenta il compimento del percorso di decarbonizzazione dell'energia che rappresenta l'alternativa ai combustibili fossili e dopo aver fatto una breve e interessante storia della sua scoperta e del suo impiego, analizza come si può produrre energia da questo elemento che, questo è detto quasi per inciso, non esiste libero in natura. A questo punto il professore è costretto a considerare il problema della produzione dell'idrogeno. Egli descrive brevemente lo steam reforming, il processo industriale che ricava l'idrogeno dal metano o dal carbone e che oggi fornisce la metà di tutto l'idrogeno prodotto. Rifkin, quasi incurante del piccolo particolare che per avere a disposizione l'idrogeno come fonte energetica bisogna consumare per la sua produzione il prezioso gas naturale o addirittura l'inquinantissimo carbone e che si avrebbero conseguenti emissioni di anidride carbonica, si dilunga nel mostrare che questa soluzione richiederebbe di avere a disposizione quantità crescenti di gas; alla fine, con una ben misera conclusione, egli ammette che:

se, fra vent'anni, il gas naturale rischia di non essere disponibile in misura sufficiente a soddisfare la domanda di elettricità [le centrali termoelettriche funzionanti a gas oggi sono in forte crescita - ndr], puntare su di esso per la produzione d'idrogeno potrebbe essere insensato.

Senza contare gli enormi problemi che si dovrebbero affrontare per immagazzinare in ipotetici depositi sotterranei, questa sarebbe la soluzione proposta dai fautori dello steam reforming per rallentare la progressione dell'effetto-serra, l'anidride carbonica che verrebbe emessa per ottenere l'idrogeno. L'autore non trascura questo problema ma lo relega quasi a particolare di poco peso mentre si tratta di un ulteriore importante motivo che rende controproducente la produzione di idrogeno.

Rifkin prosegue affermando che allora si potrebbe produrre idrogeno, senza impiegare idrocarburi, per mezzo dell'elettrolisi, un processo che può funzionare solamente consumando l'elettricità. Si rimane sconcertati di fronte alle palesi incongruenze del ragionamento di Rifkin perché egli si "dimentica" che per produrre elettricità, allo stato attuale delle cose, occorre bruciare nelle centrali termoelettriche ancora una volta i soliti idrocarburi, gasolio o gas naturale. Si ritorna perciò al precedente problema: per avere a disposizione dell'energia pulita, quella contenuta nell'idrogeno, si deve consumare dell'energia inquinante, per giunta in via di esaurimento.

Così i problemi che l'autore vuole risolvere vengono invece riproposti ancora una volta in altro modo. Evidentemente egli a questo punto si è tolto le vesti dello studioso ed ha indossato i panni di un qualunque volgare sicofante. Ignorando questa fondamentale questione, egli muove un rilievo che può essere valutato solo come un motivo aggiuntivo di impraticabilità del processo: il costo di produzione dell'idrogeno con l'elettrolisi sarebbe addirittura superiore di tre o quattro volte a quello dello steam reforming. Quindi anche questa strada non porta da nessuna parte, a tal punto che lo stesso Rifkin è costretto ad affermare:

la vera domanda, dunque, è se sia possibile impiegare forme di energia rinnovabili e non appartenenti alla famiglia degli idrocarburi - come quella fotovoltaica, eolica, idroelettrica e geotermica - per generare l'elettricità utilizzata nel processo elettrolitico. (17)

Una salomonica conclusione! Egli non lo dice ma in pratica afferma che per avere l'idrogeno, cioè una nuova fonte energetica pulita, bisogna produrre altrettanta elettricità da fonti energetiche pulite! Perché allora non impiegare l'energia solare, eolica, ecc. direttamente senza passare dall'ulteriore processo di produzione dell'idrogeno che procurerebbe inevitabilmente una perdita di energia e sarebbe quindi inefficiente? Rifkin questo non lo spiega e si preoccupa solo di sottolineare l'impegno crescente dell'industria nello sviluppo delle tecnologie per lo sfruttamento delle energie rinnovabili. Gli preme evidenziare il vantaggio che avrebbe la produzione di idrogeno:

l'aspetto principale del ricorso a fonti rinnovabili d'energia...per produrre idrogeno è che possono essere convertite in energia immagazzinabile, da usare in forma concentrata quando e dove necessario, senza alcuna emissione di CO2. (18)

Per Rifkin questo sarebbe il vantaggio! Senza neanche dimostrare se questo vantaggio sarebbe compensato dai costi economici e a dal consumo di energia necessari a produrre l'idrogeno! Anche qui è sconcertante constatare come la puntigliosità e il rigore di analisi mostrati nella parte precedente del libro siano letteralmente volatilizzati e siano stati sostituiti da affermazioni prive di qualsiasi base scientifica. Egli stesso ammette infine che:

creare infrastrutture per la conservazione dell'idrogeno pone, tuttavia, ulteriori questioni di costi aggiuntivi. (19)

Tutto ciò mette in evidenza la fragile costruzione concettuale dell'autore quando si constata che produrre idrogeno è antieconomico da ogni punto di vista. Come se niente fosse, ignorando completamente tutti questi problemi, Rifkin propone la soluzione finale, quella su cui poi fonda tutta la sua puerile teoria della democratizzazione della società: la cella a combustibile. Con sistematica superficialità, quando descrive il suo funzionamento, egli afferma la presunta superiorità della cella rispetto ad una normale batteria spiegando che la prima converte l'energia chimica di un combustibile con cui viene alimentata, appunto l'idrogeno, per generare elettricità. Per l'autore, a differenza della batteria, la cella a combustibile non deve essere ricaricata e continua a generare elettricità finché dall'esterno viene fornita di combustibile.

La presunta superiorità della cella, secondo questa descrizione priva di scientificità non risulta affatto evidente anzi è totalmente incomprensibile. Egli però, con grande sicurezza e presunzione, dopo questa oscura esposizione di vantaggi più fantasiosi che reali, prosegue attribuendo a questa tecnologia l'ulteriore merito di utilizzare l'ecologico idrogeno piuttosto che gli inquinanti idrocarburi. Qui ritorna l'annosa questione, ignorata ancora una volta dal libro, che per far funzionare questa macchina bisogna prima aver prodotto l'idrogeno. Ma non abbiano appena visto che attualmente per produrre l'idrogeno bisogna consumare proprio gli idrocarburi e che l'uso in larga scala delle fonti energetiche rinnovabili è ancora tutto da inventare? Non abbiamo appena visto che se si potessero usare intensivamente le energie rinnovabili allora tanto varrebbe impiegarle direttamente negli apparecchi utilizzatori finali piuttosto che per produrre l'idrogeno? Rifkin questi problemi non se li pone proprio e prosegue spedito per la sua strada:

le celle a combustibile alimentate a idrogeno possono potenzialmente produrre elettricità a sufficienza per coprire il fabbisogno futuro dell'umanità... anche le celle a combustibile sono costose... ma decine di aziende di nuova costruzione, oltre ad alcuni colossi multinazionali, stanno entrando nel settore, nella speranza di aprire la strada all'economia all'idrogeno. (20)

Come possano produrre elettricità per l'intera umanità senza aggravare i problemi del depauperamento delle riserve di combustibili fossili e senza aumentare le emissioni di anidride carbonica Rifkin lo lascia immaginare alla fantasia dei suoi lettori senza spendere una parola in proposito, come se il problema non esistesse. Aggiungiamo noi, per obiettività, che l'impiego delle celle a combustibile, ad esempio come motore di un'automobile, avrebbe il vantaggio di disinquinare le città (l'idrogeno è un'energia ad emissione zero) disperdendo le emissioni nocive derivanti dalla produzione di idrogeno in altre parti, più estese, del territorio. Ma questo, come si può facilmente capire, è un vantaggio parziale che non risolve i problemi dell' approvvigionamento di energia e del riscaldamento terrestre così ben descritti dallo stesso Rifkin.

L'inconcludente riformismo di Rifkin

Tutta la costruzione concettuale di Rifkin crolla di fronte a questo semplice constatazione:

l'idrogeno è un gas infiammabile che non esiste sulla superficie terrestre e produrlo artificialmente richiede di per sé un notevole dispendio di energia. Di conseguenza esso non può essere di per sé etichettato come energia ma soltanto come vettore, cioè come mezzo per immagazzinare l'energia prodotta da altre fonti. Notiamo subito che tale immagazzinamento, come ogni conversione da un tipo di energia a un altro, ha un costo energetico, cioè comporta la degradazione in calore e la conseguente perdita di una parte dell'energia coinvolta... l'idrogeno prodotto in questi processi [lo "steam reforming" - ndr] contiene circa il 75% dell'energia fornita in ingresso, mentre il restante 25% viene perso sotto forma di calore. Il nostro vettore di energia è quindi in realtà assimilabile a un secchio bucherellato. (21)

Inoltre...

la quantità di anidride carbonica ottenuta producendo idrogeno per reforming è la stessa che si produrrebbe se il metano o il petrolio utilizzati fossero bruciati direttamente in una centrale elettrica... l'uso dell'idrogeno così prodotto può risultare svantaggioso quando si consideri l'anidride carbonica prodotta per unità di energia generata.

Nell'articolo da cui sono tratti questi brani si fanno analoghe considerazioni alle nostre precedenti a proposito della cella a combustibile e all'impiego di fonti energetiche rinnovabili per produrre l'idrogeno. Perché Rifkin allora, nonostante la sua erudizione e i suoi molteplici titoli accademici, si smarrisce di fronte a questo problema? Egli semplicemente è incapace di ragionare al di fuori degli schemi imposti dall'economia capitalistica ed è fortemente vincolato ai forti interessi che gravitano intorno alla tecnologia dell'idrogeno.

Egli non riesce a concepire un modello di sviluppo economico e sociale diverso da quello fondato sull'accumulazione del capitale. Questo lo porta a presupporre i consumi energetici sempre crescenti perché solo a questa condizione è possibile l'accumulazione crescente del capitale. Quindi produzione mondiale perennemente crescente (altrimenti sarebbe la crisi del sistema), quindi consumi di merci crescenti, quindi ancora consumi di energia che dovranno per forza crescere. Che tutto questo, dati gli attuali livelli di produttività della produzione capitalistica, sia ormai incompatibile con l'ambiente (e con un vivere umano dei lavoratori) non viene neanche preso in considerazione altrimenti sarebbe per lui necessario ammettere che bisognerebbe ridefinire il fine stesso dell'economia spostandolo dal profitto ai bisogni dell'uomo e, insieme a questo, ridefinire il modello di sviluppo svincolandolo dalla continua crescita della produzione di merci; questo obbligherebbe a mettere in discussione gli attuali rapporti sociali. Rifkin rabbrividirebbe a questa prospettiva...

Di conseguenza, costretto a ragionare negli angusti ambiti delle compatibilità col sistema capitalistico, egli deve utilizzare esclusivamente quello che quest'ultimo gli mette a disposizione, nel nostro caso la tecnologia dell'idrogeno. Anche per le fonti energetiche rinnovabili vale lo stesso discorso; per sfruttarle massicciamente, oggi sarebbe necessario fare enormi investimenti che per il capitalismo sarebbero antieconomici in quanto non produrrebbero dei profitti in linea con i saggi medi del mercato. Nessun ente economico si accollerebbe gli enormi esborsi di capitale senza avere dei ritorni a breve termine. Ecco perché esse non decollano. Ed ecco perché Rifkin preferisce puntare sulla produzione di idrogeno con l'impiego di idrocarburi: ci sono già delle importanti aziende americane che hanno scommesso e investito su questa tecnologia. Che quest'ultima possa poi dare la mazzata finale proprio alle scarse riserve di combustibili fossili e all'ecosistema terrestre è il prezzo che per Rifkin bisogna pagare nel tentativo, disperato diciamo noi, di trovare una soluzione al problema tenendo conto degli attuali interessi economici dominanti e nella prospettiva, tutta indefinita, dell'impiego delle fonti energetiche rinnovabili.

Le restanti argomentazioni del libro sono solo astuta propaganda. La nuova società democratica da lui delineata nell'ipotesi dell'avvento dell'economia all'idrogeno, con i cittadini diventati produttori individuali di energia connessi in una rete mondiale, è una spudorata menzogna che non merita neanche la fatica di un'ulteriore critica. Quale democrazia ha portato il World Wide Web? Nessuna, assolutamente nessuna. Altrettanto farebbe l' HEW da lui preconizzato. Ogni nuova tecnologia richiede investimenti, ricerche e impianti industriali che solo il grande capitale può realizzare. Così sarebbe (e in parte lo è già) per l'idrogeno.

Carlo Lozito

(1) Da Economia all'idrogeno di Jeremy Rifkin, edito da Mondatori, 2002, p. 8.

(2) Ibidem, pag. 8. Qui Rifkin fa riferimento alle previsioni riportate su Summary for Policy Makers. Climate Change 2001. A report of Working Group I of the Intergovernmental Pel on Climate Change di Daniel Albritton e altri, IPCC, 2001, p. 13.

(3) Ibidem, p. 9.

(4) Ibidem, p. 12.

(5) Ibidem, p. 12.

(6) Ibidem, p. 13.

(7) Ibidem, p. 13.

(8) Ibidem, p. 14.

(9) Ibidem, p. 15.

(10) Ibidem, p. 16.

(11) Ibidem, p. 30.

(12) Energy Information Administration dell'US Departemnt of Energy, ente governativo statunitense.

(13) Colin J. Campbell e Jean H. Laherrère, The end of Cheap Oil, in "Scientific American", marzo 1998.

(14) Ibidem, p. 153.

(15) Abrupt Climatic hange: Inevitabile Surprises, The National Academy of Sciences, Washington, DC, National Academy Press, 2002, P. 10.

(16) Ibidem, p. 174.

(17) Ibidem, p. 226.

(18) Ibidem, p. 231.

(19) Ibidem, p. 231.

(20) Ibidem, p. 233.

(21) Tratto dall'articolo intitolato "L'idrogeno, rivoluzione sulla carta" apparso sul quotidiano Il Manifesto del 9 marzo 2003, sottoscritto da un gruppo di scienziati aderenti al Comitato "Scienziate e scienziati contro la guerra".

Prometeo

Prometeo - Ricerche e battaglie della rivoluzione socialista. Rivista semestrale (giugno e dicembre) fondata nel 1946.