Fuoco sui disoccupati - In Irak le truppe USA attaccano i proletari

A Baghdad, nei pressi dell'Hotel Palestine e a Mosul, la polizia del governo collaborazionista e le truppe d'occupazione americane hanno sparato su di una folla di disoccupati che chiedevano lavoro nelle strutture pubbliche, denunciando inoltre l'inefficienza e la corruzione dell'amministrazione sorretta dal governo Usa. L'episodio in sé è di poco conto se paragonato alle atrocità dei bombardamenti che la popolazione irachena ha dovuto subire, non di meno merita considerazione per almeno due motivi. Il primo è che l'imperialismo americano non si è minimamente preoccupato di iniziare un processo di ricostruzione dei servizi sociali di primaria necessità che dieci anni di embargo e le devastazioni della guerra hanno praticamente azzerato. In tutte le maggiori città irachene l'acqua potabile, l'energia elettrica, gli ospedali, le poste e le ferrovie giacciono in uno stato di totale abbandono. La miseria colpisce tutte le stratificazioni sociali, in particolare i disoccupati, che si contano a milioni, sono alle soglie della mera sopravvivenza. Nelle strategie americane la guerra contro l'Iraq aveva come obiettivo immediato la rapina a mano armata delle sue risorse energetiche, il potenziamento dello sfruttamento del secondo bacino petrolifero mondiale, la ricostruzione delle strutture e infrastrutture legate all'industria petrolifera primaria e di derivazione, non certo quello di alleviare le condizioni di vita della popolazione. Per questioni come queste l'amministrazione americana ha invocato quella stessa Onu, di cui si è fatta beffe prima e durante l'episodio bellico, nella speranza di non accollarsi tutte quelle spese umanitarie che graverebbero inutilmente sul già provato deficit del bilancio federale.

Il secondo motivo riguarda il panorama delle opposizioni politiche all'occupazione americana. A parte i due più importanti partiti curdi di Talabani e Barzani che ancora prima dell'inizio delle ostilità si erano venduti per un pugno di dollari alle promesse di Washington, tutte le altre componenti sociali si stanno esprimendo, in chiave nazionalistica, contro l'arrogante occupazione americana. Lo fanno i miliziani del vecchio regime di Saddam che cercano, tra un attentato e l'altro, di riorganizzarsi militarmente, i Sunniti del nord iracheno, gli Sciiti del centro sud e in parte la stessa popolazione civile delle grandi città. Anche il vecchio e rinato partito comunista stalinista che in simbiosi al neonato partito comunista operaio invoca dall'Onu indipendenza e democrazia, il tutto sempre nei rigidi schemi di un'impostazione nazionalistica. Lo fa anche lo sparuto e spaurito proletariato iracheno, i disoccupati, i diseredati della guerra che a migliaia hanno dimostrato a Baghdad e a Mosul per un posto di lavoro e per un salario, anche se minimo e per nulla sufficiente a garantire un tenore di vita decente. Non è la prima volta che, dalla chiusura della guerra, si inscenino episodi di questo genere, ma è la prima volta che la polizia del governo Chalabi e le truppe americane aprano il fuoco contro i manifestanti. Ad un piccolo episodio di lotta si è risposto con una grande e criminale vigliaccata, segno delle difficoltà da parte dell'imperialismo americano, del suo governo fantoccio e sintomo inequivocabile che anche a quelle latitudini sociali esiste un proletariato con tutti i problemi di sopravvivenza che la guerra comporta ed esaspera. Queste manifestazioni non sono nulla di straordinario ma rappresentano un segnale che quella è la strada, certamente lunga e tortuosa, sbarrata oltre che dalle armate americane, anche dall'ideologia nazionalista di tutte le forze politiche interne, dall'assoluto isolamento da altre esperienze proletarie dell'area medio orientale, ma è altrettanto certamente l'unica percorribile perché prenda l'avvio un principio, anche se timido e confuso, di lotta di classe. Senza la minima presenza di una organizzazione rivoluzionaria questi piccoli episodi non possono certamente suscitare alcuna enfasi e speranza, ma è comunque importante che a muoversi nelle piazze irachene ci siano i brandelli di quel proletariato che più di ogni altra componente sociale potrebbe innescare in futuro una lotta che esca dai binari precostituiti della vecchia borghesia petrolifera, di quella teocratica legata alla rivincita islamica dell'integralismo sciita e sunnita. Se ciò avvenisse sarebbe un esempio per i proletariati dell'area medio orientale che, oltre alla solidarietà di classe nei confronti del proletariato iracheno, potrebbero seguirne l'esempio nei rispettivi paesi.

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.