La svolta moderata di Abu Mazen che piace a Bush

Migliaia di proletari morti per nulla

Con la scomparsa di Arafat il conflitto tra israeliani e palestinesi sembra percorrere una strada più possibilista per la ricerca di un compromesso. L'imperialismo americano ha la necessità di convincere l'amico sionista che forse è arrivato il momento di dare una svolta ad un conflitto che si trascina da troppo tempo, e che ha rappresentato un perenne focolare di tensioni in tutta l'area mediorientale.

Le lotte di potere tra le varie fazioni borghesi arabe, di governo e di opposizione, spesso hanno utilizzato la questione palestinese per mascherare ben altri interessi in gioco, mentre della sorte di quella popolazione non importava niente a nessuno.

All'interno del disegno complessivo americano non sono una coincidenza le elezioni presidenziali del 9 gennaio in Palestina, vinte da Abu Mazen e le elezioni del 30 gennaio in Iraq presiedute dal governo provvisorio del presidente Allawi. Entrambi i personaggi sono graditi e sono funzionali all'intento di stabilizzazione del Medio Oriente da parte di Washington, in quanto solamente la pacificazione e il controllo sicuro del territorio potranno permettere la gestione del petrolio, obiettivo strategico fondamentale di tutta l'azione degli Stati Uniti.

Merce di scambio tra il primo ministro israeliano Ariel Sharon e il leader palestinese lo smantellamento delle colonie ebraiche che riguarda 8-9 mila persone nella striscia di Gaza quale premessa all'eventuale nascita di uno stato palestinese, con esclusione molto probabile di gran parte della Cisgiordania, territorio economicamente più interessante e ricco d'acqua dove è consistente la presenza dei coloni israeliani, circa 250 mila. In cambio l'Autorità nazionale palestinese dovrà garantire sicurezza e stabilità ponendo fine all'Intifada e agli attentati terroristici attraverso un efficiente apparato poliziesco di repressione.

Siamo ai minimi termini rispetto al programma originario di Al-Fatah, il quale prevedeva la distruzione dello Stato di Israele e la riconquista della Palestina storica. I tempi cambiano: preso atto che gli avversari sono troppo forti bisogna accontentarsi di ciò che passa il convento, che è sempre meglio di niente, ovvero di uno straccio di terra in cui impiantare le proprie basi statuali sulle quali poter amministrare la principale risorsa economica posseduta dalla borghesia palestinese: il capitale finanziario, da potere liberamente ed efficacemente collocare nel circuito speculativo internazionale.

Per non perdere il treno che porterà al tavolo delle trattative per la spartizione della torta, sembra che a più miti consigli stiano pervenendo anche le componenti del radicalismo religioso, Hamas e la Jihad islamica, tutto a un tratto disponibili a cooperare per la pace, facendo una capriola completa come solo le forze borghesi sono capaci quando è in gioco il loro tornaconto.

Hamas in particolare potrà far valere la schiacciante vittoria elettorale di fine gennaio nei comuni di Gaza dove ha conquistato 75 consiglieri su 118, con una affluenza alle urne dell'88%, ben superiore a quella delle elezioni presidenziali boicottate dagli islamismi. Questo successo segue quello di dicembre in Cisgiordania dove Al-Fatah aveva perso numerose amministrazioni sempre a vantaggio di Hamas.

Le estenuanti e inconcludenti trattative, nonostante le richieste di volta in volta sempre più modeste della dirigenza palestinese, hanno spinto la stragrande maggioranza dei diseredati ad abbandonare Arafat e il suo partito dopo decenni di dure lotte costate sangue e inauditi sacrifici. Il proletariato palestinese non avendo un punto di riferimento classista, ovvero un'alternativa al nazionalismo borghese, capace di spostare la critica e la lotta contro il capitalismo, vero nemico di tutto il proletariato internazionale, è finito dalla padella nella brace.

Quanto non poteva più dare il tradizionale nazionalismo arabo in termini di aspettative per il futuro e di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, è stato sostituito da ciò che passava il mercato politico, in questo caso come in molte altre situazioni mediorientali, è emerso il fattore religioso, mai sopito per la verità, nelle forme ultrareazionarie.

I partiti dell'integralismo islamico facendo leva su quelle forme di solidarietà e di aiuti che i partiti laici non erano più in grado di garantire, sono diventati il riferimento soprattutto delle nuove generazioni e hanno incanalato la rabbia e le lotte per aumentare il loro potere. Ora arrivati al bivio, presumibilmente con accordi sottobanco delle diverse parti in causa israeliane e palestinesi sotto la regia del grande fratello americano, tutti si scoprono come per incanto moderati e amanti della pace.

Finalmente si prospetta un cessate il fuoco generale, guarda caso, in attesa della imminente visita del segretario di Stato americano Condoleezza Rice che incontrerà Sharon e Abu Mazen. Scaricato il proletariato anche dall'integralismo, ora la borghesia nel suo complesso, moderata e radicale, patteggerà il prezzo della propria collaborazione.

Al proletariato non resta che l'ennesimo ammonimento, correre dietro il carro dei borghesi significa andare incontro ad una sicura sconfitta, non esiste nessuna scorciatoia alla lotta di classe intransigente e anticapitalista.

gc

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.