Le direttive europee sui servizi e l'orario di lavoro

L'Europa si adegua alle nuove esigenze del capitale

Il mito di un'Europa sociale, sostanzialmente estranea ai furori neo-liberisti statunitensi e britannici, nelle prossime settimane potrebbe ricevere un altro duro colpo, benché i miti siano duri a morire e lo squallido opportunismo dei nostri politicanti sinistrorsi - per intenderci, Rifondazione faccia di tutto per impedire al "popolo di sinistra" di prenderne coscienza e trarne le necessarie conclusioni. La poltrona ministeriale è un traguardo troppo importante per rischiare di comprometterlo in nome di un'incondizionata coerenza con il ruolo di acerrimi nemici della precarietà che Bertinotti &Co. pretendono di attribuirsi. In effetti, sarebbe un atto suicida denunciare l'operato dell'ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi, proprio nel momento in cui quest'ultimo viene presentato come il più valido antidoto al veleno del liberismo berlusconiano. Le cose, in realtà, stanno in tutt'altro modo e per rinfrescarsi la memoria basta guardare ciò che la Commissione guidata dal professore bolognese aveva approvato per smantellare gli ultimi diroccati bastioni del fu "stato sociale" e accelerare la messa in concorrenza al ribasso della forza-lavoro mondiale.

Giusto un anno fa, la Commissione varò la cosiddetta direttiva Bolkestein, secondo la quale le imprese fornitrici di servizi non sono tenute a rispettare la legislazione del paese in cui operano, ma quella del paese in cui hanno sede legale. Per esempio, un'azienda polacca potrebbe trasferire i suoi dipendenti - polacchi o provenienti da altre nazioni non appartenenti all'Europa dei 25 - in qualunque stato dell'Unione, o assumere manodopera locale, facendo però riferimento ai salari e alla normativa del lavoro vigente in Polonia. Oppure, un'impresa, mettiamo italiana, potrebbe benissimo aprire o trasferire la propria sede legale in cui la legislazione è più vantaggiosa per il padronato, scavalcando la legislazione italiana, pur continuando ad agire in Italia. Volendo fare una battuta semiseria, vien da dire che, dopo le cure della legge Treu e della legge 30, forse i lavoratori italiani avrebbero poco da temere da quella direttiva, visto che i padroni hanno solo l'imbarazzo della scelta tra le mille forme di precarietà e super-sfruttamento messe loro a disposizione dai governi degli ultimi dieci anni. Però, abusando di un detto popolare, al peggio non c'è mai fine, e, specialmente nei nuovi stati entrati ultimamente nell'UE, sicuramente in questo o quel settore di attività (per non dire in tutti) le condizioni generali di lavoro sono peggiori che nel resto dell'Unione. Inoltre, è ovvio che una volta stabilito il "principio del paese d'origine", anche le aziende che non delocalizzano la sede tenderebbero a comprimere il famigerato costo del lavoro per non essere tagliate fuori dal mercato dei servizi. È vero che la direttiva sembrerebbe escludere quelli forniti "gratuitamente dallo stato e dagli enti pubblici", quindi, per esmpio, la scuola e la sanità, ma su questo punto non c'è accordo tra i governi dell'UE, visto che, a rigore, né la scuola né la sanità sono completamente gratuite e sempre di più si stanno privatizzando.

Se la Bolkestein venisse approvata dal parlamento di Strasburgo - superando l'opposizione puramente strumentale di alcuni paesi, quali la Francia - l'Europa conquisterebbe una posizione d'avanguardia nei negoziati GATS sulla totale deregolamentazione e privatizzazione dei servizi, anche di quelli un tempo detti sociali. Sarebbe un modo per imporre lo "spirito" dell'AMI (Accordo Multilaterale sugli Investimenti), naufragato qualche anno fa non per l'opposizione dei popoli, come pretende il movimento altermondialista o no-global, ma per quella degli stati, incapaci di trovare un termine di compromesso soddisfacente per tutti. Con l'AMI, infatti, le imprese, in particolare le multinazionali, avrebbero potuto scavalcare le legislazioni nazionali che avessero in qualche modo ostacolato il "libero mercato" (per esempio, le leggi di tutela ambientale o quelle sulla sicurezza sul lavoro). La Bolkestein ottiene più o meno lo stesso risultato, ma tutto avviene per così dire in famiglia, sotto il controllo della composita borghesia europea e non di qualche multinazionale appartenente magari al campo imperialista avversario.

Parallelamente alla direttiva Bolkestein, è in esame un'altra direttiva che, come la prima, farebbe saltare per aria il contratto nazionale e le normative nazionali a tutela dei lavoratori - deboli barriere allo strapotere padronale - frutto dell'epoca in cui il capitalismo era in grado di concedere spazi di manovra al riformismo collaborazionista del sindacato. Si sta discutendo, infatti, la revisione in senso peggiorativo della precedente direttiva europea sull'orario di lavoro che, tra le altre nefandezze, in nome della parità tra i sessi aveva abolito il divieto del lavoro notturno per le donne e fissato il limite dell'orario settimanale a 48 ore, ma solo in determinati periodi. Ora, invece, si vorrebbe estendere le quarantotto ore a tutto l'anno e dare ai padroni la possibilità di stipulare coi lavoratori contratti individuali che contemplino un orario settimanale di 65 ore! Ancora una volta, però, da una parte la legge non farebbe altro che legalizzare forme di super-sfruttamento già ampiamente in uso, dall'altra provocherebbe un ulteriore forte arretramento delle condizioni di esistenza della classe, fornendo nuovo carburante all'attacco generalizzato al mondo del lavoro dipendente in atto da anni. Il fatto è che il capitalismo, a causa dei saggi del profitto sempre più insoddisfacenti, è letteralmente assetato di plusvalore e non può permettersi il lusso di sprecarne nemmeno una goccia. Per questo motivo, sta massicciamente tornando a forme di sfruttamento fondate sul prolungamento della giornata lavorativa, risparmiando, per quanto può, su quei settori (i servizi) che, pur necessari al funzionamento del sistema, vivono essenzialmente del plusvalore primario estorto alla classe operaia di fabbrica. In ogni caso, a qualunque settori appartengano, i lavoratori sono accomunati dall'abbassamento del salario al di sotto del valore della loro forza-lavoro.

L'amministrazione della crisi capitalistica attraverso la somministrazione di dose via via crescenti di sfruttamento è il compito a cui sono chiamate le forze politiche borghesi, non escluse, naturalmente, quelle "di sinistra", benché le carote con cui illudevano il proletariato siano sempre più scarse e avvizzite.

cb

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.