Fame e miseria e l'Ecuador esplode - La rivolta degli Indios

Il brasiliano Lula, dopo essere stato eletto presidente, ebbe a dichiarare: "Il mercato deve capire che i brasiliani hanno bisogno di mangiare e che molta gente ha fame". Avendo però il mercato poco a che vedere con questi empiti umanitari, i brasiliani continuano ad aver fame e a non essere i soli in quanto fame e altre piacevolezze connotano sempre più marcatamente la realtà di tutti i paesi sudamericani. È in questo quadro che si iscrive la lotta che due dipartimenti ecuadoregni, Sucumbos e Orellana, stanno conducendo contro le compagnie petrolifere, con tanto di occupazione di pozzi, esigendo che una parte dei colossali profitti vengano destinati alla costruzione di strade, alla creazione di posti di lavoro, alla riparazione dei danni ambientali provocati dalle attività estrattive. La situazione in Ecuador riassume con nettezza la storia dell'intero subcontinente, contrassegnata da nefandezze d'ogni specie perpetrate a danno dei lavoratori e delle classi diseredate. Il paese basa la propria economia sul petrolio e sull'emigrazione con relative rimesse dall'estero; la produzione petrolifera attestata mediamente su 550 mila barili al giorno è assicurata per 340 mila da compagnie straniere e per 210 mila dalla compagnia nazionale Petroecuador. L'esasperazione, sfociata nella sospensione dell'attività estrattiva, ha portato il nuovo presidente-fantoccio Palacio a decretare lo stato d'emergenza e a nominare un nuovo ministro della difesa più affidabile in pratiche repressive. Niente di inedito. Anzi è il reiterarsi della secolare contrapposizione tra sfruttatori e sfruttati, certamente aggiornata dagli effetti salvifichi di 25 anni di politiche neo-liberiste che vanno dal crac argentino alla più recente esperienza boliviana dove la multinazionale francese Suez Lyonnaise des Eaux, che aveva preso il posto dell'impresa statale Samapa nella gestione dei servizi idrici, voleva far passare aumenti dei prezzi dell'acqua del 600% gratificando, visto che c'era, i propri dirigenti con aumenti di stipendi che passavano da 12.500 a 65.000 bolivanos, l'equivalente di 10.000 dollari al mese, naturalmente. La triste statistica sudamericana ci dice che anche l'Ecuador è un paese potenzialmente ricco con una popolazione per quasi metà indigena presso la quale persistono ancora retaggi comunitari e collettivisti. Nonostante le potenzialità, tuttavia, in Ecuador la percentuale di persone che vive sotto la soglia di povertà è del 44% (vive infatti con appena 2,60 dollari al giorno) e questo tasso raggiunge l'80-90% tra la popolazione india che coi suoi 5 milioni di persone rappresenta più del 45% del totale. La consistente presenza degli indios ha fatto sì che nel 1986 venisse alla luce un'organizzazione sociale, la Conaie (Confederazione nazionale degli indios ecuadoregni), con il preciso scopo di lottare contro tutte le forme di violenza e di sfruttamento degli indios e dotandosi, a tal uopo, di un apposito braccio politico rappresentato dal PK (Pachakutik). Il movimento sorto su mere istanze di difesa dagli attacchi padronali oscilla per lo più tra l'appoggio ed il successivo, automatico, ritiro della fiducia alla sequela di banditi, con sembianze di presidenti o capi del governo, che si sono succeduti alla guida dell'Ecuador, da Abdalà Bucaram a Palacio passando per Jamil Mahuad e Gutierrez. È lo scotto che si paga ad una politica di suggestioni democraticistiche, di alleanze interclassi-

ste con compromessi a seguire, che offuscano la necessaria nitidezza nell'individuare il nemico di classe. Alla guida del paese andino si sono sempre susseguiti discutibili personaggi che hanno agito di concerto con le direttive impartite dalla Banca mondiale, dal FMI o direttamente dagli USA attenendosi ai dettami del neo-liberismo dilagante: dollarizzazione del paese (ovvero sostituzione della moneta nazionale,il Sucre, con il dollaro) e una politica di privatizzazione selvaggia, smantellamento dei servizi sociali e dell'industria nazionale. L'inflazione ha preso a galoppare senza freni e nel 2000 raggiunge il 91%; più di 3000 aziende sono state costrette a cessare l'attività con perdita secca di oltre 200 mila posti di lavoro. Malgrado ed in virtù di tutto ciò la combattività degli indios si manifesta in episodi vari compreso un assalto del parlamento ed alla sua genesi non sono certo estranee motivazioni economiche,sociali e razziste, il che vale a connotare il loro movimento come socialisteggiante ed al quale si cerca di contrapporre, tra le altre cose, un'organizzazione che fino ad allora aveva svolto un ruolo esclusivamente religioso, la Feine (federazione evangelica india dell'Ecuador), bigotta e conservatrice. Il retropensiero di quest'organizzazione si sintetizza schematicamente in questa perla: "l'etica protestante considera il potere politico come derivante dalla volontà divina e quindi non può essere messo in discussione". Gioco molto sporco che punta a terrorizzare ulteriormente una popolazione che col terrore e la sottomissione ha una frequentazione ultrasecolare. Le dinamiche della crisi, tuttavia, si assumono il compito di travolgere anche le paure se si leggono attentamente i segnali che provengono non solo dai paesi del versante andino ma dal sudamerica tutto dove si sta delineando uno scontro imperialistico oltre a quelli già esistenti in altri ambiti geografici. È in discussione l'unilateralità imposta dagli USA sin dai tempi di Monroe. Al subcontinente sta sempre più stretto il ruolo di "giardino di casa" e questo ha dirette connessioni coi processi di globalizzazione che consentono, ad esempio, alla Cina di destinare in Sudamerica il 37% dei propri investimenti o alla Russia, attraverso tutta una serie di accordi di interscambio che vanno dagli attuali prodotti primari fino a raggiungere quanto prima prodotti e settori strategici come la biotecnologia, l'energia e le telecomunicazioni. In un quadro di così grave accentuazione imperialistica qualsivoglia movimento di lavoratori o di diseredati che voglia, almeno all'inizio, soltanto difendersi non lo potrà fare prescindendo da un'organizzazione genuinamente di classe, il partito, che sappia indicare i giusti criteri operativi, pena il doversi riferire a opzioni profondamente borghesi, siano esse rappresentate dal mondo economico-affaristico succube delle logiche delle multinazionali statunitensi, canadesi, francesi, cinesi o prendano le sembianze di un populismo che facendo principalmente leva su un forte sentimento antiamericano tenta di staccarsi da Washington per poter contrattare al meglio le proprie strategie di conservazione.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.