Che novità, tagliano le pensioni!

Dalla relazione annuale del nuovo presidente della Banca d’Italia Draghi, tutti si aspettavano dei segnali di speranza. Li attendeva il governo di centrosinistra appena insediato, alle prese con conti pubblici disastrosi; la Confindustria nella speranza che i problemi di produttività delle imprese venissero posti al primo posto dell’ ordine del giorno del nuovo governo e i sindacati con la speranza che la stessa cosa accadesse per la questione salariale.

Stando alle cronache, alla fine della relazione, quanto mai asciutta e tecnicamente rigorosa, sia i rappresentanti del governo sia quelli dei partiti di maggioranza e anche quelli dell’opposizione, si sono dichiarati d’accordo con il governatore. Sono rimasti delusi, invece, i rappresentanti sindacali ai quali non è bastato il riconoscimento che i contratti atipici “se diventano un surrogato dell’ordinaria flessibilità dell’impiego impediscono a molti giovani di pianificare il futuro, riducono gli incentivi dell’impresa a investire nella loro formazione, frenano la produttività del sistema” e vanno quindi limitati. Epifani, Bonanni e Angeletti, i segretari rispettivamente di Cgil, Cisl e Uil si aspettavano qualcosa di più, in particolare - come ha dichiarato Epifani - per la parte “relativa al Sud, alla domanda interna, di investimenti e di consumo” e “ per quanto riguarda la distribuzione del reddito e la condizione del reddito delle famiglie.” (F. Masocco - Troppa precarietà fa male ai giovani - L’Unità dell’1/6/2006). Eppure, il governatore non è stato reticente; anzi, indicando nel prolungamento dell’età pensionabile il percorso necessario per restituire competitività al sistema Italia, ha mostrato chiaramente di avere piena consapevolezza che la tanto decantata prossima ripresa è tutt’altro che certa e duratura per cui nel prossimo futuro non ci saranno più briciole da distribuire ai lavoratori, ma nuovi e più pesanti sacrifici da imporre. Lo richiede il risanamento dei disastrati conti pubblici (al riguardo vedi in questo stesso numero l’articolo Il discorso di Montezemolo alla Confindustria), ma soprattutto lo stato di crisi dell’economia mondiale e le sue prospettive oltre il dato congiunturale del momento che pure lascia intravedere per il 2006 a livello europeo una crescita del Pil del 2,6 per cento, il doppio rispetto all’1,3 dello scorso anno. In realtà, su questa tanto attesa ripresa gravano come macigni due nodi strutturali che allo stato delle cose nessuno sa come sciogliere. Si tratta degli ormai famosi colossali debiti gemelli degli Usa e dell’altrettanto colossale avanzo della bilancia commerciale tedesca.

Il debito sia pubblico sia privato e il deficit della bilancia commerciale statunitense sono ormai talmente cresciuti da essere difficilmente sostenibili. Negli ultimi anni l’aumento del prezzo del petrolio ha consentito il riassorbimento di una parte della massa di dollari emessa in eccesso dalla Federal Reserve proprio per finanziare il debito Usa che è talmente cresciuto che anche ipotizzando un prezzo del petrolio a 100 dollari al barile, tralasciando le conseguenze che ciò avrebbe sull’economia mondiale e il fatto che per raggiungere questa quotazione molto probabilmente sarebbe necessaria come minimo un’altra guerra in Medioriente, è unanime la convinzione che questa situazione non possa durare a lungo e che questa sorta di “accumulazione per espropriazione” basata sulla crescita del debito abbia raggiunto la sua massima espansione e che il “rientro” sia ormai improrogabile. Il dubbio resta solo su come ciò avverrà, cioè se la Federal Reserve riuscirà a organizzare un atterraggio morbido oppure se ci sarà uno schianto. Anche nella prima e migliore delle ipotesi, comunque, l’economia mondiale non potrà non subire una brusca frenata. Questa è la ragione per cui quasi tutti gli analisti prevedono già per il 2007 una nuova marcia indietro e fa temere che la ripresa in arrivo sia a carattere essenzialmente congiunturale. (1)

L’altro nodo, l’avanzo della bilancia commerciale tedesca, è di segno opposto, ma non perciò è meno aggrovigliato. A differenza di quello statunitense, il modello classico di accumulazione tedesco ha fatto sempre leva sulla forte competitività dell’apparato industriale e sull’eccedenza della bilancia commerciale; infatti, escluso il periodo della riunificazione con la Rdt, questa è stata sempre in attivo. In passato, però, insieme agli attivi della bilancia commerciale la Germania registrava anche una sostenuta crescita della domanda interna per cui i partner europei, che pure erano i maggiori destinatari dell’export tedesco, potevano compensare le importazioni di beni industriali dalla Germania con l’esportazione verso di essa di altre classi di beni e così, in ultima analisi, la Germania risultava essere il motore di tutta l’economia europea.

Dagli inizi di questo decennio la situazione è mutata profondamente. La struttura oligopolistica del capitalismo tedesco, grazie ai profondi processi di ristrutturazione industriale, da un lato ha permesso di mantenere inalterata la capacità di generare eccedenze della bilancia commerciale, dall’altro il crollo dell’occupazione e dei salari provocato dai processi di ristrutturazione, ha fortemente rallentato la crescita interna fino ad annullarla. Di conseguenza è crollato anche il flusso delle importazioni dagli altri paesi europei. Attualmente le eccedenze tedesche sono pari a oltre il doppio di quelle giapponesi e all’80 per cento di quelle cinesi. Il 60 per cento di esse, poi, si riversa soprattutto nell’interscambio con gli altri paesi dell’Unione europea e in second’ordine in quello con gli Usa.

L’Italia, che nell’ultimo decennio ha fatto registrare fra i paesi dell’Unione la maggiore perdita di competitività, si ritrova quindi nella non piacevole condizione di essere importatrice obbligata di beni industriali ad elevato contenuto tecnologico dalla Germania e, nello stesso tempo, priva di sbocchi per le proprie esportazioni. Prima dell’introduzione dell’euro, in situazioni simili si ricorreva alla svalutazione della lira; ma essendo questa oggi preclusa, l’unica risposta possibile è data dalla svalutazione competitiva dei salari.

Ben consapevole di questo stato delle cose, Draghi non a caso ha posto al centro della sua relazione il recupero di competitività del sistema mediante un ulteriore taglio del salario differito (le pensioni) essendo stato quello diretto già fortemente compresso nel corso dell’ultimo decennio. Si tratta, però, di una strategia che rischia di affondare completamente la domanda interna e le già precarie condizioni di vita della maggior parte dei lavoratori. Peraltro c’è il rischio che con questi ulteriori tagli, l’intero sistema pensionistico possa crollare facendo così venir meno uno dei pilastri su cui si fondano i consumi interni e buona parte dell’industria.

(1) Errata corrige. Nella prima versione a stampa, dove c'è scritto "carattere essenzialmente strutturale", bisognerebbe leggere "carattere essenzialmente congiunturale".

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.