Il dibattito tra intellettuali organizzato da Repubblica esalta la naturalità del capitale

Fanno finta di discutere di socialismo per esaltare le virtù del capitalismo

Il giornale La Repubblica ha pubblicato nel mese scorso alcuni articoli di noti esponenti della politica e del giornalismo italiano sull’attualità del socialismo nel nuovo millennio. Chi si aspettava una rivalutazione, quanto meno storica, degli ideali del socialismo si è dovuto ricredere e non poco: tutti concordi che l’unica società in grado di soddisfare i bisogni degli uomini sia solo ed esclusivamente quella capitalistica. Il concetto di socialismo nelle considerazioni di lor signori si è trasformato in un qualcosa che non si differenzia per nulla dal capitalismo, anzi l’obiettivo è soltanto quello di attenuare, fermo restando gli attuali rapporti di produzione, le storture provocate dalla globalizzazione del capitale. Quando si è trattato di scendere più nei dettagli per eliminare le obiettive ingiustizie della società capitalistica, la risposta data dai vari interlocutori è stata sempre la stessa, ossia una maggiore libertà individuale che si traduca in una più compiuta partecipazione democratica. Siamo ancora fermi all’idea di crociana memoria che sia solo e sempre la libertà, ovviamente quella borghese, la panacea in grado di attenuare i guasti della società capitalistica.

Buon per ultimo si è unito alla discussione uno dei più famosi guru del giornalismo italiano, Eugenio Scalfari. L’intervento del fondatore di La Repubblica, se vogliamo, ha però, rispetto agli altri, il pregio della chiarezza. Per l’ex direttore del giornale ovviamente si può ancora discutere di socialismo, ma soltanto nell’ottica di evidenziare come l’unico sistema economico e sociale in grado di funzionare sia solo ed esclusivamente il capitalismo. La discussione può anche andar bene, siamo pur sempre democratici noi, ma attenti a non riproporre i mostri sociali prodotti dalla rivoluzione bolscevica, questo in estrema sintesi lo Scalfari- pensiero.

Ma andiamo più nel dettaglio, non tanto per l’originalità delle tesi sostenute da Scalfari, quanto perché esse ci offrono lo spunto per delle nostre considerazioni di ordine generale sul dominio ideologico della classe borghese.

Scalfari, persona troppo intelligente per negare l’evidenza, non contesta il dato che il capitalismo, soprattutto in questi ultimi decenni, abbia prodotto delle vere e proprie catastrofi sociali. Infatti, nel suo intervento pubblicato lo scorso 24 settembre:

Se oggi si acutizza - o sembra acutizzarsi - la fenomenologia della schiavitù, ciò dipende da due cause: una più intensa sensibilità rispetto a quel fenomeno e una più immediata percezione e informazione delle soperchierie che vengono perpetrate sui bambini, sulle donne, sugli affamati, in tutti i settori deboli della società. Non c’è dubbio che la precarietà del lavoro stia diventando una modalità permanente del processo produttivo, come la parcellizzazione lo fu nella fase “fordista” di un secolo fa.

In altre parole quello che ci vuol dire il canuto giornalista è che in fondo la precarietà del lavoro, la crescente sperequazione sociale, l’apparizione di nuove forme di schiavitù sono esistite fin dalla notte dei tempi. Quello che è cambiato rispetto al passato è la nostra capacità di percepire i suddetti fenomeni; siamo in sostanza diventati più sensibili e intolleranti, grazie alle conquiste democratiche realizzate nel capitalismo, a fenomeni sociali che in realtà sono da sempre esistiti. È stata la globalizzazione a rendere concreta la possibilità di far conoscere le disastrose condizioni di vita e di lavoro di miliardi di esseri umani che vivono nel sud del mondo; ed è proprio grazie a questa maggior informazione che oggi possiamo porre l’accento sulle inevitabili storture prodotte dal capitalismo.

Ma se il capitalismo produce queste disuguaglianze è possibile rilanciare l’alternativa socialista? Per Scalfari, così come per gli altri intervenuti al dibattito, ipotizzare questo è pura follia. Così come non può esistere una società senza il lavoro, nello stesso tempo non può esistere una società senza capitale, ossia lavoro accumulato. Lavoro e capitale sono fattori della produzione necessari fino a che gli uomini dovranno fare i conti con la scarsità delle risorse produttive. Dato che non viviamo nel paradiso terrestre tutte le formazioni sociali non possono fare a meno del lavoro e del capitale. La modernità di Scalfari e degli altri corifei della borghesia consiste nel riproporre le settecentesche tesi di Adam Smith che attribuiva al capitalismo un suo intrinseco carattere naturale.

E se la società borghese è un prodotto naturale è possibile eliminare o quanto meno attenuare le evidenti disuguaglianze prodotte dal capitalismo? Per Scalfari porre questa domanda significa violare le stesse leggi della natura, infatti ci illumina con le seguenti parole:

Le disuguaglianze e il principio stesso di disuguaglianza fanno parte della natura della nostra specie. Vorrei dire di tutte le specie viventi e all’interno di ciascuna di esse. In sé non è un principio negativo, al contrario, è inerente alla vita stessa poiché non c’è albero del bosco che sia uguale all’altro né foglia dello stesso albero che sia esatta copia di un’altra.

Come si può constatare con un sottile giochetto di parole Scalfari confonde le carte e fa diventare la diversità disuguaglianza come se fossero sinonimi. Ma scoperto il trucco ecco messo in luce tutto il senso del suo lungo articolo. Per Scalfari il capitalismo è un prodotto della natura e in quanto tale insostituibile, ma è anche impossibile opporsi alle sue aberranti storture perché, in quanto da esse derivanti, sono esse stesse fenomeni naturali. In sostanza se sono precario, disoccupato oppure vivo nella più completa indigenza non è proprio il caso di prendersela più di tanto perché la colpa è soltanto di madre natura. Due alberi sono tra loro diversi, per dimensioni o semplicemente per numero di foglie, ma nello stesso tempo sono uguali in quanto semplicemente alberi. Nello stesso tempo due uomini sono diversi, in quanto individui con diversi tratti somatici o una differente sensibilità artistica, grado intellettivo ecc. ecc. ma non per questo devono necessariamente essere gli uni subordinati agli altri, divisi fra sfruttati e sfruttatori. In una società in cui qualcuno si può arricchire a dismisura e altri individui sono costretti a vivere di stenti nonostante lavorino per quindici ore al giorno gli individui certamente non sono uguali, ma che c’entra la natura con tutto ciò? Solo in una società comunista, in cui tutti gli uomini saranno finalmente uguali potranno essere nello stesso tempo liberi di esprimere al meglio la propria individualità e dunque la loro diversità e senza che ciò debba implicare necessariamente lo sfruttamento degli uomini da parte di altri uomini. E quando ciò accadrà, l’unica diversità che sarà negata sarà proprio quella che oggi consente agli Scalfari & C. di godere di enormi privilegi grazie allo sfruttamento del lavoro altrui.

pl

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.