L’Etiopia invade la Somalia e trema tutto il Corno d’Africa

È un'altra guerra americana

Ayman al Zawahiri con il senso del tempo che gli è proprio è intervenuto nella vicenda somala per lanciare un appello contro le truppe etiopi ribadendo, già che c’era, che i combattenti islamici devono dare il massimo appoggio alla guerriglia nel paese finendo,così, col delineare una terza zona di conflitto dopo quella irachena ed afgana.

Il parallelismo con quest’ultime realtà non è né casuale né tantomeno forzato in quanto chi muove le fila di certi discorsi, l’imperialismo statunitense tanto per intendersi, sembra abbia un metodo d’intervento brevettato dal quale non si schioda tanto facilmente. La fantasia, come risaputo, non si vende alla drogheria all’angolo e gli americani sembrano letteralmente impaniati in un cupio dissolvi tale da indurli a tremare e a far tremare il mondo tutto.

Le analogie a cui facevamo riferimento sono abbastanza evidenti ma sono altrettanto chiari alcuni tratti originali che segnano una certa discontinuità col passato quantomeno prossimo. Era infatti scontato che, a voler giustificare ogni cosa, si sarebbe ricorsi, trattandosi di un paese a larga maggioranza musulmano, al solito e trito leit-motiv della lotta al terrorismo quantunque lo stesso al Zawahiri abbia poi offerto, in tal senso, una giustificazione a posteriori allorché ha invitato i combattenti islamici presenti in Somalia a “emulare” gli uomini di al-Qaeda in Iraq e in Afghanistan.

Il giochino ad incastro che vede come protagonisti gli USA e al-Qaeda si fa sempre più incalzante e connota sempre meglio una organicità di fondo che si esprime nella cosiddetta lotta al terrorismo. Ma se nel 1994 le Nazioni unite approvavano una risoluzione, la 49/60, seguita da un’altra del 1996, la 51/210, con le quali si esortava ad indagare sui finanziamenti alle attività terroristiche - misure rimaste completamente lettera morta - e se la rivista Executive intelligence review non si pone scrupolo alcuno nel denunciare l’Inghilterra come “paese da mettere sulla lista degli stati che promuovono il terrorismo islamico”, allora vien da pensare che il terrorismo più che un nemico da combattere ed eliminare sia una risorsa da sfruttare con accortezza.

È risaputo anche, a riprova di tutto ciò, che al-Qaeda è finanziata soprattutto dall’Arabia saudita: allora, perché non si fa guerra anche alla dinastia dei Saud? Non è, come scrive il giornalista Richard Labeviere, che al-Qaeda, tra le tante cose ad essa ascrivibili, possa essere funzionale, per fare un esempio, alla lotta contro i movimenti socialisti in Asia? In fondo ha fatto morti soprattutto tra i diseredati e gli stessi musulmani. In Somalia si lotta veramente per combattere contro il terrorismo? E questa lotta può giustificare bombardamenti e un’invasione terrestre da parte di un esercito, quello etiope, su mandato del committente americano?

Infatti, diversamente da quanto accaduto negli altri due contesti, gli USA hanno fatto sporcare le mani all’Etiopia che ha problemi irrisolti con la Somalia incominciando dal contenzioso relativo all’Ogaden, regione etiope abitata da popolazioni somale di religione musulmana. E la durata di quest’altra tragica e stucchevole operazione di peace-keeping rischia di dilatarsi se il “paio di settimane” iniziali sono oramai diventati “forse mesi per cancellare ogni minaccia terroristica dalla Somalia”.

Se l’approccio dei conservatori americani ha prodotto nel tempo guasti ed insuccessi in quantità allarmanti sembra adesso lo si voglia sostituire con qualcosa di più realista e la teoria del “containment” basata sul ruolo regionale degli stati gendarmi alleati è quella privilegiata nel Corno d’Africa. Risulta quindi palese che dietro l’offensiva di Addis Abeba a sostegno del governo transitorio somalo e contro le corti islamiche ci siano sì retaggi della storia ma soprattutto interessi molto concreti e immediati. In quale altro modo si potrebbe infatti giustificare il ritorno del signori della guerra, legati ad organizzazioni claniche, che nei quindici anni successivi alla caduta di Siad Barre hanno imperversato terrorizzando, taglieggiando, uccidendo? Le corti islamiche, a loro volta, nel breve interregno di sei mesi, dietro una parvenza di ordine e sicurezza, hanno trovato modo anch’esse di infierire, secondo i loro dettami etico-religiosi, contro la popolazione che non sa oramai più da chi deve guardarsi prima, non sa chi è il mostro di turno.

Ma se gli obiettivi etiopi possono essere costituiti da confini stabili e definiti con la Somalia, da un governo non troppo sbilanciato verso gli islamisti, dal riaffermare l’emarginazione dell’Eritrea nel contesto territoriale regionale, quali interessi possono esserci dietro la presenza americana? Una prima considerazione, così, d’acchito, ci porterebbe a dire che, se intervengono così pesantemente in un paese che, almeno all’apparenza, è assai meno appetibile del Sudan o dell’Angola, della Nigeria o della Guinea equatoriale, allora l’aggressività statunitense con annesso imperativo a che nulla abbia a muoversi al di fuori del controllo yankee, è giunta a livelli tali che il rischio di deflagrazioni incontrollabili è fortissimo.

Ma l’aggressività fa tutt’uno con la competizione imperialista e questa ormai è talmente esasperata che non ci sono ambiti territoriali che possano ritenersi scevri da queste dinamiche distruttive, forse più d’ogni altra l’Africa per considerazioni che attengono al controllo delle materie prime e delle fonti energetiche. Vale la pena qualche considerazione su quest’ultime: gli Stati Uniti importano attualmente il 15% del petrolio dell’Africa, percentuale che dovrebbe attestarsi intorno al 20% nel 2020.

Se consideriamo che una delle migliori qualità di greggio oggi in commercio è quella estratta in Africa occidentale, che i costi di estrazione sono molto bassi e che i diritti di esplorazione di giacimenti petroliferi, definiti in gergo “elefanti”, per la loro importanza, se li stanno disputando Cina, India, Brasile, Corea del Sud, Italia e Stati uniti, ebbene si può facilmente comprendere questa situazione elettrica che segna da qualche tempo il continente nero. È in corso una guerra di accaparramento/controllo che passa anche e soprattutto attraverso infiltrazioni o riposizionamenti che includono anche paesi che tanto ricchi di materie prime non sono. Uno fra questi è la Somalia. Sarà per la vicinanza al Sudan, sarà perché è punto di comunicazione strategico tra l’Oceano Indiano ed il mar Rosso, sarà perché in prospettiva potrebbe essere interessata alle prospezioni petrolifere off-shore, sarà perché potrebbe far parte di una fascia protettiva sub-sahariana con l’intento di proteggere i paesi nord-africani dalle penetrazioni integraliste, fatto sta che le delizie della “guerra al terrorismo” sono arrivate anche nell’Africa orientale.

Da più parti si è parlato di guerra per procura: ci può anche stare poichè gli USA si sono già scottati una volta. Però se la penetrazione cinese, che è quella che maggiormente fa paura in quanto mette in discussione la leadership americana, dovesse intensificarsi alla procura subentrerebbe di certo qualcosa di assai più diretto e terribile come, peraltro, i recenti bombardamenti americani di alcuni villaggi nel sud del paese sembrano annunciare.

gg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.