Perché adesso tocca all’Iran

Cronaca di una guerra annunciata per il controllo del petrolio mediorientale

Qualcuno ai vertici della leadership statunitense potrebbe avventurarsi ad organizzare un atto terroristico interno, su territorio americano, dandone successivamente colpa ad Ahmadinejad e dando così fuoco alle polveri di un ennesimo conflitto mediorientale. Più di uno assimilerà, facilmente, tale formulazione al dejà-vu del settembre 2001 ritenendolo difficilmente riproponibile, tuttavia l’autore della dichiarazione, Zbignew Brzezinski, fatta il 2 febbraio scorso alla Commissione Difesa del Senato, conferisce al tutto una sconcertante plausibilità.

Alcuni fatti recentemente accaduti, legati tra di loro, portano di sicuro alla conclusione che, per un prossimo attacco all’Iran, si vada cercando, costruendolo ad arte, come è prassi, solamente il casus belli, maneggiando sul detonatore che dovrà far deflagrare una situazione resa esplosiva già da molto tempo. L’11 gennaio di quest’anno, ad Arbil nel Kurdistan iracheno, i marines arrestano cinque diplomatici iraniani accusati di appartenere ai reparti speciali pasdaran; a metà febbraio un attentato ad un bus di pasdaran, con relativi morti e feriti, è rivendicato da una organizzazione separatista sunnita, la Jundallah, che opera nel Baluchistan, nel sud-est dell’Iran.

Stando al giornale kuwaitiano “Daily Arab News” le operazioni belliche dovrebbero partire dall’aprile prossimo con lo scopo di “rimettere in discussione gli attuali rapporti di forza nella regione e stabilirne di nuovi”. Pare quindi evidente come dietro le schermaglie verbali ed i minuetti danzati intorno alla questione del nucleare iraniano si vadano stagliando sempre più nitidamente i motivi veri del prossimo conflitto. L’Iran non può fare a meno del nucleare in quanto, così facendo, può continuare a vendere il proprio petrolio, dal quale ricava l’80% delle sue entrate in valuta, e il proprio gas all’estero (in particolar modo alla Cina) utilizzando quindi energia elettrica di fonte nucleare per alimentare la propria industria. Riferire il tutto al nucleare potrebbe, tra l’altro, sembrare una fisima accademica se si considera che i primi reattori furono costruiti già ai tempi dello scià con il fattivo aiuto degli Stati uniti. Ali Larijani, negoziatore principale per il nucleare, sostiene che Tehran aveva stipulato contratti, pagando antici-patamente, per acquisire combustibile atomico con USA, Francia, Germania ed il consorzio Eurodif senza ricevere alcunché in cambio, da cui sarebbe derivata la decisione di far da soli, o quasi. Le dispute sull’uso più o meno pacifico del nucleare e le eventuali sanzioni sono talmente oziose che riconducono pari pari all’altra colossale messinscena sulle armi di distruzione di massa. Come allora, Hans Blix, ex ispettore ONU, rimarca come da parte degli USA non sia stata offerta a Tehran nessuna garanzia di sicurezza in caso di rinuncia all’arricchimento dell’uranio e come, al contrario, le diplomazie abbiano seguito una procedura assai più soft con un caso analogo, quello della Corea del Nord.

Da ciò dedurre che Pyongyang non sia, da un punto di vista strettamente strategico-energetico, una realtà particolarmente appetibile rientra nel novero delle ovvietà. Ciò che continua a non esserlo è invece il criterio con cui si misura la pericolosità nucleare: il Pakistan, l’India, la Cina, potenze nucleari di fatto, sembrano non interessare più di tanto, per motivi diversi, mentre l’Iran quale “stato canaglia” di recente conio dovrebbe sottostare a dei diktat anche rispettando i quali la sua sorte non muterebbe granchè in quanto senza il controllo dell’Iran il dominio della regione e del petrolio sarebbe largamente incompleto. Esistono inoltre altri pressanti motivi che fanno elevare la soglia di attenzione, con valenza antieuropea, sul paese degli ayatollah in quanto l’Iran è rimasto l’unico paese mediorientale ad avere rapporti autonomi con l’Europa e con una valenza, diciamo sottotraccia, per quel che attiene l’interesse, mai venuto meno, per la zona energetica che va dal mar Caspio all’Asia centrale ex-sovietica per arrivare poi al faccia a faccia con l’autentico incubo statunitense: la Cina.

Sul nucleare iraniano si va intessendo un pericolosissimo gioco d’azzardo tra due imperialismi di caratura differente: uno proteso, come spesso ribadito, ad accentuare la propria politica di gestione/controllo della rendita petrolifera attraverso una politica spregiudicata fatta di arroganza e di impunità; l’altro con chiare ambizioni di potenza egemonica regionale che poggiano prima di tutto sulla consapevolezza di essere circondato da potenze militarmente nucleari e da vicini assai ostili ma anche sulla ricchezza energetica, sul programma nucleare, su una autocon-sapevolezza storica di vecchia data e sulla carica ideologica-religiosa del regime. Ben al di là dei rapporti di contra-pposizione giocati sul filo della lotta per la conquista del potere, le varie fazioni borghesi iraniane, siano esse moderate o radicali, in salsa laica o religiosa, si ritrovano su un medesimo piano di mobilitazione contro il nemico esterno, raggiungendo con questo un duplice esito: chiamando tutti a serrare i ranghi e troncando un dissenso interno sempre più esteso e pericoloso che si caratterizza per una disoccupazione giovanile sempre più esplosiva e per un’inflazione reale ormai attestatasi sul 20%.

Quali conseguenze potrebbero derivare da questo eventuale attacco è difficile dirlo. Certo, il primo paese a precipitare ancor di più nel caos sarebbe l’Iraq, già di per sé un pantano, ma potrebbero entrare in fibrillazione anche le entità sciiite presenti un po’ dappertutto nel medio oriente: dagli Hezbollah ad Hamas, da quelle presenti in Siria, nella stessa Arabia saudita e nei vari emirati del golfo.

Un bel successo della politica americana nella cosiddetta “lotta al terrorismo”: essere riuscita in un sol colpo a ricompattare un fondamentalismo sciita ed uno sunnita che, paradosso dei paradossi, vede nel regime degli ayatollah l’unica risorsa rimastale per contrapporsi al fondamentalismo dei neo-cons americani.

gg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.