L’intesa coi padroni, contro i lavoratori

Volantino per la manifestazione del 29 settembre a Firenze

Com’era ampiamente previsto, l’intesa raggiunta lo scorso 23 luglio è stato un altro colpo dei soliti noti portato a segno ai danni del lavoro salariato/dipendente. Gli autori - governo, padroni, sindacati - con una perfetta sintonia di movimenti si sono impadroniti di un altro pezzo del poco che rimaneva del salario differito, hanno innalzato l’età pensionabile e, in prospettiva, ridotta l’entità della pensione stessa: in poche parole, dovremo lavorare di più, in condizioni sempre peggiori, per una pensione che non ci permetterà di campare.

Altro che riparare all’ingiustizia dello “scalone Maroni”, come cianciava con incredibile faccia tosta il governo: tra “scalini”, quote, aumento dei contributi a carico dei lavoratori, a conti fatti il rimedio è quasi peggio del male. In sostanza con l’intesa del 23 luglio si vuole:

  1. far pagare il rientro dal debito interamente ai lavoratori mediante il taglio del salario indiretto;
  2. costringerli a costituire una pensione integrativa in modo da trasformare anche questo settore, come quello dell’acqua, della sanità ecc, che prima erano parte integrante del welfare, in un’area di produzione di profitti a favore del grande capitale finanziario (assicurazioni, banche, fondi di investimento ecc.), ammesso naturalmente che i salari sempre più bassi e la precarizzazione spinta consentano di risparmiare qualcosa per la pensione privata;
  3. eliminare qualsiasi collegamento fra questa forma di salario e gli incrementi della produttività sociale del lavoro perché questi devono andare tutti ad appannaggio del solo capitale in quanto condizione irrinunciabile a che il processo di accumulazione del capitale nella sua globalità possa svolgersi regolarmente;
  4. prolungare l’età pensionabile per garantire la costituzione di un abbondante e costante surplus di forza-lavoro che consenta di mantenere permanentemente attiva la tendenza alla riduzione generale del costo della forza-lavoro al di sotto del suo valore;
  5. confermare e anzi peggiorare le leggi sulla precarietà del lavoro (legge Treu, legge 30 - detta Biagi - ecc.), consolidando la pratica di rinnovare all’infinito i contratti precari, costringendo i lavoratori a una condizione di incertezza e di ricatto permanente.

In sintesi, l’intesa del 23 luglio costituisce un attacco diretto al proletariato che può essere assimilato ai Pas (Piani di aggiustamento strutturale) imposti dal FMI e dalla Banca Mondiale ai paesi debitori del cosiddetto Terzo Mondo e che hanno causato, nel giro di quindici anni, da un lato la crescita enorme della povertà e, dall’altro, l’arricchimento spropositato di settori molto ridotti della borghesia locale e internazionale detentrice del grande capitale finanziario. Una volta di più emerge in maniera lampante la totale incompatibilità tra noi proletari e il capitalismo, che può sopravvivere solo aumentando senza sosta lo sfruttamento e intaccando persino le basi minime della nostra sopravvivenza.

In questo contesto il sindacalismo è un’arma spuntata, quando non è apertamente uno strumento dei padroni. Lo stesso vale per la cosiddetta sinistra moderata e radicale, divenuta ormai poco più della classica foglia di fico dello scandalo che il capitale quotidianamente mette in scena. Il sindacalismo si pone il problema di contrattare le migliori condizioni di vendita della forza-lavoro senza mai porre in discussione il sistema stesso, ma il fatto è che oggi c’è ben poco da contrattare: spinto dalle sue stesse contraddizioni, il capitale continua a prendere e non molla una briciola.

Rifiutare l'accordo del 23 luglio, rifiutare la precarietà in tutte le sue forme, autorganizzare le vertenze e riprendere così la lotta di classe, aperta, di massa, senza compromessi, è dunque il primo - difficile ma necessario - passo da compiere.

PCInt