Il prossimo patto per salari e tasse

Sulle esternazioni di fine anno del professore Romano Prodi

Nella conferenza stampa di fine 2007 il premier Prodi, seguendo la linea di politica economico sociale contenuta nel protocollo sul welfare, ha proposto un nuovo patto per salari e tasse. Il patto coinvolge governo, imprese e sindacato ed ovviamente sono tutti d’accordo, ma di questo diremo in seguito. Ora citiamo per precisione le parole di Prodi:

l’accordo tra imprese e sindacati deve far fare un salto di qualità su aumento della produttività, mobilità e organizzazione del lavoro. Se non c’è questo patto non si fa niente.

Il patto è così la condizione preliminare indispensabile per...

una diminuzione delle tasse per i lavoratori con salari medio bassi.

Insomma il governo richiede e si fa garante dello stretto legame tra l’aumento della produttività del lavoro e le misure fiscali sui salari, spingendo affinché le parti sociali ridisegnino complessivamente le relazioni industriali e arrivino ad una riforma della contrattazione che dia più spazio a quella aziendale (di secondo livello) rispetto a quella nazionale. Padroni e sindacati sono già d’accordo sul merito, potrebbero esserci solo differenze di forma sul metodo. I padroni, per bocca del vicepresidente di Confindustria Bombassei, si dichiarano favorevoli ad un patto sui salari che porti alla riduzione del costo del lavoro (tasse sul salario) e allo sgravio di quella parte salariale direttamente legata alla produttività. Per loro la priorità è l’aumento della produttività e sarebbe un errore non cogliere questa occasione in un momento così favorevole, ottenendola in più a costo zero anzi guadagnandoci con gli sgravi fiscali. Per Confindustria si deve arrivare ad un taglio del cuneo fiscale di 10 punti, perché dei 5 punti già previsti soltanto 3 sono andati a vantaggio delle aziende. Quindi lo stretto collegamento proposto da Prodi tra aumento della produttività e riduzione delle tasse sui salari è da loro pienamente accettato. Ma lo è anche da parte sindacale; ecco le reazioni a caldo:

assolutamente condivisibile la priorità alla crescita della produttività ...(e) la priorità della retribuzione al lavoro dipendente, sia per ragioni di equità che per rafforzare la domanda interna

Cgil

il confronto sul fisco deve riguardare l’aumento delle detrazioni fiscali per pensionati e dipendenti, con un intervento più deciso su tariffe e prezzi [... in parallelo al] confronto con i datori di lavoro sulla riforma del modello contrattuale

Cisl

bisogna passare dagli annunci ai fatti, il primo provvedimento del governo nel 2008 sia la riduzione delle tasse sui redditi da lavoro dipendente e da pensione con l’aumento delle detrazioni e la detassazione degli aumenti contrattuali

Uil

La Uil arriva a minacciare il ricorso allo sciopero generale per ottenere tali provvedimenti: come si vede più il sindacato è piccolo e più è verbalmente agguerrito. Anche l’Ugl è favorevole all’aumento del potere d’acquisto dei salari per mezzo della riduzione delle tasse. Il ministro del Lavoro Damiano ha anticipato che l’accordo sulla contrattazione si farà anche senza l’assenso della Fiom: visto il precedente no sul protocollo sul welfare è inutile perde tempo coi metalmeccanici. Il ministro Ferrero ha balbettato il no di Rifondazione. È già iniziato il gioco delle parti a danno dei lavoratori: l’esperienza in tal senso parla chiaro e dovrebbe essere un valido insegnamento. Per chi vantasse dei dubbi sulla Fiom basta andare a leggere il “documento sul fisco” presentato ai lavori del Comitato centrale del 10-11 settembre scorso e approvato all’unanimità con 2 astensioni. Proposte da piccolo borghesi con un alto senso dello Stato che intendono avviare...

un processo di giustizia fiscale che ridistribuisca il reddito, sani le disuguaglianze e colpisca la sottrazione di risorse al sistema pubblico, combatta gli sprechi a favore dello sviluppo, dello stato sociale e degli investimenti produttivi.

Il governo Prodi intende appunto operare una ridistribuzione del reddito salariale facendone un investimento produttivo di plusvalore per l’impresa legandolo strettamente alla produttività del lavoro. Se volessimo essere pignoli sulla distribuzione e ridistribuzine del reddito dovremmo dire che nel 2003 ai lavoratori toccava il 48,9% del reddito nazionale, mentre nel 1972 il 59,2%; ma quel 48,9% è così vicino al 46,6% che fu la parte di reddito nazionale dei lavoratori italiani nel 1881! Potenza della giustizia distributiva capitalistica. Ancora una piccola considerazione per concludere. Lo Stato, in questa fase di crisi del ciclo di accumulazione, assume anche la funzione di patrocinare i profitti attraverso la leva fiscale. Il fisco deve tendere a ridistribuire lo stesso reddito della classe dei lavoratori, appropriandosene una quota minore, fra i lavoratori stessi e le imprese. I lavoratori si vedranno aumentare i salari in virtù della diminuzione delle tasse sul costo del lavoro ma non è detto che ciò ne aumenti il potere d’acquisto poiché non vi è nessun rapporto con l’andamento dell’inflazione. Questo, lo ripetiamo, non è lo scopo ma quello di aumentare la produttività del lavoro senza dover necessariamente intervenire sul lato tecnologico della composizione del capitale a cui si somma una parte del plusvalore prodotto dai lavoratori che passa, per mezzo della riduzione del costo del lavoro, dallo Stato alle imprese. Il tutto al fine di aumentare i profitti imprenditoriali. Ed i lavoratori?

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.