I continui aumenti dei generi alimentari all’origine delle rivolte per il pane

Continua la giostra capitalistica: dopo i mutui i beni alimentari

Francis Fukuyama ha preso ad occuparsi di ingegneria genetica e la cosa, considerate le farneticazioni in cui è maestro impareggiabile, fa venire i brividi.

Di certo quando ha scritto il suo capolavoro “La fine della storia” non aveva la pretesa di far ridere ma, nondimeno, le sue teorizzazioni insieme a quelle di Robert Kagan o di William Kristoll, in uno slancio di nuovo razionalismo illuminista, hanno tracciato le coordinate degli attuali sfaceli planetari disegnando, al contrario, uno scenario fallimentare ascrivibile interamente al modello neo-globale o,per essere più precisi, al capitalismo nel suo insieme.

Una sublime sintesi di tutto questo la troviamo nei fatti di questi ultimi giorni dove, a dire della stessa FAO, il mondo ha sempre più fame e fenomeni che fino a poco tempo addietro erano interamente circoscrivibili ai paesi del terzo o quarto mondo cominciano a fare capolino anche nelle cittadelle industrializzate.

Il nuovo paradiso tratteggiato in maniera così sublime dai teorici neo-liberisti sta riportando il mondo ai fasti di Maria Antonietta con le “rivolte per il pane” laddove tuttavia gli aumenti stratosferici dei prezzi hanno interessato non solo il grano ma anche il riso, il mais, la soia e tutti i cosiddetti prodotti derivati.

Il rincaro del prezzo del riso è emblematico in tal senso: alla borsa merci di Chicago, qualche giorno addietro, il prezzo a quintale veleggiava sui 50 dollari quando soltanto un anno fa il prezzo medio mondiale era l’esatta metà.

Considerata l’area di diffusione del riso ed il suo consumo a livello mondiale è facile comprendere gli effetti di tali rincari sulla sopravvivenza stessa di milioni di individui tant’è che la parola “crisi globale” è stata esplicitamente evocata dallo stesso segretario dell’ONU, Ban Kimoon, facendo riferimento alla possibilità che dalla corsa al rialzo dei prezzi dei beni alimentari scaturiscano disordini, rivolte sociali, instabilità di vario genere provocati appunto dalla fame. Da qui l’esigenza di allertare organismi o agenzie come il PAM (Programma alimentare mondiale), la Banca mondiale, la FAO, l’OCSE e l’Organizzazione mondiale per il commercio. Tanta preoccupazione ha infatti ragion d’essere in quanto ai quattro angoli del mondo si sono verificati assalti ai supermercati, scontri, scioperi, arresti con annessi, come da prassi consolidata, morti e feriti.

La crisi alimentare infatti non riguarda semplicemente paesi come Haiti, Burkina Fasu, Costa d’Avorio o Madagascar ma anche realtà di una certa importanza come l’Egitto, il Pakistan, l’Indonesia, la Tunisia e altre ancora per un totale di 37 paesi a livello mondiale.

Vien da chiedersi, come è ovvio, come si sia potuti arrivare ad una situazione così critica e disperante laddove appena qualche decennio addietro accanto a paesi esportatori netti di grano o di riso come l’Argentina, il Canada, lo stesso Egitto oppure l’India esistevano tanti paesi che potevano contare su una agricoltura di sussistenza fatta di orti familiari o di villaggio, fuori quindi da ogni circuito mercantile ed autosufficienti. Cos’è sopravvenuto di tanto spaventevole da sconvolgere tutto questo? Di sicuro c’è un elemento di progressiva pauperizzazione che va sempre più estendendosi: basti pensare che più di un miliardo di persone sopravvive con meno di un dollaro al giorno (dati gentilmente forniti dal FMI e dalla Banca mondiale) e che queste stesse persone spendono il 75% del proprio reddito in generi alimentari (nei paesi avanzati solo il 15%).

A questo si deve aggiungere che, secondo i dettami della globalizzazione, è del tutto inutile, anzi antieconomico, produrre da sé i cereali in quanto basta comprare sui mercati globali a prezzi più competitivi poiché l’apertura del “mitico” mercato garantirebbe abbondanza a tutti ed a prezzi assai contenuti.

Qualche passo di questa miracolistica modellazione ci sarà forse sfuggito perché sta di fatto che milioni di persone stanno morendo, realmente, di fame e che il miracolo (in termini esclusivamente di profitto) stia riguardando soltanto le multinazionali del cibo: in sintesi l’ADM, la Cargill, la Bunge, la Kraft e altre ancora.

Sulle cause di questi aumenti si danno letture non univoche andando a parare su cause che concorrono, sì, al problema senza però essere preminenti. Una maggior domanda da parte di economie emergenti come la Cina o l’India non può spiegare da sola l’aumento di prezzo del riso dai 362 dollari a tonnellata, di gennaio, agli attuali 760. È ben vero che la produzione di bio-carburanti è assurta ad un ruolo rilevante a causa dell’annessa sottrazione di terreno alla produzione di cereali per l’alimentazione a favore delle superfici destinate ai biocombustibili, così come l’aumento dei costi di produzione legato al caro-petrolio si riflette sul costo dei fertilizzanti che per il 97% sono derivati da gas naturale, come su quello del gasolio per trattori e altro ancora.

Tuttavia tutto ciò non spiega il fenomeno dei rincari e quindi la chiave di lettura esauriente non può che essere la speculazione.

D’altra parte dopo la crisi dei mutui ingenti masse di capitali - miliardi di dollari - si sono gettati, considerando il basso costo del danaro, sul mercato delle “commodities” (materie prime e beni alimentari) ed il fenomeno non è certamente di recente conio se consideriamo che già nell’agosto dello scorso anno la Goldman Sachs ed altri speculatori “consigliavano” di investire in beni di origine agricola quali il riso, il caffè, lo zucchero, il mais ed il grano.

Perché?

Un esperto del settore intervistato da Bloomberg spiegava candidamente che, anche in presenza di una crisi globale, i beni alimentari non ne avrebbero risentito in quanto un calo dei prezzi avrebbe potuto pure interessare l’acciaio, il ferro, il cemento, però la gente sarebbe dovuta sempre andare nei negozi a comprare pane, patate, pasta o latte.

Quella necessità imprescindibile diventa dunque la chiave di lettura del tutto e ci dimostra ancora una volta come si sia di fronte ad uno schema classico, quello della bolla speculativa, al pari di quello della “new economy” o dei “sub-prime” solo che la valenza, nel caso in questione, è notevolmente diversa in quanto stiamo parlando di “fame”, quella vera, con tutto ciò che potrebbe conseguirne in termini di flussi migratori, da un lato, e ulteriori arroccamenti dall’altro. Ciò è l’ulteriore dimostrazione come il capitalismo, pervaso da una crisi inarrestabile, è costretto, per cercare di arginarla, di attaccare finanche le condizioni elementari di vita degli individui: qui si sta parlando di beni alimentari ma lo stesso discorso può essere fatto per l’acqua.

Ciò costituisce l’ennesima dimostrazione che un sistema economico che non ha più niente da offrire all’umanità intera se non fame, disperazione, morte, non merita più di esistere.

gg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.