REDI S.p.a. - Una fabbrica di veleno

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di un lavoratore del bolognese, che descrive in particolare i rischi legati alla produzione del PVC

Sono un ex dipendente di una fabbrica di veleno, anzi per l’esattezza sono un ex dipendente di una agenzia interinale che somministra forza lavoro alle aziende che non vogliono assumere direttamente i propri operai (troppi costi e troppe grane), tra le quali c’è pure l'azienda per cui ho lavorato io. La REDI S.p.a. (fabbrica chimica con sede nella provincia bolognese), a cui ho prestato la mia manodopera per un anno e mezzo senza mai essere assunto direttamente, nemmeno a tempo determinato, dall’azienda stessa.

Abbiamo già detto mille volte della sciagura della precarietà che rende sempre più ricattabile e divisa tutta la classe operaia......e sempre più oscuro il futuro di tutti i lavoratori. Stavolta però vorrei sollevare una questione forse ancora più importante della giusta lotta per il salario e contro la precarietà, quella della salute e della sicurezza, cioè della vita e della morte nei luoghi di lavoro, così drammaticamente balzata all’attenzione dei mass media dopo le vittime della Thyssenkrupp di Torino.

Non voglio fare dell’inutile retorica, preferisco dire subito le cose come stanno: quello che i padroni e i sindacati non dicono è che le fabbriche, di qualunque settore, sono piene di veleni con cui gli operai, senza le adeguate protezioni e senza essere informati dei reali rischi che corrono, entrano quotidianamente a contatto.

La REDI S.p.a. in particolare produce PVC, la cui tossicità è già stata ampiamente dimostrata dal punto di vista medico-scientifico. Il PVC è cancerogeno se inalato sotto forma di polvere (e causa molto spesso una forma di tumore particolarmente acuta al fegato), ed è altamente tossico se viene maneggiato ancora caldo, mentre quando va in combustione sviluppa e produce diossine. Oltre al cancro a fegato e pelle, che sono sicuramente le conseguenze più drammatiche e agghiaccianti che possano investire un lavoratore a contatto con questa sostanza, il PVC provoca anche tutta una serie di patologie “minori” (se così si può dire) ma permanenti.

Forse non tutti ricordano il disastro di Seveso dove il 10 Luglio 1976 l’incendio di un reattore dell’ ICMESA destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di molti diserbanti, generò una nube tossica che investì immediatamente il paesino a sud dello stabilimento, inquinando in modo irreparabile l’ambiente e i terreni circostanti e lasciando segni indelebili (la famigerata clorache) sulla pelle della gente, e non solo. Non è un caso se quando uno stabilimento va in fiamme ci si preoccupa subito di verificare se abbiano preso fuoco anche sostanze plastiche che bruciando sviluppano diossine - essendo il pvc una materia plastica surriscaldandosi e bruciando provoca diossine e i primi a respirarsele sono gli operai che lo lavorano.

Ricordo che l’unica volta (in un anno e mezzo di lavoro!) in cui ho partecipato ad una esercitazione antincendio dentro la REDI, durante la simulazione io e altri due colleghi, pur aspettando la sirena dell’allarme come gli altri non abbiamo potuto riconoscerne il suono, perché non era più alto di quello dei normali allarmi delle presse! Anzi, in realtà anche gli altri operai non l’avevano riconosciuta, ma sapevano come noi che era in corso un’esercitazione, quindi hanno tenuto lo sguardo fisso su di un lampeggiante che avrebbe segnalato l’allarme insieme alla sirena. Alle nostre rimostranze su questa scandalosa carenza, che nella “migliore” delle ipotesi avrebbe portato alla nostra intossicazione, i responsabili ci hanno risposto che avrebbero provveduto a sostituire quella sirena con un’altra più rumorosa, ma, almeno finché io sono rimasto a lavorare in REDI, non è stato mosso un dito e sinceramente dubito che qualcosa sia stato fatto dopo. Forse ora, dopo la tragedia di Torino, sarebbe il caso di riproporre la questione.

Per tornare però alla quotidianità - che non è l’incendio, ma la normale produzione che si vive in una fabbrica di veleno come questa - voglio puntualizzare che il rischio di prendersi un tumore è sempre esistente durante ogni turno di lavoro e in ogni reparto, anche se con probabilità diverse a seconda della mansione che si svolge.

Una cosa che prima o poi capita a chi lavora a pressa è che il PVC vada in combustione: in questo caso la regola sarebbe di spegnere la macchina e chiamare qualcuno, indossare l'inutile mascherina di carta in dotazione, che nessuno usa, e portare all'esterno dell'officina il materiale bruciato. Uno dei sindacalisti interni si vanta di avere fatto mettere degli aspiratori nelle presse che dovrebbero aspirare le diossine in caso di combustione, ma la realtà della produzione in REDI rende queste protezioni doppiamente inutili:

  1. perchè, come appena detto, il materiale viene portato all'esterno senza le mascherine adeguate;
  2. perchè in realtà quasi mai le macchine vengono fermate e riparate come si deve, ma vengono perlopiù fatte ripartire subito e regolate in corso d'opera, provocando così altre combustioni che a questo punto si respireranno anche i regolatori e i colleghi di pressa più vicini.

Quando poi l'accanimento produttivo è maggiore e la macchina che provoca continue combustioni non viene spenta perchè qualche pezzo buono lo fa, allora a respirarsi le diossine è quasi tutto il reparto. Capirete che in tutti questi casi a ben poco servono degli aspiratori posizionati nel solo punto di iniezione della pressa!

Il PVC, nello stato polveroso invece, è più che presente nel reparto delle materie prime dove un operaio per ogni turno, in cambio di una mansione non troppo faticosa e spesso incoscientemente molto ambita da altri colleghi di reparti più pesanti (presse, imballaggio), è costantemente esposto a questo rischio. Qui il PVC “svolazza” libero e abbondante, mentre alle presse è un po’ meno presente, sempre sotto forma di polvere, ma si deposita ovunque intorno e sopra i macchinari. Ebbene, di che sono dotati gli operatori di pressa per pulire? Scopa e paletta! Con le ridicole mascherine di cartone da usare solo in caso di combustione del materiale! Altro che aspiratori, come vorrebbe la mitica legge 626!

La maschera “buona” poi - per capirci, quella che viene fornita anche ai militari in caso di attacco con armi chimiche - ce l’ha in dotazione solo il capoturno. Ma c’è dell’altro: gli addetti che al sabato mattina puliscono le presse con gli aspiratori, quasi sempre reclutati tra i nuovi arrivati che durante la settimana fanno i turnisti, sono dotati di quella ridicola mascherina con filtri di carta di cui parlavo prima, e ovviamente non possono riuscire a ripulire in una mattinata tutti i macchinari del reparto, che così finiscono per essere quasi sempre ricoperti di polvere di PVC.

Fino a poco tempo fa, per appesantire il PVC e impedirne una eccessiva diffusione delle polveri veniva aggiunto il piombo, ma ora sta per essere proibito per legge, vista la sua tossicità, e quindi è stato sostituito con lo zinco, che è un po’ meno cancerogeno del piombo, ma alla lunga provoca danni altrettanto gravi ed essendo più leggero si libera più facilmente nell'aria e dunque è ancora più probabile respirarselo, insieme ovviamente al PVC. Non è un caso che il responsabile per la sicurezza dell'azienda sia un chimico che è anche responsabile del controllo qualità, del reparto materie prime e dunque della composizione chimica del materiale e sono sicuro che non dorme la notte per pensare a come modificare anche di poco la molecola del materiale per non incappare nelle limitazioni legali. Ricordo a tutti che prima che si dichiarasse illegale la produzione dell'amianto sono passati anni e in tutti questi anni le aziende, al corrente della tossicità delle loro produzioni hanno potuto compiere ogni sorta di magheggio sulla composizione chimica del materiale per continuare a produrre senza intoppi legali, a costo della vita degli operai che continuano ad ammalarsi a causa del contatto con le lavorazioni che evidentemente contenevano sostanze cancerogene assimilabili all'amianto.

La tossicità del PVC, derivato del CVM, che ha già fatto strage di operai della Montedison, tra il polo industriale di Porto Marghera e Ferrara, è ampiamente documentata e dal 2007 esiste una normativa europea che ne vieta la produzione. Le aziende come la REDI, dunque, pagano i chimici per modificare la molecola di quel tanto che basta ad aggirare la legge, ma non a salvare la pelle agli operai che, si sa, costa molto meno di un calo produttivo. Già, l’azienda non si preoccupa della salute dei suoi lavoratori, ma di non avere grane dal punto di vista legale: ne sono un chiaro esempio la corruzione dei controllori (ispettori del lavoro e dell’ASL) e il silenzio comprato dei rappresentanti sindacali.

Io per un anno ho lavorato come tutti i miei colleghi senza una coscienza reale di tutti questi rischi e ho accettato il ricatto che accettano tutti i precari: se speri nel rinnovo del contratto taci, non farti e soprattutto non fare domande. Proprio come si dice ai soldati!

Poi, avvertito da qualcuno dei miei colleghi più anziani e dalle mie personali ricerche (nonché da quelle di alcuni miei compagni che ringrazio per avermi messo in guardia), ho deciso di non tacere più. Lavorare, sì, ma con la testa sulle spalle e non nella sabbia (o nel PVC) come gli struzzi, questo è ciò che mi son detto!

Come però era prevedibile, dopo che ho espresso tutta la mia rabbia in faccia ai sindacalisti interni ed esterni, durante l’assemblea, in merito a quello che loro non fanno per gli operai, in tema di ritmi di lavoro, salario e contratti precari, e dopo aver posto con forza la questione della salute e quindi inevitabilmente del PVC, ai miei colleghi di lavoro, non mi è stato rinnovato il contratto!!!

Qualcuno, ridendo amaramente mi ha detto che, così facendo, forse mi sono salvato la vita. Io invece credo di essere stato troppo impulsivo, avrei dovuto aspettare di avere in mano un contratto a tempo indeterminato, avrei dovuto lasciar porre le questioni anche ad altri... Ora invece sono disoccupato, ma non rinnego ciò che ho fatto. Il silenzio sarebbe stato peggio!

È vero: il PVC è cancerogeno! Ma nel mondo di merda in cui viviamo dà da mangiare a tanta gente e fino a quando il potere non sarà degli operai non c'è da aspettarsi nessuna novità produttiva che tuteli davvero la salute e la pelle di chi lavora. Gli operai devono salvarsi da soli. Dalla loro parte non ci sono i sindacati, collusi con le aziende; non c'è lo stato, che foraggia le aziende a suon di incentivi e sgravi fiscali e lascia il suo esercito di controllori a marcire o a vendersi il silenzio. Finché dura questo sistema, il capitalismo, l'unica legge applicata sarà il profitto per i padroni e il ricatto del salario per gli operai!

Ma anche senza aspettare il necessario cambio di sistema e almeno per iniziare a difendersi e a riprenderci la nostra forza che sta, come sempre, nell'azione collettiva, qualcosa va fatta subito!

Ad esempio:

  • far presente ai colleghi “nuovi” tutti i rischi che corrono e che possono essere evitati;
  • non alzare in alcun modo la polvere di PVC ed evitare di lavorare vicino ad alte concentrazioni di polvere senza le adeguate protezioni e gli adeguati strumenti;
  • non maneggiare il PVC caldo;
  • pretendere lo spegnimento immediato delle macchine che portano il PVC alla combustione;
  • fare analisi del sangue per conto proprio perché non ci si può fidare di quelle fatte dai medici pagati dall’azienda;
  • fare tutto il possibile per organizzare, con i colleghi più combattivi, gruppi che vigilino su questi ed altri fattori di rischio, perché né dai sindacati, né dallo stato, ci si può aspettare altro che corruzione e piaggeria verso i padroni;
  • ricordarsi che l’arma più forte per “convincere” i padroni a fare qualcosa per la sicurezza operaia è, come è sempre stato, lo sciopero senza preavviso, che può essere davvero organizzato ormai solo dagli operai stessi;
  • collegarsi infine ad altri operai dello stesso settore per informarsi e lottare per la propria salute nei luoghi di lavoro, sia in Italia che all'estero; il PVC viene prodotto in tutto il mondo: anche in questo caso è necessario allargare gli orizzonti e organizzarsi, da parte operaia, ben oltre i confini nazionali, per difendersi e combattere un sistema che ci sfrutta e ci ammala su scala mondiale!
Bologna, luglio 2007 (aggiornato gennaio 2008)
Un ex dipendente (interinale) della REDI S.p.a.