Aumentano le tensioni con l’Iran

Israele fa le prove militari per un eventuale attacco aereo

Il 5 giugno scorso Israele ha concluso una simulazione militare nel Mediterraneo con i suoi caccia F15, F16 e con elicotteri da combattimento per un raggio di 900 miglia, la distanza che separa Israele dall’impianto nucleare iraniano di Natanz. Che tra i due governi non corra buon sangue è risaputo. Che il governo di Tel Aviv tema il riarmo nucleare del suo più acerrimo nemico rientra nella sfida imperialistica dell’area. Che il governo di Tehran faccia dell’anti-sionismo il suo cavallo di battaglia per uscire dall’isolamento politico ed economico in cui è stato messo, è altrettanto evidente. Ma c’è qualcosa d’altro.

Le manovre israeliane hanno avuto un duplice scopo: quello di mandare un chiaro messaggio a chi di dovere e di concertare con l’alleato americano le possibili strategie di un reale attacco. Nel primo caso siamo di fonte ad una partita giocata da due imperialismi d’area che lottano per gli equilibri interni all’area stessa , in cui la questione nucleare iraniana riveste un ruolo pesantissimo. La reale o presunta ricerca dell’arma atomica del presidente Ahmadinejad non deve far passare in sottordine la reale, anche se mai dichiarata ufficialmente, capacità atomica di Israele. Tel Aviv ha sempre negato di appartenere al club dei paesi atomici, non ha mai sottoscritto alcun trattato di non proliferazione nucleare, ma tutti sanno che i suoi arsenali missilistici contano almeno 150 testate nucleari. Olmert non vuole rinunciare a questo monopolio strategico militare nel Medio oriente né, tanto meno, vuole che il suo dichiarato nemico possa aggiungersi alla lista dei membri del club. Nel secondo caso la partita imperialistica assume contorni ben più vasti, coinvolgendo gli interessi di Usa, Russia e Cina.

I due contendenti, pur perseguendo i rispettivi interessi, sono costretti al doppio ruolo di soggetti e oggetti di un contenzioso imperialistico che va oltre il loro orizzonte. Per l’inasprirsi della crisi internazionale e per la collocazione geografica che prevede il passaggio di più oleodotti e gasdotti, l’area che va dal Mediterraneo orientale al Golfo persico, è teatro di confronti politici con contorni militari dai toni aspri e intimidatori.

Nel dicembre del 2007 il regime di Ahmadinejad ha dato una dimostrazione di forza con una serie di esercitazioni navali nel Golfo persico in risposta alla pressante presenza della flotta americana che stazionava all’ingresso dello stretto di Hormuz. In seguito non sono mancati episodi di frizione tra i due schieramenti nel mare di Oman. Secondo le dichiarazioni di Rahim Safavi, capo dei Guardiani della rivoluzione, l’Iran voleva rispondere con i fatti ai rumors che volevano un imminente attacco militare degli Usa all’Iran. Oggi tocca a Israele fare altrettanto, anche se dietro il paravento di una simulazione nelle acque del Mediterraneo occidentale. Nel frattempo, la diplomazia Usa spinge per un inasprimento delle sanzioni all’Iran. Cina e Russia, in risposta, armano il loro alleato. La Russia ha concluso già da un anno un duplice accordo con Teheran. In parte sostiene tecnologicamente e controlla tutta l’attività nucleare, civile e non, in parte ammoderna la struttura militare con i nuovi missili Sa 200 e Sa 300 a lunga gittata e in grado di colpire bersagli a seimila chilometri di distanza.

La Cina, secondo sponsor dell’Iran, interessata agli approvvigionamenti di petrolio persico, fortemente contraria alle interferenze americane, fa altrettanto rifornendo gli arsenali di Ahmadinejad dei suoi ultimissimi missili Shahab forniti di cluster a 10 testate. Assordanti rumori di guerra, ma c’è chi sostiene che nei fatti non succederà nulla, il muoversi minaccioso d’Israele e degli Usa altro non sono che il disperato tentativo di mascherare una situazione interna piena di difficoltà. Olmert è sull’orlo di una crisi di nervi a causa di un processo che lo vede accusato, tra l’altro, di corruzione e non vuole essere messo in un angolo senza aver almeno proposto una linea dura contro il nemico iraniano. Bush sta per lasciare la Casa bianca come il presidente più impopolare del secondo dopoguerra e non vuole uscire di scena senza un qualche successo, diplomatico o militare che sia, dopo aver subito l’onta della sconfitta o della non vittoria in due guerre guerreggiate che ha imposto alla sua opinione pubblica e a quella internazionale, con l’arma della menzogna e del ricatto. Può anche essere, ma questi fattori appartengono alla categoria dei dati accessori, quelli determinanti sono ben altri e, su tutti, le devastanti conseguenze della crisi economica che attraversa il mondo capitalistico. Gli incrementi dell’economia reale rallentano, la rimuneratività del capitale diminuisce, la finanziarizzazione della crisi, il parassitismo aumentano in maniera esponenziale. È un mondo che insegue la speculazione come valvola di sfogo alla proprie contraddizioni spostando capitali dal settore produttivo a quello speculativo, dai derivati dei mutui ai future delle materie prime energetiche (gas e petrolio) e di quelle agricole affamando centinaia di milioni di persone. La stessa crisi accelera la conflittualità dei capitali sui mercati delle materie prime strategiche, su quello delle divise e, quando le necessità lo impongono, si arriva a risolvere i problemi sul terreno della forza.

Le manovre militari nel Mediterraneo e nel Golfo persico, la corsa agli armamenti, gli aiuti Usa a Israele, i rifornimenti militari di Russia e Cina all’Iran sono il segno dei tempi, tempi scanditi dalla crisi economica internazionale e dall’acuirsi delle tensioni imperialistiche.

Crisi, speculazione, fame e guerra sono le prospettive che il capitalismo sta fornendo al mondo intero.

Al proletariato internazionale il compito di contrastarne il perverso cammino riproponendo la via rivoluzionaria quale condizione indispensabile alla costruzione di una società a misura d’uomo non basata sulle leggi del capitale, del profitto, con tutte le devastanti conseguenze che ciò comporta.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.