Fine delle otto ore? La nuova direttiva europea sull'orario di lavoro

Al peggio non c'è mai fine, recita un vecchio detto. Ora, benché non siamo usi a prendere per oro colato il cosiddetto buon senso dei proverbi, c'è da dire che i borghesi ce la stanno mettendo tutta per dare credibilità alla “saggezza popolare”. Non passa giorno che padroni e politicanti (spesso coincidenti) non tirino fuori dal cilindro una legge o un progetto di legge volto a peggiorare le nostre condizioni di esistenza.

E mentre noi, il proletariato, continuiamo sostanzialmente a non reagire o, quando va bene, a reagire sporadicamente e in ordine sparso, la borghesia ci sta dando una bella lezione su che cosa significhi concretamente solidarietà di classe, perché se c'è da bastonare il mondo del lavoro salariato trova sempre, nella sostanza, un accordo e procede come un carro armato, indipendentemente dalle divisioni nazionali. D'altra parte, è normale che sia così, soprattutto oggi, quando il processo tendenziale di formazione di un unico mercato mondiale della forza-lavoro è già in fase avanzata.

Ultima novità, in ordine di tempo, è la direttiva europea sull'orario di lavoro, varata a maggioranza dai ministri del “welfare” nella riunione del 10 giugno scorso. Grazie all'apporto determinante dei governi centro-destri di Italia e Francia, prima schierate a difesa del cosiddetto modello sociale europeo (somministrazione della stessa amara medicina a dosi progressive, non tutta in una volta), tale direttiva prevede che l'orario legale di lavoro possa arrivare a 60 ore settimanali e fino a 65, o addirittura a 78, per il personale medico. Se, dopo l'estate, il parlamento europeo approverà la norma, verranno di colpo cancellato centoventi anni di storia del movimento operaio, cioè la giornata lavorativa di otto ore, “concessa” nel 1919 dalle borghesie “occidentali” in preda al terrore per la rivoluzione bolscevica: fu uno dei tanti modi per cercare di arginare la marea rossa che, qui e là, aveva travolto gli argini della conservazione borghese. Ovviamente, sappiamo tutti benissimo che le otto ore hanno visto, in “Occidente”, numerose e ampie eccezioni, ma formalmente rimanevano pur sempre la giornata di lavoro “tipo”.

Tra qualche mese, forse (o probabilmente), cadrà anche questa barriera formale. A tutta L'Europa dei 27 potrebbe dunque essere estesa la norma britannica dell'opting out ossia la celebrazione in pompa magna dell'ipocrisia borghese, secondo la quale padroni e salariati sono liberi ed eguali contraenti di un libero accordo professionale. Infatti, la legge dell'opting out prevede che imprenditore e operaio (inteso in senso lato) possano sottoscrivere accordi che ignorano le regole dei contratti in materia di orario, fino ad arrivare, come si è detto, alle sessanta ore settimanali. Per chiunque non sia prevenuto o accecato dalla fede in “Santo Mercato”, è evidente che i rapporti di forza sono a favore del padrone (altrimenti non sarebbe capitalismo), il quale può costringere il lavoratore a “scegliere” questa tipologia contrattuale. Altrettanto evidente è il fatto che se, per esempio, l'Italia ingloberà nella propria legislazione la direttiva e la Spagna no, i padroni spagnoli strilleranno come aquile per dover competere col capitalismo italiano in posizione svantaggiata e, in un modo o nell'altro, obbligheranno il governo ad adeguare la legislazione spagnola a quella italiana. Non a caso abbiamo preso come esempio l'Italia: non per amor di patria, ma perché il “nostro” governo si sta dando un sacco da fare per preparare il terreno alla normativa, anzi, per cerri versi la anticipa. Detto in altri termini, i Robin Hood della borghesia, Sacconi e Brunetta, hanno annunciato interventi chirurgici dolorosissimi - e senza anestesia - sul corpo del proletariato: soppressione di miglia e migliaia di posti di lavoro, più precarietà, più fatica (accorciamento delle ore di riposo tra un turno e l'altro), meno salario o più salario solo se si sgobba come muli. Per inciso, con la detassazione delle parti variabili del salario e in primo luogo dello straordinario, quest'ultimo costerà ai padroni un 20% in meno del salario normale.

Ciò che governi e borghesia stanno facendo fa venire in mente quelli che ai banchetti si abbuffano senza ritegno: mangiano e bevono, bevono e mangiano, fino al punto in cui, strafatti di cibo e di alcol, vomitano anche l'anima. C'è però una differenza: il padronato è insaziabile, più butta dentro e più ha fame; in poche parole, non vomita mai, se noi, proletariato, non gli ficchiamo in gola il dito della lotta di classe...

cb

Articolo pubblicato come "supplemento web" a BC7/2008

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.