Un futuro a tinte fosche

Leggendo fra le righe dei grandi quotidiani

Tutti d'accordo al recente G 7 "per imprimere un nuovo impulso per la crescita e l'occupazione". Quindi sorrisi, strette di mano per stampa e Tv, poi tutti a casa a leccarsi le ferite e accendere qualche candela. Ma nel cielo del capitalismo globale si addensano nubi sempre più scure.

Tutt'ora, anche se nei forzieri delle Banche entrano provvidenziali aiuti statali (vedi i miliardi di dollari rovesciati sul sistema negli Usa, dove ogni settimana scompaiono più di mezzo milione di posti-lavoro!) il denaro da lì non si muove: dollari ed euro non trovano possibilità di impieghi utili per estorcere sufficiente plusvalore dall'unica fonte in grado di produrlo, la forza-lavoro.

Anche le Banche centrali tentano qualche iniezione straordinaria di liquidità; il costo del denaro si abbassa (in Europa siamo a un tasso del 2% e sono probabili altri ribassi). Ma nonostante tutti invochino aperture di credito, il denaro non circola. E le Banche guardano innanzitutto a ridare credibilità alla "qualità dei bilanci" dissestati, mentre la bufera si addensa. Nelle Borse crollano i loro titoli con perdite di centinaia di miliardi in termini di capitalizzazione complessiva (perdite a ben due cifre percentuali).

"Il peggio - dice Draghi, Governatore della Banca d'Italia, su Repubblica del 22 febbraio - deve ancora venire. Ci aspettano due anni difficili, con un forte deterioramento della situazione". E mentre agli operai si chiede massima flessibilità e "retribuzioni moderate", si invoca una "vigilanza macroprudenziale" sulla Banche, invitate a "comportamenti virtuosi" mentre si trovano alle prese con rettifiche di valore da indicare nei bilanci, debiti della clientela in sofferenza e altre inevitabili perdite su crediti.

Un report dell'Unicredit, diffuso in questi giorni, stima un calo del Pil italiano del 3% nel 2009; la disoccupazione si porterà dall'attuale 6,6% al 9% alla fine del 2010; il debito pubblico dal 106,1% del Pil al 112,8%. E si viene a sapere che le pubbliche amministrazioni hanno debiti pari a circa il 2,5% del prodotto nazionale (qualche decina di miliardi di euro) da pagare alle imprese...

Si guarda soprattutto agli Usa e ai paesi dell'Unione Europea, ma che succede nell'Est Europa? Sembrerebbe che la crisi in quei paesi non stia ancora mordendo se non superficialmente, ma anche ad Oriente si comincia a piangere. In una recente intervista (Repubblica) il ministro delle Finanze russo, presente al vertice G 7, ha "reclamizzato" il piano di sostegno appena approvato a Mosca per un valore complessivo pari al 5,5% del Pil più un altro 3% per interventi sociali (pensione e disoccupazione). Agli Istituti di credito andrà l'1,5% del Pil per sostenere le loro "attuali difficoltà", ovvero contro il pericolo che "l'intero sistema creditizio smetta di funzionare".... (Guardando al Pil pro capite russo, si scopre fra l'altro che esso è meno della metà di quello italiano, con il 16% della popolazione ufficialmente sotto il limite di povertà.)

Dunque, anche a Mosca e dintorni si suona la medesima musica; l'imperativo è quello di una urgente "ricostituzione del capitale". Intanto, con la riduzione delle esportazioni (petrolio e gas in primis, con prezzi in forte ribasso, dopo i passati picchi al rialzo) il bilancio federale russo è sceso del 30%, e il deficit del bilancio pubblico complessivo si annuncia tra il 7 e l'8% del Pil. La crescita di quest'ultimo (nel 2007 a + 8,1%) sembra sia calata nel 2008 attorno al 7%.

La parola torna a Draghi, il quale ci informa che le perdite delle Banche - a livello globale e a causa dei famigerati subprime - si aggirano fra i 1.400 miliardi e i 2.200 miliardi di dollari. I titoli avvelenati sono ancora in massima parte nascosti; il cosiddetto "sistema del credito ombra", che ha alimentato il boom finanziario degli ultimi anni per poi esplodere fragorosamente, corrisponderebbe a un volume di crediti di circa 10.000 miliardi di dollari, pari a quello dell'intero sistema bancario vero e proprio americano (T. Geithner, ex presidente della Federal Reserve di New York).

Una montagna di hedge funds, cartolarizzazioni, obbligazioni immobiliari, eccetera, mentre I titoli tossici ("titoli radioattivi") detenuti dalle Banche europee avrebbero un ammontare pari al 75% del volume attualmente nelle mani delle Banche americane. Però, mentre in Usa le Banche hanno effettuato svalutazioni degli attivi per 738 miliardi di dollari, quelle europee non sono andate al di là di una svalutazione di 294 miliardi di dollari. Da notare che le Banche Usa hanno in corpo perdite su crediti per 1.800 miliardi di dollari e capitale solo per 1.400 miliardi. Sono quindi "sotto" di 400 miliardi, con un grosso pericolo di insolvenza. (Alcuni dati sono forniti da Roubini, il noto professore di economia alla New York University.)

Possiamo commentare come dopo aver drogato l'economia, cercando di ristabilire un rapporto stabile tra la produzione - necessariamente esasperata - e il consumo, il credito ha finito col "valorizzare" una ricchezza fattasi del tutto fittizia. Un credito, cioè, staccatosi dal fondamentale processo produttivo, illudendosi di essere un capitale che aumenta di per sé automaticamente in operazioni prevalentemente speculative. Il denaro quindi inteso come capitale feticcio, non solo, ma che nella forma del credito si è alla fine volatizzato, accumulando titoli senza copertura alcuna, moltiplicati in duplicati cartacei di un capitale inesistente. Il tutto fatto circolare come un insieme di valori fittizi, sempre resi indipendenti - secondo le interessate "intenzioni" di Banchieri e finanzieri - dal plusvalore realmente estorto nei processi produttivi. E questo proprio quando il saggio medio del profitto industriale tendenzialmente continuava a diminuire o quanto meno a trovarsi in forte difficoltà.

All'insegna della "massima trasparenza", al momento ciò che realmente si mostra - e comincia veramente a "far male" - sono le stangate che piovono sulle spalle del proletariato. Signori, questa è lotta di classe, ancora a senso unico, ma non potrà tardare a lungo quella reazione che da tempo attendiamo e che sola potrà far ritrovare al proletariato la via per la propria definitiva liberazione dalle catene del capitalismo.