L'altro fronte della crisi: l'Europa dell'est

Dopo dieci anni di crescita ininterrotta le cosiddette “tigri dell’est”, ovvero le economie rampanti che, per bocca degli analisti borghesi, in virtù del disfacimento dell’ex blocco sovietico e grazie al “moltiplicatore infinito di felicità” rappresentato dalla globalizzazione liberista, avrebbero potuto attingere liberamente alle piacevolezze del libero mercato, cominciano a fare pesantemente i conti con un problema che si delinea in maniera abbastanza semplice per quanto tragiche ne siano le conseguenze: si sono inceppati i due principali meccanismi di sviluppo economico: gli investimenti e le esportazioni.

Le ragioni di tutto questo risiedono nel fatto che si è aperta una crisi mondiale, definita da molti “epocale”, che sta manifestando via via i suoi effetti. Si è partiti da una prima fase caratterizzata dallo scoppio della bolla immobiliare statunitense per poi irradiarsi, per espansione, nelle fasi successive, progressivamente nel resto del mondo. Le previsioni relative ai paesi dell’est-europeo sono tali da far tremare i polsi: il flusso dei capitali esteri che solo nel 2008 ammontava a 254 miliardi di dollari è destinato a ridursi, nel 2009, ad appena 30 miliardi. Più di uno ritiene, per giunta, che queste cifre siano ottimistiche in quanto al deflusso netto di capitali si potrebbe aggiungere anche una fuga di capitali interni andando quindi a configurare una crisi valutaria di enormi dimensioni con pesanti ricadute negative sui tassi di cambio.

Ma perché tutto ciò avviene? Cosa portava maitres-à-penser economici e finanziari a ritenere che, ad esempio, la Polonia “poteva tranquillamente far fronte alla tempesta finanziaria proveniente d’oltre oceano senza particolari patemi d’animo?” (Manifesto 06-03-2009 M.Caterina) Da dove poteva derivare tale sicumera nei riguardi di un paese, a sua volta inserito in un particolare contesto europeo che aveva basato tutta la propria enorme crescita su di uno spropositato indebitamento? Sarebbe veramente interessante sape-re cosa passa per la testolina di questi analisti e, soprattutto, percorrendo quali arditi itinerari della psiche umana riescono a pervenire a previsioni così nette, che non danno adito a dubbio alcuno. Stando infatti a dati forniti dal Credit Suisse “nella classifica dei paesi a più alta vulnerabilità 9 Stati sui primi 14 appartengono all’Europa dell’est” con un dato pressoché costante rappresentato da un deficit corrente assai pronunciato: si va dal 18% del Pil della Bulgaria al 15% della Lituania per finire col 5% della Polonia. A ciò va aggiunto che ad incidere profonda-mente sulla crescita del PIL di queste economie è soprattutto il contributo estero che concorre, coi propri investimenti, mediamente alla produzione del 50% della ricchezza con picchi verso l’alto che raggiungono il 99% in Ungheria. Questa situazione, fotografata poco tempo addietro, è stata aggiornata, sempre dal Credit Suisse, laddove questa dipendenza, a causa della caduta delle valute locali, ha raggiunto il 134% in Ungheria, il 69% in Romania e il 77% in Polonia.

Di fatto con l’applicazione dei dettami proposti/imposti dal credo liberista, soprattutto in termini di privatizzazione, questi paesi sono diventati dei prolungamenti dell’industria europea occidentale soprattutto a causa di una totale mancanza di risparmi interni sufficienti a finanziare la crescita economica. Ma tutto ciò, come contrappasso, comporta che questa crisi, che sta devastando gli ex paesi del blocco orientale e che fa prefigurare all’Economist un “rischio catastrofe”, è destinata a ricadere su banche e società europee, le più esposte sul mercato dell’Est Europa, in conse-guenza di una strategia, quella del capitale finanziario della cosiddetta “zona dell’euro” che, secondo quanto sostenuto dalla Banca dei regolamenti internazionali, fornisce il 90% dei prestiti ai paesi dell’Est Europa e questo piano di investimenti vede coinvolte, ad esempio, banche austriache la cui esposizione ammonta al 70% del PIL austriaco mentre il Belgio e la Svezia si attestano su un più contenuto 20-25% sempre del proprio PIL. E la cosa può essere anche comprensibile se si pensa ai ricavi precedentemente realizzati da banche: l’Allied Irish realizzava il 35% dei propri ricavi nell’Est Europa, l’Unicredit il 32% ed Intesa Sanpaolo il 12%. Ma anche società come Telecom, Telenor, Telia Sonera fino ad arrivare a Deutsche e France Telecom realizzavano ricavi oscillanti tra il 20 ed il 25% del loro totale come pure la Volkswagen, la Peugeot e la Fiat. Èevidente, date queste connessioni, come, con la nuova situazione venutasi a creare in seguito allo scoppio della bolla dei subprime e con il restringimento del credito che ne è conseguito, l’aggravarsi della recessione che colpisce già le economie dell’Est produca ripercussioni negative in termini di fallimenti di banche locali e di enormi perdite per quanto concerne i gruppi bancari occidentali che lì operano. Tutto ciò ha conseguenze gravi non solo finanziarie ma soprattutto economiche in quanto determina la chiusura di importanti mercati dell’industria di esportazione europea.

È desolante riassumere le cifre e le conseguenze economiche e sociali di un ennesimo fallimento di un sempre più miserevole capitalismo: le “tigri baltiche” che annaspano dappertutto. In Lettonia il governo s’è dovuto dimettere sotto la pressione di una piazza che avversa il piano anticrisi e i tagli drastici al welfare. In Lituania il piano di austerity governativo genera manifestazioni popolari sempre più massicce sedate con manganellate e lacrimogeni mentre in Ucraina si paventa addirittura un autentico collasso. La stessa Russia deve reintrodurre misure relative ai movimenti dei capitali se solo vuole salvaguardare un po’ il rublo. Con questi chiari di luna il vertice dei 27 a Bruxelles non poteva non rivelarsi un fallimento sia in relazione alla richiesta d’aiuti dei paesi dell’Est, sia alla richiesta di ingresso nell’euro. Insomma, ognuno per fatti propri e, rigorosamente, in ordine sparso. Un quadro siffatto lascia facilmente prevedere un periodo di profonda destabilizzazione politica e sociale, conseguenza naturale di una profonda crisi economica e di una esponenziale crescita della disocc-upazione che, già per il 2009, si prevede si attesterà intorno al 9% circa nei 27 paesi dell’Unione europea con tutto quel che ne potrà conseguire in termini di ripercussioni sociali e tensioni legate ai flussi migratori.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.