La Cina per una moneta mondiale

Ombre cinesi attorno alla crisi del capitale

Come in ogni altra parte del mondo, pure in Asia il capitalismo si agita inquieto anche se, dopo la crisi del 1998, si è cercato di contenere un'eccessiva liberalizzazione del settore finanziario, e di limitare la facile concessione di prestiti. E mentre USA ed Europa sono ora diventati più guardinghi verso le illusioni del libero mercato come soluzione di tutti i mali, proprio la Cina (sulla via del... comunismo) e i Paesi del Sud-Est asiatico stanno completando un'intesa di interdipendenza che creerà l’Area di Libero Mercato (FTA, free trade area) estesa ad un miliardo e 700 milioni di persone. Con un accordo simile si muovono Giappone e India. Abbiamo già visto, nel precedente numero di Battaglia (dove sono state segnalate anche le recenti intese di interscambio fra Cina, Argentina e Bielorussia), le ragioni dell'interessamento cinese per una riforma internazionale del sistema monetario. Ritorniamo su questo "tormentone" finanziario rimarcando come sia proprio la Banca Nazionale Cinese a prospettare una possibile sostituzione del dollaro, come valuta di riferimento, con una nuova moneta sopranazionale. La Cina, oggi maggiore paese creditore, non è in condizioni di assistere passivamente al collegarsi di azioni e reazioni che potrebbero farsi del tutto incontrollabili, e guarda alla possibilità di accrescere il suo peso finanziario internazionale, ufficializzando così il proprio crescente potere economico. Questo ammesso e non concesso che gli Usa si impegnino a contenere il deficit esterno e la Cina a limitare il proprio surplus esterno. Questo proprio quando sugli Usa si fa sempre più gravoso il forte indebitamento con il resto del mondo, e le forti iniezioni fiscali e monetarie in atto per rilanciare la domanda interna rischiano solo di avere negative ripercussioni mondiali. Basti dire che la Fed ha già raddoppiato la base monetaria in meno di sei mesi e si prospetta un secondo raddoppio a fine 2009. Per evitare una grossa ripresa dell'inflazione, la Fed dovrà poi vendere oltre duemila miliardi di dollari di titoli, alla faccia del dollard stand!

Globalmente, la disastrata situazione non lascia comunque tranquillo nessuno dei grandi ladroni imperialisti su entrambi i fronti, quello finanziario e soprattutto quello economico. Il primo, e ritornando in Cina, ufficialmente non desterebbe eccessive preoccupazioni (quasi 2 miliardi di dollari di riserve), ma registra una forte esposizione della People's Bank of China sui buoni del tesoro Usa, a provvidenziale sostegno del capitalismo di Washington. E economicamente poi, le relazioni Cina-America cominciano ad allarmare Pechino e le sue vitali esportazioni, mentre il consumo interno cresce ma non sufficientemente: in aiuto ai consumi, le banche cinesi erogheranno 730 miliardi di dollari di prestiti in aiuto ai redditi di un ceto medio che mostra anch'esso qualche sofferenza. Quanto alla classe operaia e ai contadini, oltre ai bassi salari si aggrava la disoccupazione, tanto più pericolosa perché colpisce l’esercito di migranti provenienti dalle campagne e urbanizzati nella cintura manifatturiera low-cost del Sud della Cina. Milioni di proletari torneranno a confrontare molto materialmente le condizioni di vita che hanno sperimentato nelle zone urbane, sia pure a livelli di poco più sopportabili, con la bestiale sopravvivenza, a livelli medievali, a cui sono relegati nelle campagne. Quanto basta per un diffondersi di quegli “incidenti di massa” che disturbano i piani di establishment di Pechino.

Il premier cinese Wen ha da poco prevista una crescita dell''8% nel 2009: al di sotto di questo tasso di sviluppo del Pil "socialista", la disoccupazione supererebbe i "livelli fisiologici" del 4-5%, mettendo in pericolo la stabilità sociale. Per questo, le spese per la sicurezza e il controllo sociale aumenteranno nel 2009 di ben il 33%: non si sa mai. Il debito pubblico cinese sarebbe, sì, inferiore al 20% del Pil, ma il deficit di bilancio per il 2009 è previsto in 140 miliardi di dollari, superiore di nove volte quello del 2008 e pari al 3% del Pil. Un disavanzo da brivido... giallo. Uno sguardo va anche agli indici di borsa, che sono in calo da un anno a questa parte: lo Shanghai index ha perso due terzi del suo valore dal picco di ottobre 2007 e nello stesso periodo l'Hang Seng ha perso più del 50%. Il CSI 300 - che valuta le fluttuazioni quotidiane dei 300 maggiori titoli sulle piazze di Shanghai e Shenzhen - ha perso il 60% in un anno, la seconda peggiore performance mondiale, intaccando le sicurezze di quel ceto medio urbano (quasi 100 milioni di cinesi) che investe i "risparmi" in borsa: una specie di gioco di "scatole cinesi" che potrebbe crollare da un giorno all'altro. Intanto anche il famoso settore immobiliare vede aumentare gli appartamenti vuoti e i prezzi in calo. Lo stesso per le auto, settore che dà segnali di crisi assieme all'acciaio, cantieristica e tessile. In conclusione, presente e futuro non fanno certamente dormire tranquilli i capitalisti d'Occidente e d'Oriente. Le illusorie speranze di accordi sopranazionali non eliminano le concrete realtà di una latente minaccia di qualche scontro militare, da sempre l'unica momentanea soluzione all'acutizzarsi della crisi capitalistica. Ma nel futuro si annuncia anche un dilagare di conflitti sociali, ed a questi guardiamo e ci prepariamo con un particolare interesse. (Notizie e dati dal Financial Times, dal Sole/24 Ore e da Repubblica)

Supplemento web a Battaglia Comunista 6/2009

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.